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Un tribunale potrebbe condannare Google a vendere Chrome. E OpenAI è pronta a comprarlo

Se venissero seguite le indicazione del Dipartimento di Giustizia USA Google dovrebbe vendere Chrome, e OpenAI sarebbe più che disponibile ad acquistarlo. Ma OpenAI vuol dire Microsoft (e Bing). Da un monopolio all'altro?
Google

Il governo USA cerca di riallineare l’attività di Google dopo che l’azienda è stata giudicata un ‘monopolista del search’ con la sentenza pronunciata all’inizio di agosto dal giudice Amit Mehta, nell’ambito del procedimento iniziato dal DOJ. Il Dipartimento di Giustizia sta ora cercando di ottenere dal giudice una pluralità di possibili sanzioni, ma forse nessuna così severa come quella di costringere Google a vendere Chrome. E OpenAI, presente in tribunale con il proprio responsabile di prodotto ChatGPT, Nick Turley, ha prontamente fatto sapere che, nel caso Google fosse ‘condannato’ a vendere Chrome, si sarebbe fatto avanti come acquirente.

D’altra parte, la ‘corte’ di OpenAI a Chrome è stata serrata: prima ha cercato di ottenere i dati di Google tramite un’API (accordo rifiutato da Google perché avrebbe messo in pericolo la sua leadership nel search), poi ha tentato di creare un proprio browser basato su Chromium, assumendo gli ex sviluppatori di Google Ben Goodger e Darin Fisher, che avevano lavorato entrambi per portare Chrome sul mercato.

Un boccone ghiotto per chiunque

Ma Chrome, con i suoi 4 miliardi di utenti e il 67% di quota di mercato, sarebbe un grande balzo in avanti immediato, rispetto a un browser neonato che deve ancora compiere i primi passi: fornirebbe immediatamente a OpenAI una massiccia base di utenti che sono stati incentivati negli anni a utilizzare i servizi di Google, mentre i dati prodotti da questa infinità utenti sarebbero preziosi per l’addestramento dell’AI e per lo sviluppo di applicativi agenziali in grado di scandagliare la Rete per conto del singolo utente.

Sebbene il giudice Amit Mehta abbia espresso un certo scetticismo sulla proposta del DOJ di costringere Google a cedere Chrome, il governo sostiene che il browser sia il fulcro della condotta anticoncorrenziale di Google, e che la sua cessione garantirebbe a tutti un ‘level plain field’ su cui competere. Anche se non è stato spiegato compiutamente il perché.

Google, ovviamente, sta reagendo alla proposta del DOJ definendola ‘esageratamente ampia’, e sostenendo che la separazione delle sue attività danneggerebbe gli utenti rendendo i dispositivi meno sicuri, aumentando i costi degli smartphone e rallentando il lancio di nuove funzionalità. L’azienda ha avvertito che la vendita di Chrome o Android potrebbe perfino interrompere le applicazioni e i servizi quotidiani su cui milioni di persone fanno affidamento.

Il piano del DOJ, secondo l’azienda, non mira tanto a ripristinare la concorrenza, quanto piuttosto a dare un facile vantaggio ai rivali di Google, che otterrebbero senza fatica i plus delle straordinarie innovazioni di Google e dalle pratiche commerciali sviluppate in decenni di impegno.

Una sentenza che favorisce un altro monopolista?

Senza voler entrare negli aspetti giuridici raffinati della questione, vi sono comunque da esplicitare alcuni aspetti della contesa che potrebbero facilmente eccedere il caso specifico.

Innanzitutto la posizione del Governo USA, che si trova attraverso il DOJ al opporsi proprio a quella congrega di miliardari del digitale che sono andati – tutti – a baciare la pantofola di Trump dopo le elezioni. Un comportamento a dir poco schizofrenico, a meno di non voler supporre che Peter Thiel e Elon Musk vogliano davvero mettersi contro tutti i Big della Silicon Valley.

Non dimentichiamo che sono in corso indagini e attività antitrust a carico di Meta, Amazon, Uber e Apple, oltre alla sentenza su Google. E questo rischia di mettere in crisi anche l’Europa, che sta trattando dei dazi con Trump mentre tiene sospesa la spada per colpire i Tech Giant americani ai sensi del DSA. Ma se questi si colpiscono da soli…

La seconda questione è che OpenAI si atteggia a comportarsi come una startup (da centinaia di miliardi di dollari di valutazione) ma è largamente finanziata (verrebbe da dire posseduta) da Microsoft. In altre parole Chrome sarebbe, nel caso, ceduta a un altro monopolista digitale. Non propriamente la soluzione più elegante alla fine di un processo lungo e defatigante. Senza contare reazioni degli utenti social, che vanno dall’antipatia per Sam Altman e OpenAI (‘Suddenly I’d rather Google keep it’) ai fallimenti di Microsoft nel gestire altre realtà al di fuori del proprio perimento: ricordano nulla i nomi di Skype e le annose difficoltà di Bing?

Ultima osservazione, ma questa riflessione non è ahimè di competenza di un giudice: queste sentenze sono in grado di smembrare i monopoli in Occidente ma non fanno nulla contro i monopolisti cinesi (o, in futuro, quelli indiani). D’altra parte le dimensioni dei competitori globali devono essere comparabili. E i cinesi e gli indiani partono da un mercato interno di un miliardo e mezzo di abitanti. Come se ne esce?

di Massimo Bolchi