di Monica Gianotti
A giugno dell’anno scorso HAVAS MEDIA NETWORK (HMN) lanciava CSA, la sigla globale che incorpora le competenze in Dati e Tecnologie all’interno del network. Con il Chief Data Officer Daniele Frattini facciamo un bilancio, in termini di risultati e di modalità di business, di questo anno e mezzo di lavoro che ha visto, dirompente, l’arrivo dell’Intelligenza Artificiale che, come scopriremo nell’intervista, ha tante aree di applicazione – nel mondo media e non solo – ma anche tante grandi potenzialità ancora inespresse.
“Quando CSA è nata – un anno e mezzo fa – l’Italia è stata fortemente voluta come paese pilota. Havas Media Network aveva diverse unit nel mondo che si occupavano di dati e l’idea è stata quella di riunirle tutte sotto un’unica sigla con l’obiettivo di accelerare la comprensione dei clienti, migliorare i risultati di business e raggruppare tutte le unit del Network che avessero a che fare con i dati.
Oggi il mio team è cresciuto e riunisce tutte le competenze in materia di dati – dal tradizionale media research, alle tecnologie per la gestione dei dati interna, a tutta la parte di client data. In più, sempre in Italia, CSA ha anche una valenza come creazione di prodotti a valore aggiunto e genera revenue additive al media. Questo è reso possibile dal fatto che abbiamo gli strumenti per ‘ascoltare’ le persone sia quando ci raccontano qualcosa – attraverso le ricerche di mercato – sia quando acquistano qualcosa – attraverso la creazione di modelli econometrici e di attribuzione. Nell’ultimo anno, poi, abbiamo implementato tecnologie in grado di ‘ascoltare’ le persone quando semplicemente ‘vivono’ online. Ovvero, monitoriamo tutte quelle attività che non sono media puro ma che fanno da assist al media – noi le chiamiamo ‘digital booster’ – come ad esempio il SEO, il CRO (Conversion Rate Optimization) e gli analytics, inclusi i tracciamenti sui siti.
Questo è il taglio che abbiamo dato a CSA in Italia: per noi non è tanto importante la quantità dei dati che possediamo, quanto conoscere l’individuo che ha generato quei dati. Il fatto, poi, di aver all’interno di CSA anche tutta la parte di dati per il media ci ha permesso di creare un ecosistema unico, molto umanizzato e ibridato, su tutta la catena del valore dei media, e non soltanto sul digitale, spesso erroneamente indicato come il solo fruitore dei data analytics. Tutto questo ci sta dando un buon vantaggio competitivo”.
Quanto è importante per un brand comprendere al meglio il valore dei dati? Quali strumenti mettete in campo per rispondere ai bisogni dei vostri clienti in questo ambito?
Per rispondere a questa domanda devo fare un inciso sulle industry che possono lavorare per un cliente sul tema dei dati: ci sono le consultancy firm, le agenzie di comunicazione e tutto l’universo dei system integrator. Una volta questi tre mondi erano nettamente separati: ora invece si stanno unendo, soprattutto le agenzie di comunicazione e le consultancy firm. Questa commistione fa sì che il cliente stesso non si rapporti più con singole persone dedicate a ciascun fornitore, ma con team integrati in grado di seguire tutte le fasi della strategia di comunicazione. E questo lo stiamo notando già a partire dai brief di gara che si sono trasformati in brief sempre più integrati e complessi: non si chiede più, salvo poche eccezioni, solo il media ma strategie che integrino anche altre necessità come i dati, la creatività. Le aziende stanno abbattendo i silos al loro interno: non è più possibile lavorare in modo isolato. Un team da solo non può rispondere a un brief complesso, ma l’integrazione delle competenze può farlo.
In questo contesto, noi come Network siamo fortunati. Da tempo abbiamo adottato un approccio strategico che integra tutte le competenze e beneficia della vicinanza fisica all’interno dello stesso ‘Village’. Possiamo quindi affermare di essere ‘nativamente’ integrati. La parola ‘integrazione’ è usata da tutti con facilità, ma è una parola che nasconde molta profondità. È un tema umano, di relazione, di capacità di comunicare. Dobbiamo iniziare a parlare un linguaggio comune e a farlo con serenità.
Tornando a come rispondiamo ai bisogni dei clienti: lo facciamo proprio in questo modo, creando al nostro interno una ‘biodiversità’ che sia in grado di fornire risposte a domande sempre più articolate e olistiche.
Sembra che il mondo della comunicazione non possa più fare a meno dell’AI. Quali sono le aree in cui questa tecnologia può fare davvero la differenza?
