“Il settore del digital advertising si trova a una svolta decisiva per la protezione dei dati degli utenti. Se i recenti aggiornamenti di Google in merito all’eliminazione graduale degli identificatori di terze parti possono far pensare agli esperti di marketing che si possa abbandonare la ricerca di una valida alternativa alle soluzioni che si basano sugli identificatori, la realtà è che la tutela della privacy dei dati è ormai una priorità consolidata, non solo nell’industria pubblicitaria ma anche per gli stessi utenti”. Così Francesca Lerario – Managing Director Southern Europe, Ogury – commentando la recente decisione di Google di abbandonare i piani di deprecazione dei cookie di terze parti su Chrome.
“È indispensabile che il nostro settore continui a sostenere e a lavorare per creare un contesto che dia la priorità alla privacy degli utenti. Questo cambiamento, infatti, è iniziato molto prima che Google decidesse di implementare la Privacy Sandbox.
Oggi, la metà del traffico sull’open Internet non è tracciabile tramite cookie. Il nuovo approccio di Google si aggiunge a quello di Safari, Firefox e dell’App Tracking Transparency di Apple, che hanno già eliminato o limitato in modo significativo l’accesso agli identificatori pubblicitari.
Resta da vedere come Google attuerà questo cambiamento, ma è molto probabile che porterà la maggior parte degli utenti a rinunciare al tracciamento, rendendo i cookie molto meno rilevanti. E tutto questo può accadere anche più velocemente rispetto a quanto sarebbe successo se Google avesse mantenuto il suo piano iniziale.
Quando viene offerta una chiara possibilità di scelta, i consumatori decidono di rifiutare il tracciamento online. Infatti, uno studio condotto lo scorso anno ha rilevato che l’86% degli acquirenti statunitensi era più preoccupato della privacy e della sicurezza dei propri dati che dell’attuale situazione economica. Mentre in Italia il 53,7% degli utenti online talvolta rifiuta i cookie.
Anziché restare ad attendere ulteriori decisioni all’interno del settore, gli inserzionisti sono chiamati a dare vita ora alle loro nuove strategie sui dati. In particolare, ciò significa migliorare la comprensione e l’accesso a un componente chiave della pubblicità senza cookie: gli zero-party data.
Che cosa sono gli zero-party data
Il dibattito che ha animato il settore negli ultimi anni ha posto al centro dell’attenzione i dati di terze parti. Questi dati, raccolti e aggregati da fonti esterne non direttamente collegate alle aziende che li utilizzano, possono fornire preziose indicazioni su tendenze di mercato più ampie. Nell’attuale scenario della pubblicità digitale, i dati di terze parti sono sempre meno disponibili e stanno diventando più onerosi, rendendo gli zero-party data un’alternativa più interessante.
Sebbene ancora poco conosciuti da molti responsabili marketing, gli zero-party data forniti dai consumatori offrono un valore significativo a lungo termine per le aziende di qualsiasi dimensione e sono più convenienti rispetto ad altre opzioni, come l’acquisto di dati di terze parti o l’ingente investimento nella tecnologia di raccolta dei dati. E mentre i dati di terza parte possono spesso essere confusi con quelli di prima parte, esistono differenze sostanziali tra le due tipologie.
Gli zero-party data comprendono tutte quelle informazioni che un consumatore condivide in modo proattivo e intenzionale con un determinato brand. Tali dati possono riguardare, ad esempio, le preferenze di comunicazione, le intenzioni di acquisto, il feedback sui prodotti o il contesto personale. Questi dati possono essere raccolti attraverso vari strumenti, come sondaggi, quiz e omaggi, sempre preservando l’anonimato dei consumatori, e questo approccio salvaguarda le informazioni personali dei consumatori, garantendo il rispetto della loro privacy.
