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Ecommerce cross border: cos’è e come si fa. Normativa, ascesa dei marketplace e Brexit nell’analisi di Go Global Ecommerce

Simone De Ruosi, CEO Go Global Ecommerce

L’Italia ha chiuso un 2021 buono oltre ogni previsione per quel che riguarda l’export e secondo gli ultimi dati disponibili forniti dal politecnico di Milano la quota cross border della vendita online di Made in Italy ha toccato e superato i 14 miliardi di euro (dati 2020).

Le esportazioni via eCommerce, quindi, sono sempre più un driver della nostra economia e uno strumento per il rilancio delle aziende italiane in un’ottica globale. Ma se vendere grazie al web fuori dai confini non sembra essere un’attività opzionale, altrettanto scontata non è la capacità delle aziende di far fronte a tutte le incombenze che riguardano questo aspetto del business. Ne abbiamo parlato con Simone De Ruosi, CEO di Go Global Ecommerce, azienda di soluzioni per le vendite online transfrontaliere.

Go Global Ecommerce oggi lancia sul mercato un nuovo software, Reconcile, che ha come scopo quello di aiutare chi vende online nell’attività di riconciliazione. Cosa si intende per riconciliazione e perché è tanto importante?

Per riconciliazione si intende il fare combaciare le fatture, ricevute, note di credito del sito eCommerce con i pagamenti. È un qualcosa di basico in contabilità e amministrazione, ma la sua complessità aumenta quando parliamo di un progetto eCommerce che prevede diversi metodi di pagamento e diversi flussi per ciascuno di questi. Il nostro software rileva differenze di incasso, errori di doppia fatturazione, delta nei tassi di conversione, commissioni dei metodi di pagamento. Reconcile è il frutto di 22 anni di esperienza sul campo e raccoglie soluzioni a problemi che via via nel corso del tempo abbiamo risolto.

Al pari della riconciliazione, quali sono le altre incombenze che pesano sulla gestione di un eCommerce che vuole vendere cross border?

Sono ormai innumerevoli, poiché la normativa fiscale e legale varia da paese a paese, così come le abitudini dei consumatori. Bisogna tenere conto di gestione IVA o sales tax, privacy policy, metodi di pagamento, frodi, tasse ambientali, tasse sui prodotti specifici (elettronica, alcool, etc), documenti doganali di ciascun paese. Insomma, il rischio è di passare il tempo a occuparci di queste operazioni, rischiando magari di commettere errori e incorrere in sanzioni, anziché concentrarsi su prodotto e sul marketing del prodotto che vogliamo vendere, è davvero altissimo.

Dal vostro punto di osservazione: c’è vita oltre Amazon?  Cioè gli eCommerce dei singoli brand possono vincere la sfida online? Se sì come?

C’è molta vita, per tanti motivi. Prima di tutto bisogna chiedersi: quali sono i rischi? Amazon è un’azienda privata e sarebbe davvero rischioso basare la propria presenza online unicamente su di esso. Negli anni, infatti, abbiamo assistito a non pochi casi di business che hanno dovuto chiudere i battenti da un giorno all’altro, perché Amazon è entrato nel mercato con un proprio prodotto, non lasciando spazio ai competitor.

In secondo luogo, attenzione al valore del brand. La presenza online/offline è ormai fluida e non si può non dare ai clienti un’esperienza coerente alla value proposition del prodotto su tutti i canali. Poi, avere un proprio commerce è anche d’aiuto per conoscere i clienti a 360 gradi e per orientare correttamente le proprie strategie. In ultimo, il mercato. Amazon espone i brand a più attacchi sotto diversi fronti: competitor globali e locali, enorme quantità di prodotti con la difficoltà di emergere, nascita di marketplace verticali (Decathlon per lo sport, per esempio). In un contesto così competitivo e in continuo cambiamento, la soluzione migliore è sempre quella di presidiare diversi canali,

Il 2021 è stato l’anno dei marketplace. A suo parere un brand deve sempre scegliere se investire sui marketplace oppure su un proprio canale di vendita online? Oppure i due canali possono coesistere?

I due possono assolutamente coesistere, sono canali di vendita differenti utilizzabili secondo la strategia aziendale. Per i marchi più grandi e riconosciuti, si può pensare di creare il proprio marketplace e monetizzare la propria presenza online anche così.

Quali sono i prodotti più difficili da vendere cross border?

I prodotti ad alta regolamentazione: alcool su tutti, questa merce inoltre ha anche dazi doganali molto costosi da gestire. Ma non solo, anche altre industry, come ad esempio, l’elettronica, rientrano in questa categoria.  Poi naturalmente ci sono i settori difficili da un punto di vista logistico: pensiamo all’arredamento, all’impiantistica…

La Brexit ha molto cambiato il commercio cross border verso UK?

Assolutamente. Da paese UE, senza dogana e senza dazi, è diventato un paese extra-UE, con dogana e dazi. Al di là delle questioni operative, assimilabili agli altri paesi extra europei, i maggiori costi e tempi di spedizione hanno ridotto gli acquisti dai clienti UK e quindi diminuito notevolmente i tassi di conversione.

Il conflitto russo – ucraino peserà anche sul commercio online?

Gli effetti di questa situazione drammatica già si avvertono, poiché le spedizioni cominciano a subire blocchi e rallentamenti. Il tutto rientra in un frame più ampio, legato alla crisi energetica: l’aumento dei prezzi causerà insieme effetti recessivi, riducendo il potere di acquisto dei consumatori, e inflattivi – poiché farà aumentare il costo dei prodotti. Niente di positivo insomma.