L’anno scorso, in piena fase di hype, abbiamo eseguito una ricerca per capire come veniva percepito il fenomeno AI dagli italiani e ci siamo accorti che tutti ne parlavano ma nessuno era in grado di spiegare esattamente quali fossero le potenzialità di questa tecnologia. Poi c’è stato un cambiamento improvviso e si è iniziato a intravedere come l’AI potesse avere un impatto sul processo produttivo. Oggi, a mio avviso, sono tre le aree principali di applicazione dell’intelligenza artificiale alla filiera della comunicazione: AI per il targeting, AI per il contenuto, AI per l’attivazione media.
Partendo dall’identificazione del target si può agire in due modi grazie all’AI. Il primo è velocizzare il processo di studio e analisi del target che si avvale di software e banche dati che richiedono molto tempo per essere utilizzate dai professionisti. Questa è la parte sulla quale ci siamo attivati da subito, con progetti che si concretizzeranno a inizio 2025, per far sì che le persone perdano meno tempo possibile nell’operatività del proprio lavoro. Anche dal punto di vista etico non ci sono particolari criticità perché non c’è violazione dei dati del target: si tratta di un utilizzo più rapido e più efficace di banche dati ‘privacy compliant’.
Il secondo è il targeting AI supported, cioè il riconoscimento delle abitudini di un potenziale individuo, targetizzato in base a quello che fa, che è un tema molto più difficile da gestire sia da un punto di vista tecnologico, sia da un punto di vista di etica e privacy. Al momento la nostra posizione è quella di concentrarsi su quello che è utile ed etico perché riduce il tempo e aumenta la qualità e la produttività del lavoro, anche in attesa di capire meglio le implicazioni del Privacy AI Act, che è entrato in vigore pochi mesi fa, all’inizio di agosto.
L’altra area di sviluppo è il Contenuto. Inizialmente la Generative AI era il contenuto stesso: dichiarare che un prodotto era realizzato con l’AI rappresentava essenzialmente il messaggio pubblicitario.
In realtà si trattava semplicemente di un modo di ‘cavalcare’ l’hype del momento, non certo di un’esperienza trasformativa. Solo in un secondo momento si è passati all’uso dell’AI per la gestione e replicazione dei contenuti. Sul mercato esistono tantissimi software disponibili per l’accelerazione delle proposte, o per la creazione di strumenti finalizzata alla presentazione (ad esempio i mockup), che utilizziamo regolarmente, ma siamo ancora in fase esplorativa per l’utilizzo nella produzione e, ancora di più, sulla raffigurazione della persona umana.
Il terzo tema è quello dell’Attivazione media: in questo ambito stiamo mettendo in campo diversi progetti, sia sviluppati internamente sia selezionando strumenti già esistenti sul mercato. Al momento abbiamo tre stream per accelerare i processi più routinari che vengono svolti in agenzia, nel rispetto della crescita delle persone che lavorano insieme a noi. L’altro aspetto su cui stiamo lavorando è la gestione automatizzata delle campagne, attraverso tool in grado di suggerire ottimizzazioni per la parte di bidding automation e automazione del dato, e per il ’dopo’ pianificazione: rendicontazione, gestione amministrativa, ecc.
Guardiamo al 2025 e oltre. Come vedi l’evoluzione dell’AI e i suoi ambiti di applicazione?
Quello che mi sorprende molto dell’AI è la sua learning curve: più ne sai qualcosa, più la sperimenti, più nascono altri ambiti di applicazione. E qui torniamo al tema dell’integrazione: perché le competenze di chi gestisce i software AI si contaminano con quelle di chi gestisce altre aree di competenza. È qui il vero cambio di prospettiva: nel modello generale di fruizione, scambio, utilizzo e applicazione.
Una vecchia teoria afferma che non tutti i prodotti e le invenzioni hanno lo stesso impatto sulla vita dell’essere umano: alcuni si limitano a ottimizzare e velocizzare processi esistenti, mentre altri possono trasformare il modo di pensare e la società stessa. Anche l’AI possiede queste due potenzialità. La prima, più semplice, consiste nell’accelerare i processi, un ambito in cui abbiamo già integrato molte soluzioni efficaci. La seconda, più complessa, riguarda la capacità di cambiare i modelli di business, i modi di pensare e di affrontare i problemi. Su questo fronte, stiamo ancora muovendo i primi passi, consapevoli che c’è ancora molta strada da percorrere e territori inesplorati da scoprire.