2.7 miliardi: questa sono state le persone che hanno giocato con videogame nel 2020. Un valore dello stesso ordine di grandezza del numero degli user di Facebook e di Instagram. Soprattutto, un numero di utenti destinato a superare i 3 miliardi entro il 2023. Il gaming è ormai uno spazio vissuto da persone di ogni fascia d’età e sesso, ma è soprattutto un luogo di interazione e di conversazione. Anche i numeri quanto a investimenti sono ‘esplosivi’: si parla di oltre 200 miliardi di dollari entro il 2023, all’interno di una industry che già al momento genera più revenue di quella del cinema e della musica messe insieme. In questo scenario WE ARE SOCIAL ha esplorato le opportunità per i brand durante il suo ‘WTFuture Social Gaming’.
“Il mondo è cambiato molto rispetto a quando siamo nati in Italia ormai più di 10 anni fa”, ha esordito Luca Della Dora, Innovation Director We Are Social, introducendo i temi del WTFuture. “Oggi è sempre più centrale il ‘social gaming’, che include il gioco, le piattaforme come Twitch e Discord, ma soprattutto la persone che si connettono in tutti i modi possibili per dare vita a un’infinità di community di spettatori, commentatori e player attivi a tutti i livelli”.
Perché ormai tutti sono diventati ‘gamer’, senza distinzioni di sesso – il 94% delle donne tra i 16 e i 24 anni è attiva nel gaming – né di età: basti pensare che quasi sette donne su dieci tra i 55 e i 64 anni (sulla carta le meno attirate del gaming), giocano senza problemi. La spiegazione di questa penetrazione è il mobile, che ha fatto sì che sempre più persone giocassero, sempre più spesso e in contesti dove prima non era possibile giocare.
Le barriere d’ingresso di conseguenza sono molto basse, quasi inesistenti. Se in precedenza era possibile giocare solo da consolle e computer, oggi esistono tanti dispositivi attraverso cui giocare e anche modalità nuove: online, multidevice, cloud… “Ma la cosa più importante è che le persone ormai giocano non solo per il gusto di sfidare le altre persone ma anche – e a volte soprattutto – per socializzare con altri giocatori”, sottolinea Della Dora. “Anche se una persona non gioca in maniera intensiva, fa parte probabilmente di questo mondo perché magari assiste alle partite su twitch o si trova all’interno delle conversazioni che ne parlano. Lo spettatore su Twitch è coinvolto al 100% e dobbiamo imparare a considerarlo un social più che una ‘semplice’ piattaforma di streaming video”.
La differenza fondamentale è che le persone quando si trovano su un social network sono ‘distratte’ dal contesto, mentre il pubblico dei gamer mantiene una maggior attenzione e coinvolgimento. Quando si parla di giochi e social, e della loro relazione positiva, ovviamente non si discute di giochi come Farmville ma di game che hanno importanti elementi di socialità, anche se non hanno apposite feature, come ad esempio Fortnite, Among Us, League of Legends. E questi ambiti sono quelli, come vedremo più avanti, che rappresentano i case study di maggior successo per i brand.
Una relazione intima tra lo streamer e la sua fanbase: la ragione del successo di Twitch
“Non c’è una fruizione passiva diffusa su Twitch: circa il 70% degli oltre 2,5 milioni di streamer è attivamente coinvolta. Twitch una vera e propria community”, ha sottolineato Nicoletta Besio, Sales Director Twitch Italia. “Oggi i videogiocatori sono delle vere e proprie star: la novità è che si è azzerata la distanza tra lo streamer famoso e il suo fan: questo non accade nel mondo ‘reale’ dove la ‘distanza’ tra uno spettatore allo stadio e il suo idolo è immensa. Invece il fan di Ninja, una star che ‘fa’ gli stessi numeri di Ronaldo, è lì che commenta e partecipa in prima persona al game che vede svolgersi sotto i suoi occhi”.
Ma su Twitch non c’è solo gaming, che rimane comunque all’interno del suo DNA, ci sono anche tanti utenti e numerosi brand che fanno cose diverse, in una evoluzione che ha marcato il passaggio dalla specializzazione su tutte le forme di ‘gaming’ a diventare, semplicemente, la ‘casa dell’entertainment’ senza ulteriori qualifiche. Ad esempio, la presenza di tutto quello che non può essere ricondotto al gaming è quadruplicato come volume. Basti pensare, per l’Italia, agli ultimi Campionati Europei di Calcio, con il successo travolgente della Bobo TV e di inziative simili, e, allargando lo sguardo a tutto il mondo, alla musica, che ha portato su Twitch la sua modalità live per superare le restrizioni della pandemia.
