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Deloitte Innovation Summit: tra Intelligenza Artificiale e Intelligenza Umana ormai è simbiosi. 4 imprese italiane su 10 investiranno in AI nei prossimi 3 anni, il 98% di chi l’ha già usata continuerà a farlo. E c’è chi ci farebbe anche amicizia

AI Deloitte
di Maurizio Ermisino

L’Intelligenza Artificiale non è il futuro ma il presente: è costantemente tra noi ed è qui per completare e aumentare le nostre capacità. Tanto che tra Intelligenza Artificiale e intelligenza umana ormai si può parlare di simbiosi: le due componenti infatti sono destinate a lavorare insieme e a diventare una l’estensione dell’altra.

È questa la visione, forte e decisa, che è emersa ieri all’Innovation Summit di Deloitte, appuntamento periodico che approfondisce l’evoluzione e l’impatto dell’innovazione su cittadini, imprese e sul nostro pianeta, che si è tenuto al Museo MAXXI di Roma. ‘Oltre l’Artificiale: il futuro dell’intelligenza’ era il titolo di questa edizione, un titolo che già di per sé vuole dire molto.

Entro quest’anno 80 milioni utilizzeranno l’AI generativa solo negli USA

Per molti quella dell’Intelligenza Artificiale è una nuova era, una vera e propria rivoluzione: alcuni la paragonano all’impatto che ha avuto l’avvento dell’iPhone, altri all’invenzione dell’energia elettrica. Sui media negli ultimi giorni abbiamo letto fiumi di parole sulle vicende di Open AI, l’azienda che ha ‘inventato’ ChatGPT, con la fuoriuscita del Ceo e il suo ritorno. Dietro a questi movimenti ci sono due visioni dell’AI: una più etica e un’alta più commerciale, chi pensa che debba essere una tecnologia libera e a favore dell’umanità, chi che debba portare profitto. Fatto sta che l’AI oggi è sulla bocca di tutti.

Come ha illustrato nel suo intervento Andrea Poggi, Deloitte Central Mediterranean Innovation Leader, nell’ultimo anno la stampa italiana ha citato ChatGPT 30mila volte. La stima è che entro la fine di quest’anno 80 milioni di persone utilizzeranno qualsiasi forma di AI generativa solo negli Stati Uniti. L’AI è considerata il volano della crescita economica: più di 310 miliardi di affari avverranno grazie all’AI (+40%) entro il prossimo anno. In Italia gli investimenti delle startup legate alle AI ai sono cresciuti del 90%. I venture capitalist hanno investito più di 21 miliardi e mezzo di euro, quando lo scorso anno erano cinque. 1 italiano su 2 utilizza l’AI generativa e il 38% delle imprese ha applicazioni fondate sull’AI.

Il 98% delle aziende ha usato l’AI ha intenzione di aumentare gli investimenti

Alcuni pensano che quella dell’Intelligenza Artificiale possa essere una bolla finanziaria. Secondo J.P. Morgan le aziende che hanno investito in AI hanno un trend di crescita simile ad alcune aziende che sono cresciute in occasione delle bolle finanziarie. Alcuni pensano che possa essere una bolla industriale, come il metaverso, che – per ora – non ha portato ancora grossi risultati. Secondo Deloitte l’AI è una vera e propria rivoluzione. Come le rivoluzioni precedenti, sta crescendo con una pervasività e una velocità senza precedenti. Deloitte ci crede fortemente proprio per l’utilizzo che viene fatto da imprese e cittadini: l’80% dei cittadini dopo averla provata crede che cambierà il nostro modo di vivere. Il 98% delle aziende che l’ha usata ha intenzione di aumentare gli investimenti. È una tecnologia che ha un impatto strutturale. Una grossa parte della ricerca scientifica, a detta degli scienziati stessi, oggi poggia completamente su tecniche di AI. Lo dice anche Giorgio Metta, presidente dell’IIT, ed è difficile pensare che sia una bolla.

L’AI è la chiave con la quale potranno essere vinte le sfide dell’umanità, come quella della sostenibilità ambientale: grazie a queste tecnologie potremmo ridurre del 4 % le emissioni dei gas serra entro il 2030 e stimare, con sei mesi d’anticipo, i danni alle foreste, prevenirli ed evitare così la deforestazione. Quanto alla demografia e alla nutrizione, si eviteranno gli sprechi di cibo e si riusciranno ad allocare meglio le risorse e, creando i gemelli digitali delle piante, grazie all’AI si riuscirà a ottimizzare l’utilizzo della luce e a contenere così i costi. Le nuove tecnologie stanno già impattando sulla nostra salute: le sperimentazioni hanno dimostrato che l’AI può dimezzare gli errori in sede diagnostica e può ridurre i costi delle terapie del 20%.

