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Gianluca Maruzzella, CEO di indigo.ai: “L’intelligenza artificiale riporta la ‘magia’ nella comunicazione tra aziende e utenti”

Gianluca Maruzzella, Co-founder e CEO di indigo.ai
Gianluca Maruzzella, Co-founder e CEO di indigo.ai

“Il boom informativo che è scoppiato nei mesi scorsi sull’Artificial Intelligence è stato una cosa molto positiva per noi, nel senso che abbiamo avuto la possibilità e la fortuna – la bravura in realtà, perché questo risultato ce lo siamo costruito – di essere al posto giusto al momento giusto. Noi lavoriamo con questo tipo di tecnologie dal 2019“. A parlare è Gianluca Maruzzella, Founder e CEO di indigo.ai, azienda che lavora con l’AI per conto di banche, assicurazioni, e case farmaceutiche, ma non solo, che abbiamo intercettato alla presentazione del video podcast ‘Talk Magic’.

“Da quando è uscito GPT3 abbiamo iniziato a utilizzarlo all’interno della nostra modellistica e della nostra piattaforma. Quello che è veramente cambiato completamente è la percezione del mercato e quindi anche il rapporto con questo tipo di tecnologie. È un po’ come se fosse ‘esplosa la torta’, e ha reso molto più urgente il bisogno di questo tipo di tecnologie. Per noi è come cambiato il mondo, perché in Italia siamo gli unici che danno la possibilità di fornire questa tecnologia già implementata in una piattaforma no code per il marketing. Noi diciamo sempre la potenza è nulla senza controllo, riprendendo il vecchio slogan di Pirelli: un’azienda non può permettersi di usare un’AI come ChatGPT sul proprio sito, perché non può sbagliare quando parla con i clienti. In questo senso Indigo.ai rappresenta un modo per loro di utilizzare la stessa potenza, ma in un ambiente controllato con una tecnologia semplice come un’interfaccia no code personalizzata per gestire il tutto”.

In pratica, come funziona il vostro approccio al mercato?

“L’obiettivo da cui siamo partiti è quello di riportare, letteralmente, la magia nella comunicazione tra aziende e utenti. Magia: che cosa vuol dire? Vuol dire che ad oggi la relazione tra aziende e utenti è un po’ rotta e noi cerchiamo di aggiustarla. E lo facciamo con l’intelligenza artificiale, perché vogliamo creare proprio quella connessione, poiché per un utente essere capito dall’azienda è il solo primo passo, ma indispensabile, per costruire un rapporto di fiducia. Se c’è questo rapporto di fiducia è presente all’interno di una conversazione, ‘vestita’ adeguatamente, allora l’utente riesce a connettersi, a creare relazioni, e ad avere un dialogo empatico con il brand”.

Indigo.ai è entrata a far parte di un gruppo tech, Vedrai: che cosa significa questo ingresso?

“Siamo entrati a far parte del gruppo Vedrai da agosto scorso, quindi è passato un anno e un mese, ed è possibile tracciare un primo bilancio. Abbiamo ceduto, insieme agli altri founder, il 60% dell’azienda, ma siamo entrati all’interno di un perimetro industriale più ampio e forte, per realizzare la nostra ambizione di porsi come polo dell’intelligenza artificiale. Che cosa significa questa espressione ‘polo dell’intelligenza artificiale’? Vuol dire avere le capacità e la possibilità, grazie anche a una capacità finanziaria non indifferente – il gruppo ha raccolto veramente moltissimi finanziamenti – di mettere a sistema le migliori iniziative di intelligenza artificiale insieme. Noi rappresentiamo un’acquisizione, sma Vedrai è arrivato al 60% anche in Premoneo prima di noi, che è un’altra realtà avanzata che si occupa di usare le AI per il dynamic pricing, quindi un settore sicuramente diverso. Dal mio punto di vista, riuscire a mettere a sistema queste competenze è un qualcosa che ci rende più forti a vicenda”.

Astraiamoci per un momento dall’immediato futuro, e guardiamo a cosa sarà l’intelligenza artificiale, e ai suoi effetti, in un futuro più lontano, tra parecchia anni. Che quadro vede?

“Ormai sull’intelligenza artificiale si legge di tutto, c’è una polarizzazione delle opinioni: da un lato aiuterà l’umanità a fare qualunque cosa, dall’altro ci distruggerà. Secondo me uno dei rischi di questo tipo di strumento è quello di ‘disabituarci’ a fare delle cose. È quello che succede ogni qual volta entra in campo, in qualche modo, una rivoluzione tecnologica. Usare la calcolatrice, per fare un esempio banale, ci ha reso un po’ più pigri nel fare i calcoli. Però questo non significa che non ci ha permesso di essere più veloci nei ragionamenti che facciamo sulla base di quei risultati.

Qui in realtà è necessario comprendere qual è il momento nel quale si vuole ‘spezzare’ il ragionamento sul futuro, cioè se ti stai ponendo nel 2050 o nel 2123, perché in realtà l’impatto sarà profondamente diverso. Perché questa esplosione dell’AI permette un aumento della produttività, quindi riusciamo a fare meglio le cose che facciamo spendendo di meno. Creiamo anche prodotti e servizi nuovi, migliori, che cambiano completamente le regole del gioco e costano sempre di meno. Perché non viene impiegato del lavoro umano. Ma questo richiede necessariamente di ripensare la nostra società. Allora nel 2123 arriveremo al punto dove magari potremo veramente dedicarci solo alle arti e alle passioni perché avremo creato una macchina che è in grado di produrre effettivamente per noi, lavorando al nostro posto.

Le sfide che dovremo affrontare, in questo scenario, saranno due, sostanzialmente: una è quella relativa al reddito, l’income, per fare in modo che tutti abbiano la possibilità di esercitare il potere economico. La seconda è il fine, il purpose delle nostre vite, perché il lavoro è in realtà una grande componente delle nostre esistenze, quindi è importante che continuiamo ad abbracciarlo, sebbene in modi diversi. Lo faremo sempre meglio, grazie appunto anche a elementi quali l’intelligenza artificiale. Quindi non si tratta di ‘tecnottimismo’ o di pessimismo apocalittico: bisogna essere etici da questo punto di vista, approcciare queste questioni in modo da risolverle man mano che si presenteranno. Mio personalissimo punto di vista”.