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I gruppi editoriali europei stringono accordi con OpenAI per l’intelligenza artificiale generativa. Ma il New York Times la sfida in tribunale

ChatGPt e NYT
di Massimo Bolchi

È forse improbabile che l’intelligenza artificiale (AI) sostituisca completamente i ruoli tradizionali dei media, ma di sicuro sta terremotando il settore, destinata com’è ad avere un impatto profondo sulle responsabilità editoriali e sui processi di giornalisti, emittenti, creativi e pubblicitari, apportando la velocità ed efficienza nei processi.

Inoltre, l’AI si sta rendendo disponibile quando le aziende del settore dei media, in particolare le testate giornalistiche, sono costrette a risparmiare e ad attuare ondate di licenziamenti, poiché proprio l’ascesa dei gruppi pubblicitari digitali, come Meta, Google o Amazon, che sono in prima fila nello sviluppo dell’AI – direttamente o tramite investimenti mirati – è stato uno dei fattori del calo globale dei ricavi dei gruppi giornalistici.

Allearsi con l’AI oppure ‘combatterla’

Quali sono dunque la sole strade possibili per i gruppi editoriali in difficoltà? Allearsi con l’AI o combatterla apertamente in tribunale. Grandi gruppi giornalistici, come il tedesco AxelSpringer e lo spagnolo Prisa Media hanno già raggiunto accordi per l’utilizzo delle loro pubblicazioni e degli archivi da parte di OpenAI per ‘allenare’ la sua GenAI. Ultimi ad arrivare, anche i francesi di Le Monde hanno raggiunto un accordo il 13 marzo, che prevede anche l’inserimento di link all’articolo originale in caso di utilizzo della fonte. Non solo gli europei, comunque, ha fatto questa scelta: accordi simili sono stati raggiunti anche con editori di oltre atlantico, come l’Associated Press.

Ma il caso europeo è più significativo per la presenza dell’AI Act che dovrebbe regolare tutta la questione: invece – sorpresa – si limita a introdurre alcuni elementi chiave che possono (non devono) avere un impatto significativo su questo tema. In più, per i sistemi di intelligenza artificiale che generano contenuti originali, come musica, testi o immagini, il regolamento introduce un regime di ‘presunzione di authorship’: in altre parole la persona che gestisce il sistema di intelligenza artificiale è considerata l’autore dell’opera generata, a meno che non sia dimostrato il contrario.

La strada delle rivendicazione si è fatta ancora più stretta, e questo aiuta a spiegare perché i gruppi editoriali europei si siano affrettati a fare accordi prima che qualche altro concorrente facesse lo stesso: di fatto, OpenAI e ChatGPT si sono già assicurati le fonti per sviluppare l’AI anche nelle principali lingue europee. E non è costato nemmeno troppo: a sentire il direttore di Le Monde “l’accordo è simile, sotto il profilo economico, a quello raggiunto con AxelSpringer”. Dunque, secondo il Financial Times, qualche decina di milioni l’anno: per fare accordi con tre dei principali editori europei sono bastati 100 o 200 milioni di euro in totale. Non certo un problema per OpenAI che ha potuto contare su investimenti, dalla sola Microsoft, di 13 miliardi di dollari l’anno scorso.

Pochi, maledetti e subito: il vecchio detto dei mediatori di bestiame di un tempo lontano è valido anche nella futuristica evoluzione dell’Artificial Intelligence.

D’altronde l’alternativa non era allettante, fare causa a OpenAI e Microsoft come ha fatto il New York Times si è rivelato, come previsto, un ‘uphill run’ con i denunciati che si sono subito barricati dietro il ‘fair use’ dei contenuti giornalistici e il precedente – che negli USA ha valore legale – della causa persa dalle Major di Hollywood contro Sony per il video registratore Betamax nel lontani anni ‘70. Ma la battaglia del NYT non è priva di fondamento, come dimostrano le pagine della denuncia che riportano testi presi quasi parola per parola dagli articoli del giornale nelle risposte ‘generate’ dall’AI. Al che i querelati hanno ribattuto che il sistema di AI era stato stressato appositamente per ottenere quelle risposte, che sono state le sole riportate nella denuncia tra le decine o centinaia che l’AI aveva prodotto.

Ma il NYT non ha attivato questa causa per affermare – se la sentenza gli sarà favorevole – il principio che i suoi contenuti non si possono usare per ‘allenare’ l’AI: molto probabilmente questa sentenza servirà a negoziare da posizioni di forza accordi più stringenti e più soddisfacenti sotto l’aspetto economico. D’altronde ‘io solo combatterò, procomberò sol io’ lo esclamava Giacomo Leopardi nei suoi Canti: la maggiore azienda giornalistica americana nel mondo, con ricavi pari a 2,4 miliardi di dollari nel 2023, guarda certamente a vantaggi più concreti.

disclaimer: la foto è stata generata dall’AI di DALL-E