Il 59% delle imprese italiane ha già sperimentato qualche strumento di AI

Secondo la ricerca di Deloitte il 59% delle imprese italiane ha già sperimentato qualche strumento di AI: automazione e ottimizzazione dei processi (38%), analisi dei dati (16%) e gestione dei rischi (15%) sono le applicazioni AI più diffuse. È uno strumento importante in materia di sostenibilità ambientale: secondo le aziende l’AI potrebbe fare la differenza nell’efficienza energetica (70%), nella riduzione dell’inquinamento (57%) e nell’economia circolare (41%). La carenza di competenze tecniche è un ostacolo all’adozione dell’AI per 4 imprese su 10. Il 25% dei cittadini ha provato applicazioni per la generazione di testo come ChatGPT e Bard, il 15% continuerà a farlo. Le traduzioni (43%), gli assistenti vocali (40%) e le previsioni del traffico in tempo reale (37%) sono le applicazioni di AI più usate nella vita quotidiana. Il 41% degli intervistati potrebbe fare amicizia con un’intelligenza artificiale, il 31% tende a escluderlo, il 28% lo troverebbe ‘impossibile’ e ‘inquietante’. Il 38% dei cittadini crede che l’utilizzo dell’AI possa avere applicazioni positive in ambito salute, mentre 3 su 10 sperano che l’AI possa portare a una semplificazione burocratica (31%).

Una profonda integrazione tra AI e intelligenza umana: una joint venture, una simbiosi

In ogni caso dietro ogni algoritmo servirà una verifica della intelligenza umana. L’Intelligenza Artificiale non sostituirà la nostra. Ed è proprio questa la chiave di lettura, il punto di vista che Deloitte vuole proporci oggi. Tra Intelligenza Artificiale e intelligenza umana non ci deve essere antagonismo, non sono due realtà che lottano una contro l’altra. E non basta nemmeno pensare che ci sia una necessità di collaborazione, di dover convivere, un modo di essere che porta sempre a un certo sospetto. Secondo Deloitte, come spiega Andrea Poggi, bisogna arrivare a una profonda integrazione tra Intelligenza Artificiale e intelligenza umana: una joint venture, una simbiosi in cui l’AI può essere riconosciuta come motore di crescita dell’intelligenza umana e l’AI deve riconoscere la guida dell’uomo. Per questo, non ci dobbiamo solo aprire all’AI, ma dobbiamo informarci e formarci: solo se conosciamo l’AI possiamo accettarla e farne un uso consapevole.

Proprio la consapevolezza e la formazione, secondo il 40% delle aziende, è l’elemento più importante. Le autorità internazionali i governi devono però definire un quadro normativo snello, semplice, fatto di poche regole che non imbrigliano l’AI ma che siano fondate su principi etici. La regolamentazione non deve essere troppo normativa, e in questo modo bloccare lo sviluppo delle AI, né essere una sorta di deregolamentazione. Le imprese, infine, hanno il compito di rilasciare nuovi servizi a cui gli esperti di AI devono lavorare con gli altri elementi delle aziende. In questo modo si può arrivare un’intelligenza simbiotica. Che può esprimersi al meglio nei campi della salute e della medicina, della transizione energetica e della finanza.

Paolo Benanti: “L’umano deve restare al centro e l’AI deve restare un utensile”

L’Intelligenza Artificiale, come abbiamo visto, è un mondo che porta in sé già molte certezze. Ma anche ancora tante domande e tanti dubbi. A questi hanno cercato di rispondere alcuni esperti. Paolo Benanti, Professore presso la Pontificia Università Gregoriana, ritiene che si debba fare “una cosa un po’ diversa da questa intelligenza simbiotica di cui si parla. L’umano deve restare al centro e l’AI deve restare un utensile: noi uomini dobbiamo scrivere un altro capitolo di quel libro dell’etica che abbiamo scritto finora”. Per utilizzare le nuove tecnologie, non serve conoscere a fondo il loro funzionamento, ma ciò che implicano. E si auspica una sorta di ‘patente di guida’ per chi dovrà lavorarci. Chi potrà averla, “lo decide lo Stato, con accordi internazionali e in base alle variazioni della tecnologia”, continua Benanti. Ma devono essere anche le stesse aziende che la utilizzano a controllare le AI. Secondo Jaap Zuiderveld, Vice President EMEA di Nvidia, ogni azienda dovrebbe “avere una stanza energetica con un triage etico per le AI, dove porsi una serie di domande che chiunque deve applicare e a cui chiunque deve rispondere”.

