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I non-fungible token, basati su blockchain, ‘terremotano’ il mercato della digital art

Come spesso accade, un fenomeno cresce senza fare rumore, poi, di colpo, una notizia fa esplodere il relativo mercato, L’abbiamo visto accadere già più volte, e ora l’abbiamo sotto gli occhi un volta di più, La notizia è quella dei 15 anni di vita di Twitter: il fondatore Jack Dorsey ha deciso di solennizzarla mettendo all’asta il primo tweet lanciato nel cyberspzio, per dare poi il ricavato in beneficienza.

E qui accade l’inaspettato: l’asta, inizialmente, si muove sui valori che sarebbe stato logico attendersi – nella prima settimana la quotazione era intorno agli 88.000 dollari – poi si impenna di colpo. E c’è già chi è arrivato a offrire 2,5 milioni di dollari per averlo. Ma come si fa ad acquistare un bene così immateriale, e visibile a tutti sul web, come un tweet?

Dorsey lo ha messo all’asta sulla piattaforma online Valuables by Cent, dove i tweet sono venduti come firme digitali chiamate ‘non-fungible token’ (NFT), basati su blockchain. Sul sito, l’imprenditore ha deciso e comunicato su Twitter che le offerte proseguiranno fino al 21 marzo, a 15 anni esatti dal cinguettio. A quel punto accetterà l’ultima più alta. Valuables by Cent tratterà il 5%. Il resto andrà a Dorsey, che – come già accennato – convertirà il ricavato in bitcoin e donerà tutto all’organizzazione GiveDirectly, per aiutare le famiglie indigenti in Africa.

A oggi il miglior offerente è Hakan Estavi, CEO di Bridge Oracle, una società di sistemi blockchain. Ma come può un bene così immateriale, che oltrettutto sarà sempre diponibile sulla piattforma di Twitter, visibile e ‘copiabile’ da tutti, raggiungere queste valutazioni? “Un tweet firmato è come se fosse ‘un autografo su una figurina di baseball’, spiega Valuables by Cent. “L’acquirente riceve invece un certificato digitale, firmato con la crittografia, che include i metadati del tweet originale”.

La notizia ha fatto giustamente il giro del mendo, ma il fenomeno non era nuovo, anche se non aveva attratto il grande pubblico. Fin dal 2014 gli articoli di ‘crypto-art’ (ovvero opere d’arte vendute attraverso sistemi blockchain) sono scambiati in un fiorente mercato (molto di nicchia) che consente agli acquirenti di poter rivendicare la proprietà del proprio acquisto digitale in maniera sicura attraverso l’emissione di un ‘certificato’ basato su blockchain.

Sono stati infatti pagati ben 390.000 dollari per assicurarsi i diritti di un video di 50 secondi di Grimes (cantante e disegnatrice canadese legata sentimentalmente a Elon Musk) e addirittura 6.6 milioni di dollari per un video di 10 secondi realizzato da Beeple (pseudonimo dell’artista statunitense Mike Winkelmann), la cui ultima opera ‘Everydays – The First 5000 Days’ è andata all’asta da Christie’s raggiungendo la valutazione record di di 50 milioni di sterline. Per non parlare dell’italiano DotPigeon – ex art director di WE ARE SOCIAL – che ha venduto in poco più di una settimana le proprie opere per oltre un  milione di euro sul marketplace Nifty Gateway.

@DotPigeon

Quello che si acquista, si badi bene, non è l’opera in sé, ma unicamente un token su blockchain (un Non-Fungible Token) che consente di affermare la proprietà dell’opera informatica. Una sorta di ‘copia autografata’ del video se vogliamo, cristallizzata su blockchain e quindi trasferibile senza problemi di sorta circa l’autenticità dell’opera.

L’NFT costituisce quindi una prova di autenticità e, al contempo, di proprietà dell’opera. La sicurezza di questi certificati deriva dal fatto che gli stessi sono ospitati su una blockchain, catena di blocchi informatici concatenati che non dipendono da un singolo soggetto ma vengono mantenuti in funzione dallo sforzo collettivo di numerosi nodi della rete.

Questo garantisce che (quando la rete è sufficientemente popolata e il suo mantenimento appetibile) il libro mastro delle operazioni che sono ospitate sulla stessa sia registrato e immutabile. Luogo principe per la creazione di questi NFT è Ethereum, una criptovaluta nata proprio per gestire smart contract e che ha sviluppato due standard per gestire questi Non-Fungible Token che, oltre a essere registrati sulla blockchain e non modificabili, rappresentano un bene unico. Questi standard (ERC-721 e ERC-1155) sono quindi caratterizzati proprio dall’essere non fungibili, ognuno con un oggetto e un valore proprio. Il mercato si sta però affollando in fretta, e con il fiorire del fenomeno gli investitori dovranno prestare massima attenzione alla blockchain su cui sono ospitati gli smart contract, per evitare di acquistare certificati fondati su improvvisate catene di blocchi malfermi o che saranno in seguito abbandonate.

Qui si può arrivare a discutere sul futuro di questi ‘smart contract’, considerati e valorizzati come ‘opera d’arte’, ma non vogliamo addentrarci nella diatriba tra ‘l’opera d’arte al tempo della replicabilità’ di un’epoca passata e ‘l’unicità dell’opera d’arte replicabile all’infinito’, propria di questa forma digitale di arte.

Di sicuro l’hype gioca un ruolo fondamentale nell’esplosione a cui si assiste ora: va comunque detto che molto probabilmente la crypto-art resterà, come strumento utile a valorizzare (al netto della bolla di valore che rischia di essere alimentata dalle quotazioni imbizzarrite di oggi) il lavoro degli artisti informatici.

Poi sarà quello che il mercato vorrà…