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Filippo Fasulo, ISPI: “La globalizzazione cede il passo alla ‘slowbalization’, mentre si diffondono reshoring e friendshoring: ma forse è già troppo tardi”

Fasulo
di Massimo Bolchi

Nella giornata di ieri, il presidente di Netcomm, Roberto Liscia, nel suo intervento aveva ricordato la geopolitica tra gli elementi che condizionano attualmente non solo i mercati di sbocco ma anche quelli di approvvigionamento. E oggi, a integrare e approfondire il tema, si è presentato sul palco del Netcomm Forum Filippo Fasulo, Co-Head, Geoeconomics Centre dell’ISPI, che ha presentate la sua analisi puntuale della situazione internazionale e della perdita di rilevanza del G7 nei confronti di paesi in più rapida crescita.

“L’Occidente – chiamiamo così per intenderci le nazioni tradizionalmente definite sviluppate – sta attualmente attraversando una duplice crisi, dovuta alla necessità di affrontare contemporaneamente le due maggiori rivoluzioni, quella digitale e quella ambientale“, ha esordito Fasulo. “Di conseguenza la globalizzazione, basata sul solo vantaggio economico, si è trasformata in ‘slowbalization’, in cui quello economico è solo uno degli elementi in gioco”.

Se a queste ‘insicurezze’ si aggiungono quella alimentare (olio e fertilizzanti su tutti) e quella militare, con nuove armi e nuovi utilizzi che sfidano (a voler essere generosi) sulla terra e nello spazio le tattiche tradizionali di cui l’Occidente è da tempo maestro, il quadro si fa decisamente fosco: non sorprende allora che vi siano reazioni quali quella del Giappone, che vuole riconquistare la propria ‘Economic Soveraignity’ riaffermando un certo grado di controllo sulle catene di fornitura, o quella di altri paesi che giudicano inaccettabile delegare forniture strategiche al altre nazioni,

“Recentemente il Segretario d Stato USA, Antony Blinken, ha riassunto in tre parole la nuova strategia: Invest, Allign, Compete“, ha ripreso Fasulo. “Investire per riportare in casa (reshoring) quelle attività il cui controllo non si può lasciare ai paesi stranieri (senza affermarlo esplicitamente, la Cina). Ove questo non sia possibile per ragioni economiche, scegliere paesi che non siano troppo lontani dal nostro modo di concepire il mondo – il famoso ‘friendshoring’ – il che spiega la crescita di nazioni come l’India o il Messico. Invece sulla aree in cui il vantaggio è evidente, impedire che altre nazioni possano colmarlo, con divieti all’export di tecnologia o macchinari strategici, o addirittura sanzioni economiche se necessario”.

Ma il punto è che forse è già troppo tardi: il PIL dei Paesi del G7 è crollato, percentualmente, dal 70% di quello globale di 30 anni fa al 43% attuale, mentre il PIL dei paesi del ‘global south’, che si riconoscono sostanzialmente nei BRICS allargati, i famosi BRICS+13, ha già raggiunto il 33% del valore mondiale, e continua a crescere.

Se da un lato si è affermata la necessità dell’economic security, che prescinde dagli aspetti puramente economici, finora dominanti, per prendere i considerazione i rischi politici di ogni mossa, il mondo è diventato più grande, e non si può più respingere la richiesta del ‘global south’ di concorrere a scrivere insieme tutte le regole del gioco, da quelle dei mercati a quelle del futuro dell’AI. Il tutto all’interno di un mondo che è sempre più insicuro e affollato di nuovi attori dalla collocazione politica quanto meno incerta, guardandola con gli occhi occidentali.

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