Stefano De Alessandri: “Nel medio termine l’AI aprirà nuovi mercati o nuovi prodotti, nel lungo ridefinirà l’ecosistema dell’editoria”

Le AI stanno cambiando profondamente settori come quello dell’editoria, della ricerca, delle telecomunicazioni. Pensiamo all’editoria: la precedente rivoluzione, quella di internet, ha lavorato sulla distribuzione dei contenuti. Qui, per la prima volta, non si toccano aspetti distributivi ma la creazione vera e propria dei contenuti. “Nel breve periodo quello che stanno facendo gli editori è valutare l’impatto delle AI come aumento della produttività per fare meglio o in numero maggiore le cose che stiamo sta facendo”, è intervenuto Stefano De Alessandri, CEO di Ansa. “Presumibilmente nel medio termine l’AI aprirà nuovi mercati o nuovi prodotti. Nel lungo termine si apre uno scenario con una ridefinizione integrale dell’ecosistema”. Ma come possono fare i media a comunicare questa rivoluzione? “Dobbiamo fare informazione: essere pronti, non avere pregiudizi, altrimenti torniamo alla vecchia dialettica tra apocalittici e integrati”, risponde Luciano Fontana, Direttore del Corriere Della Sera. “Avere l’umiltà di affidarci alle competenze, alle fonti, essere oggettivi, fare un passo indietro rispetto all’esuberanza che ci può prendere come giornalisti nel descrivere le cose. Affidarsi agli esperti e metterli a confronto. Saper fare quello che normalmente un giornalista dovrebbe fare”.

Luciano Fontana: “I giornali devono aprire la testa, non chiuderla”

Il rischio è che, tra fake news e immagini generate automaticamente, accada – e sta già accadendo – che le persone non credano più alle notizie. Come fare a evitare questo? “Evitando di non ricorrere all’intermediazione dei giornalisti”, risponde De Alessandri. “La stampa di qualità la fanno le persone di qualità che fanno un lavoro estremamente importante. Dobbiamo assicurare trasparenza”. Ma, in realtà, molti dei giornalisti si chiedono prima di tutto se e quando accadrà che le AI scriveranno i testi al loro posto. “È probabile che qualcuno lo farà, qualche sito sarà confezionato tramite le AI”, commenta Fontana. “Ma è molto bello che nei giornali alcuni lavori molto routinari siano fatti dalle AI mentre i giornalisti si dedicano di più ad andare per le strade a raccontare i fatti. L’ elemento che mi preoccupa di più è la qualità dei dati: alcune ricerche realizzate con le AI non dicono più quali sono le fonti”. Le AI, nel giornalismo, possono sostituirci nei lavori a più basso valore aggiunto. “Tutti noi facciamo lavori ad alto e basso lavoro aggiunto”, ragiona il CEO di Ansa. “Cerchiamo di liberare più tempo possibile per fare i lavori ad alto valore aggiunto. Ci sono lavori che sono umanamente non sarebbero possibili: riceviamo 40 mila notizie in entrata ogni giorno e non c’è essere umano che potrebbe fare il lavoro di analizzarle”. Il rischio è però che le AI gestiscano le news che ci arrivano e ci si trovi in una bolla in cui troviamo solo cose di nostro interesse. Come si può personalizzare senza chiuderci all’esterno? “La personalizzazione è importante, coltivare gli interessi delle persone è importante”, riflette il Direttore del Corriere. “È importante non chiuderle in una bolla: altrimenti tratto le notizie che mi piacciono, alimentano le mie convinzioni, alimentano i miei pregiudizi e mi mettono in contatto solo con persone che le pensano come me. I giornali non devono fare pacchetti di informazioni che sono lo specchio dei loro lettori. Devono aprire la testa. Non chiuderla”.

Maria Chiara Carrozza: “L’AI è un grande acceleratore della ricerca”

Come è stato più volte ribadito, le AI sono e saranno un elemento fondamentale per la ricerca scientifica. “L’AI è un grande acceleratore della ricerca”, commenta Maria Chiara Carrozza, Presidente del CNR. “Le applicazioni di AI hanno cambiato completamente certi settori, come la manipolazione delle proteine negli spazi, hanno creato nuovi farmaci, nuovi materiali. E chi vuole fare ricerca in questi settori non può non dotarsene e utilizzarli”. Servono ovviamente anche grandi capacità di calcolo. “C’è bisogno di infrastrutture di super calcolo, per processare un’enorme quantità di dati”, spiega Alessandra Poggiani, Direttrice Generale di CINECA. “Queste grandi capacita di calcolo e di archivio di dati le mettiamo a disposizione di ricercatori e imprese. Grazie agli investimenti del governo italiano e della Commissione europea abbiamo l’infrastruttura di super calcolo sesta nel mondo”. Le nuove tecnologie hanno spesso a che fare anche con i sogni. Ed è questo il bello. Pensando alla ricerca, Maria Chiara Carrozza svela: “Il sogno della mia vita è un paziente tetraplegico e paraplegico che si alza e riesce a comandare un robot che gli permette di fare ciò che fino a quel momento era impossibile”.