Ecco allora che Twitch è diventato appetibile per i brand che cercano di comunicare con i target più sfuggenti, quali Millennials e GenZ, che non apprezzano più la pubblicità tradizionale, e che trovano qui un modello di interazione attiva che è in grado di catturarli, con gli streamer coinvolti direttamente in questo processo.
“Non è solo l’audience, è il tipo di interazione attiva che si può sviluppare con il media a fare la differenza”, evidenzia ancora Nicoletta Besio. “I brand possono essere presenti con i classici spot o con modalità interattive grazie agli streamer, come Pringles in UK con protagonista lo Zombie Frank uscito addirittura dallo schermo in una riuscita trasposizione dal digitale al fisico; o Burberry, che ha portato la sua sfilata solo su Twitch”.
Tutti i brand possono trovare la loro opportunità di ingaggio, poiché le audience comprendono il ruolo essenziale del brand a supporto dell’intero ecosistema, in maniera divertente e coerente rispetto al servizio/prodotto offerto. Community e streamer vanno di pari passo, non si possono separare. I brand devono tenere conto di questo. Gli streamer e i content creator, in particolare, hanno un ruolo fondamentale perché sono loro che hanno contribuito a determinare l’evoluzione dei contenuti sulla piattaforma e sono protagonisti di quel legame forte con la community, che non può essere delusa.
“Non siamo noi a definire il futuro di Twitch, ma lo faranno i gamers e la loro community”, ha concluso Besio. “È difficile decifrare cosa accadrà nel prossimo futuro: molte storie di successo arrivano dalla creatività dei nostri streamer. Noi dobbiamo continuare a fornire gli strumenti e gli abilitatori che servono per interagire con la community, arricchendo sempre di più i contenuti. Dagli USA, per esempio, stanno arrivando anche i contenuti politici”.
Oggi i ragazzi non vogliono più diventare calciatori ma gamers
“I gamers oggi sono streamers, content creator e influencer allo stesso tempo”, è intervenuto Alessandro Sciarpelletti, Executive Creative Director We Are Social. “Nel mondo del gaming, il virtuale e il reale oggi sono la stessa cosa: si gioca per crearsi nuove relazioni sociali che vengono poi trasportate nel mondo reale, mentre dall’altro lato si gioca nel mondo virtuale coinvolgendo i propri amici reali, quelli che si incontrano tutti i giorni. Una contaminazione senza precedenti. Si pensi ad esempio a un evento reale quale il concerto di Trevis Scott, che ha registrato numeri stratosferici anche a causa della pandemia, che si è tenuto su Fortnite, un metaverso per eccellenza”.
Ed è da questa premessa che si può partire per esaminare il rapporto tra gaming e brand, prendendo magari spunto da un caso di successo quale il Global Pride Crossing (il Pride Day sulla piattaforma di Animal Crossing): ascoltare una problematica nel mondo reale e trasformarla in un driver di connessione nel mondo virtuale. Nel mondo del gaming questo accade sempre più spesso, inserendo un messaggio, anche non esplicitamente commerciale, all’interno di un’esperienza di gioco.
Da queste premesse deriva una sorta di sintesi delle indicazioni per i brand, che si trovano a muoversi in un territorio nuovo, per target, messaggi e protagonisti. Ecco allora due case history che ben rappresentano la ‘nuova sensibilità’ necessaria per impadronirsi delle gaming room e trasformarle in qualche cosa di diverso: la partnership tra Luis Vuitton e Riot Game, che ha fatto del lusso un nuovo spazio vissuto dai gamer, l’attività di Lavazza per Voicy, e l’azione di Vodafone con due degli streamer italiani più noti, Power e FaviJ, coinvolti in una sfida senza esclusioni di colpi.
Perchè per i brand è necessario mettersi innanzitutto nei panni del gamer, capire di che cosa e come si sta parlando, intervenire senza interrompere l’esperienza di gioco, anzi aiutando le persone a continuare a giocare e coinvolgendo non solo gli hard gamer ma tutta la loro community per amplificare il messaggio al di fuori fuori della cerchia ristretta di appassionati. Diventa indispensabile allora sfruttare tutti i canali disponibili (non solo Twitch ma anche Discord e Reddit) e l’intero ecosistema che questi mondi possono offrire, misurando quello che succede in ogni momento: queste piattaforme sono molto strutturate anche dal punto di vista degli analytics.
I brand che entrano in questo mondo polimorfo devono essere coscienti che non vanno più – ammesso che vi sia stato un tempo così – a parlare con ‘ragazzini chiusi nelle loro camerette’, secondo il cliché stantio dei gamer: il mondo gaming è il più grande social network esistente. Si gioca per creare connessioni, che rappresentano altrettante opportunità per brand e inserzionisti, purché si rispetti la norma principale, assicurandosi di non interrompere l’esperienza ma, al contrario, di favorirla e ampliarla, trasportandola su terreni analoghi e allargando, per cerchi concentrici, la sua presenza.