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Dario Franceschini, il MIBACT e la ‘Netflix italiana’. Il successo della Prima della Scala favorisce il prossimo lancio. Ma non mancano i contrari ai ‘boiardi della cultura’

“L’Europa intera è il più grande produttore di contenuti culturali. In un contesto sempre più digitale, accelerato dalla pandemia, è venuto il momento di costruire una piattaforma comunitaria che offra la cultura europea online. Noi l’abbiamo fatto in Italia, finanziando con 10 milioni di euro una piattaforma pubblica che partirà nei prossimi mesi che offrirà tutta la cultura italiana online: prosa, teatro, danza, musica, concerti”. Così nei giorni scorsi, all’inizio del mese di Dicembre, il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini, anticipava la prossima ‘Netflix italiana’, che vedrà la luce, operativamente, nei mesi a venire. D’altra parte, anche la storica ‘prima’ della Scala, trasferita a forza di Covid-19 sulle piattaforme digitali e della Rai, è stata un grande successo di pubblico, con oltre il 15% di share. Un bel biglietti da visita per la nuova iniziativa, pur tra le inevitabili punzecchiature – “l’espediente [il trash colto di Livermore (ndr)] è stato piuttosto deludente”, ha scritto Aldo Grasso sul Corriere – e le precisazioni, che sanno di scusa anticipate, come quelle del Maestro Riccardo Chailly: “La nostra è una professione pubblica, ma La Scala non è questo. Sono solo frammenti di ciò che ci appartiene”.

Ma la di là di queste, e anche più delle pesanti critiche – si pensi per esempio a Paolo Isottail progetto è già tracciato, con la partecipazione di due entità: una pubblica, la Cassa Depositi e Prestiti che avrà il 51% del capitale della nascente Netflix nazionale, e una privata, Chili, piattaforma per lo streaming tv a pagamento, finanziata da fondi, dalla famiglia Lavazza e da un nutrito gruppo di noti investitori privati, oltre che alcuni big internazionali del settore entertainment. A questi si aggiungerà il contributo del MIBACT, che fornirà, come già detto, altri dieci milioni di euro, secondo quanto recita il Decreto Rilancio, al comma 10 dell’art. 183, “Al di fine di sostenere la ripresa delle attività culturali, il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo realizza una piattaforma digitale per la fruizione del patrimonio culturale e di spettacoli, anche mediante la partecipazione dell’Istituto nazionale di promozione (…) che può coinvolgere altri soggetti pubblici e privati. (…) Per le finalità di cui al presente comma è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per l’anno 2020”.

Gli investimenti sono per ora tutto sommato contenuti, soprattutto rapportati a quelli della ‘vera’ Netflix e dei suoi colleghi: per il proprio 49% Chili, infatti, sborserà circa 9 milioni, in ‘capitali, tecnologia e knowhow’. D’altra parte i bilanci più di tanto non consentono: Chili è all’ottavo anno consecutivo chiuso in perdita, e al suo interno iniziano a emergere divergenze fra i soci, mentre la partecipazione di Lavazza è stata svalutata quest’anno con una maxiriduzione all’interno del bilancio della Finlav (la finanziaria della famiglia) passata dai 29 milioni a soli 900.000 euro di valorizzazione.

Di sicuro la presenza della Cassa Depositi e Prestiti assicura il coinvolgimento dei politici e, soprattutto, dei boiardi di Stato: con quali risultati è ancora presto per dirlo. Ma non per temerlo…