di Massimo Bolchi
La risposta, a prima vista, appare facile: hanno posto sotto sequestro 779 milioni di euro perché AirBnB si è rifiutato di fungere da sostituto di imposta e non ha trattenuto il 21% di cedolare secca dagli affitti pagati ai privati per le locazioni brevi.
Una prima obiezione potrebbe sorgere dal fatto che AirBnB non ha alcuna ‘stabile organizzazione’ (fatto certificato da numerose sentenze del TAR) in Italia, per cui la notizia di un sequestro appare più un vuota ‘sparata’ giuridica che un fatto reale, né, in assenza di un responsabile giuridico, tranne gli agguerriti avvocati della stessa AirBnB, non si comprende bene, al di là dei titoli sui giornali, quale sia nei fatti la conseguenza effettiva di questo sequestro.
Andando indietro nel tempo, si scopre infatti che AirBnB sarebbe tenuto (il condizionale è d’obbligo, vedremo poi il perché) a fungere da sostituto di imposta sugli affitti riscossi, e versati si proprietari, sin dal 2017. Ma non l’ha mai fatto (e qui ecco la spiegazione del condizionale) appellandosi in tutti i gradi di giudizio, e perdendo regolarmente, ma proseguendo a fare quello che preferiva, sostenendo che la legge tributaria italiana prevede la possibilità (e non l’obbligo) di precedere o a una tassazione in regime di cedolare secca, o di scegliere per i redditi la tassazione ordinaria. Per cui l’obbligo sarebbe stato in capo ai singoli contribuenti.
L’ultima decisione in merito risale 24/10/2023, in cui il Consiglio di Stato respinge quasi tutte le eccezioni sostenute da AirBnB Ireland, appellante una sentenza del 2018 del TAR: questo per dare un’idea di quanto tempo passi dalla primitiva ipotesi di non ottemperanza agli obblighi fino alla sentenza definitiva. Definitiva fino a un certo punto, perché è sempre possibile fare ricorso alla Corte di Giustizia Europea, anche se va detto che fino a questo momento la CGEU ha dato sempre torto alla ricorrente, cioè ad AirBnB Ireland.
Il sequestro in oggetto si basa sull’esame dei ricavi della piattaforma tra il 2017 e il 2021, che ammontano a un giro di affari di oltre 3,7 miliardi di euro (calcolati dal nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Milano) sui quali AirBnB non avrebbe, more solito, effettuato alcuna ritenuta della cedolare secca dovuta. Ma a guardare bene, senza volersi schierare dalla parte della piattaforma, la situazione è tutt’altro che lineare come potrebbe apparire a un primo sguardo. Innanzitutto solo le singole persone che afffittano sono tenute alla cedolare secca, che è impossibile per chi svolge un’attività e affitta professionalmente tramite una società. AirBnB aveva proposto di di distinguere i due casi e di fare una stima economica solo sul gruppo che effettivamente doveva pagare l’imposta. Ma la proposta non era stata accolta dalla Procura.
E se il Tribunale confermasse in sede di sentenza l’efficacia del sequestro totale richiesto dalla Procura? Allora l’Agenzia della Entrate dovrebbe stornare la tasse che i singoli e le società hanno pagato nel frattempo? Oppure si farà secondo il detto napoletano ‘chi ha dato, ha dato…’? Un situazione complessa, non c’è che dire. E a renderla ancora più complessa c’è la proposta della Legge Finanziaria di mantenere la tassazione ferma al 21% su un unico immobile in affitto breve, ma di alzarla al 27% sugli immobili affittati sono due o più. Solo una proposta, d’accordo, ma indice di quanto sia spinosa la questione.
Dal canto sua, AirBnB ha fatto sapere che è “in corso una discussione con l’Agenzia delle entrate dal giugno 2023 per risolvere questa questione. Siamo sorpresi e amareggiati dall’azione annunciata dal Procuratore della Repubblica lunedì. Siamo fiduciosi di aver agito nel pieno rispetto della legge e intendiamo esercitare i nostri diritti in merito alla vicenda”.
Come volevasi dimostrare…