I dati di prima parte, invece, raccolgono i segnali degli utenti derivanti dal loro comportamento attraverso le interazioni sul sito, come i clic sulle pagine, l’apertura delle email, la storia degli acquisti, nonché le informazioni di registrazione come indirizzi email o numeri di telefono che i consumatori forniscono volontariamente al brand. Anche questi dati sono contenuti nell’ecosistema in cui sono stati raccolti e non possono essere collegati ad ecosistemi più ampi senza una specifica forma di condivisione dei dati.
Ricostruire la fiducia degli utenti
Il fatto che i consumatori trasmettano volontariamente i propri dati consente uno scambio di informazioni estremamente etico, trasparente e consensuale, in cui gli individui sono pienamente consapevoli di ciò che stanno condividendo, a chi stanno fornendo i propri dati e per quale motivo. Oltre a rispondere efficacemente alle preoccupazioni sull’uso responsabile dei dati, questo metodo di gestione degli insight rappresenta un solido punto di partenza per promuovere un maggiore coinvolgimento dei consumatori.
Gli zero-party data sono anche più ricchi e accurati rispetto ad altre tipologie. Essendo inviati direttamente dai consumatori, questi dati sono deterministici e corrispondono esattamente alle preferenze e alle intenzioni di acquisto effettive. Potrebbero così anche contraddire i dati probabilistici, basati sull’estrapolazione degli interessi dei consumatori partendo dalle loro altre azioni. Ad esempio, se un consumatore legge un articolo sulle recenti innovazioni tecnologiche nelle automobili, sarebbe probabilistico dedurre che ciò significa che il lettore è interessato all’acquisto di un nuovo veicolo. Tuttavia, se lo stesso consumatore compilasse un sondaggio in cui dichiara di voler acquistare una nuova auto nei prossimi 12 mesi, un responsabile marketing avrebbe un quadro molto più chiaro delle sue reali intenzioni di acquisto.
Una nuova era basata sull’etica
Le numerose possibilità offerte dagli zero-party data sono accompagnate da importanti requisiti per il loro utilizzo. Senza dubbio, il presupposto principale è un’attenta raccolta e gestione delle informazioni.
Concretamente, le aziende sono maggiormente sollecitate a seguire standard affidabili di gestione dei dati che coprano in modo coerente vari ambiti, tra cui l’implementazione di solide misure di sicurezza, la garanzia di piena trasparenza sulle modalità di utilizzo dei dati e il rispetto delle preferenze individuali in materia di privacy. Un elemento fondamentale della componente di trasparenza consiste nell’offrire opzioni di opt-out per i consumatori che non desiderino condividere i propri dati.
In una prospettiva più ampia, l’innalzamento del livello di responsabilità nei processi di trattamento dei dati contribuirà a creare un ecosistema pubblicitario più sano, in grado di soddisfare le esigenze di privacy e consentire agli operatori di marketing di ottenere un targeting più preciso e raffinato grazie all’approvvigionamento sostenibile di informazioni da parte dell’utente.
In conclusione, gli zero-party data possono fornire informazioni dettagliate sul pubblico di riferimento di un brand in modo altamente efficace e scalabile. Se combinati con altri metodi di targeting, come i dettagli semantici o i dati sulle richieste d’offerta, i responsabili marketing possono ottenere una grande quantità di informazioni per ottimizzare la pertinenza degli annunci e coinvolgere meglio i clienti.
L’evoluzione dei dati sui consumatori ha profondamente trasformato il modo in cui i brand comprendono e si relazionano con il proprio pubblico. Proprio in questo contesto, gli zero-party data hanno assunto un ruolo chiave nel porre un termine alla dipendenza dagli identificatori.
Il cambiamento di paradigma verso un approccio basato sulla privacy è ormai una realtà consolidata, e coloro che si affideranno a soluzioni a breve termine rischieranno di rimanere indietro sul lungo termine. Ponendo al centro la fiducia dei consumatori e la tutela della loro privacy, migliorando l’accuratezza e la pertinenza dei dati e sfruttando le intuizioni basate sui dati, i brand possono affrontare le attuali sfide pubblicitarie e sbloccare significative opportunità di crescita sostenibile”.