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Professione regista. Air3 e i suoi registi italiani che vivono all’estero. Enrico Trippa, da Berlino: “Lavorare in mercati diversi fa crescere e maturare. Dovrebbe essere routine. Remunerazioni e costi di produzione? Ormai tutto il mondo è paese. Da imitare, invece, che all’estero i registi chiedono alle agenzie di presentare personalmente o via Skype il trattamento”

Gli astronauti sostengono che la vista della terra dallo spazio influenzi in modo irreversibile l’amore che provano verso il nostro pianeta. Tu che lavori lontano dall’Italia, come la vedi da là, Major Tom?

Da qui la vista dell’Italia è bellissima. Per noi naviganti rappresenta qualcosa di molto profondo, speciale, una sorta di madre che non si può dimenticare. Una guida etica culturale e un luogo dove sono piantate le radici. Sono ormai oltre 20 anni che la mia navicella è alla deriva, in giro per lo spazio senza confini, e nonostante ciò la vedo sempre come casa. Il problema è che non riesco a sistemare l’avaria al timone e sono quindi in balia delle tempeste spaziali. Chissà se mai riuscirò a fare rotta verso casa”.

All’estero ci sono molti ricercatori e pochi registi, italiani: secondo te è una questione di talento, di formazione, di considerazione, o che altro?

“In effetti è vero, ma non credo abbia nulla a che vedere con il talento. La maggior parte degli italiani che ho conosciuto all’estero sono tutte persone con un discreto successo. Gente con un enorme disposizione ad arrangiarsi, lottare contro i luoghi comuni, i pregiudizi e sempre disposti ad apprendere dalle culture in cui vivono. Registi ma non solo. Ingegneri, ristoratori, architetti, creativi, tutti con un talento bestiale. Inoltre, a differenza di tanti altri emigranti, gli italiani tendono a ghettizzare molto poco integrandosi alla perfezione nelle comunità multiculturali. Però è difficile trovare l’opportunità e la forza di andarsene. Lasciare tutto dietro, casa, famiglia e amici, non è per niente facile per la nostra cultura. La maggior parte torna sempre in patria dopo una breve esperienza, ma per diventare cittadino di un mondo multiculturale c’è bisogno di un taglio netto, spesso doloroso”.

E’ cambiata la percezione che il mercato italiano ha di te da quando sei all’estero?

“Non saprei perché in realtà, come regista, sono nato e cresciuto fuori dall’Italia. Anche se il mercato nazionale a volte mi considera italiano per via del passaporto e della lingua, sono ormai troppi gli anni che vivo, studio e lavoro all’estero e troppi i paesi che hanno influenzato la mia crescita personale e professionale”.

Cosa significa essere un regista straniero, ovvero registi italiani in un mercato internazionale?

“Significa nutrirsi di stimoli narrativi e visivi enormemente ricchi e variati. Quando ci si trova in un luogo nuovo, sconosciuto, il cervello cambia, si adatta ed entra in modo REC.
 Credo che andare a lavorare in mercati diversi dal proprio sia molto positivo per la crescita e la maturazione professionale. Anzi, io sono dell’idea che questo debba essere una specie di routine. I registi stranieri sono solitamente molto propensi e abituati a lavorare un po’ ovunque, ma devo dire che anche i registi italiani lo sono sempre di più. E il loro talento è sempre più apprezzato in tutto il mondo. Bisogna essere orgogliosi di questo, la qualità della regia italiana è altissima”.

Dal punto di vista economico ci sono differenze rilevanti tra il nostro mercato e quelli in cui operi tu, soprattutto riguardo le remunerazioni e la divisione del budget di produzione tra la diverse voci-competenze che lo compongono? Insomma, a occhio e croce, la torta come si ripartisce tra agenzia di pubblicità, media, casa di produzione e regia?

“In realtà questo aspetto si è abbastanza standardizzato. Grosse differenze in termini proporzionali non ci sono. La tendenza generale è quella di ottimizzare i costi, visto la diminuzione dei budget, senza sacrificare la qualità del prodotto finale. Dal nostro punto di vista cambia radicalmente, quindi, l’approccio al lavoro. Si lavora molto di più e su più discipline, in tempi molto più stretti e adattandosi ad ogni produzione con forza e passione. E’ l’unica maniera per mantenere alto il valore economico del nostro lavoro. Questo succede in Italia come all’estero.

Nel caso specifico della regia, il fee è simile in quasi tutti i mercati. Per quanto riguarda le altre voci-competenze di produzione, esistono differenze sostanziali tra i vari paesi. In generale, girare al sud (Europa, America o Africa) è più economico ma fortunatamente questo sta cambiando sempre di più. Girare nei paesi nord europei, per esempio, costa ormai come girare in Spagna. Questo offre sempre più varietà e ti permette di scegliere il look giusto per il film”.

Quali sono le differenze sostanziali che riscontri all’estero e quali quelle che vorresti importare nel tuo paese di origine per lavorare tutti meglio?

“Ormai si lavora in modo simile dappertutto, non ci sono grandi differenze. Però una cosa che si fa sempre più spesso all’estero è chiedere alle agenzie di poter presentare personalmente o via Skype il trattamento. Cosa molto apprezzata dai direttori creativi e a volte anche dai clienti stessi. In questa maniera le agenzie risparmiano tempo e noi trasmettiamo la nostra visione del film in maniera molto più personale ed emozionale, oltre che instaurare già da subito un solido rapporto di collaborazione”.

Da Berlino, Enrico Trippa, regista associato Air3 .