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Condé Nast chiude myself. E questo già lo sapete. Segno che i tempi dell’editoria sono cambiati e che la casa editrice, con all’attivo un primo semestre 2014 in target, sceglie la strategia di concentrarsi sui top brand, da valorizzare multimedialmente. Perché è certo, la crisi della stampa porta selettività. E gli investimenti pubblicitari non si accontentano più della pagina. Non a caso, la creativity factory interna chiude l’anno a circa 4 milioni di euro di fatturato

Cifra ragguardevole, anche se comparata alla media delle agenzie specialistiche che operano sul nostro mercato. Testimoniando la necessità di progetti costruiti su misura, senza più distinzione in silos, ma a copertura totale e qualitativamente capaci di generare attenzione. Che assieme a monetizzazione ed emozione sono parole chiave della visione strategica di Condé Nast, non a caso sempre alla ricerca di nuovi talenti con cui costruire l’innovazione.
Tanto che, se in valori assoluti il digital vale il 12% della torta della casa editrice, la sua crescita è costante con differenziazioni tra testata e testata. Wired, ad esempio, arriva al 40%, 3,5 i milioni di utenti unici, vendendo in edicola non più di 55.000 copie.
Ma allora perché a lasciarci le penne è stato myself, che in edicola conquistava 70.000 lettori, oltre ai 30.000 abbonati?
Questione di età e di internazionalità. A 4 anni di via, infatti, il mensile non ha confermato l’obiettivo delle 200.000 copie paventate agli esordi, attestandosi sulle 100.000. Numero che, seppur ragguardevole, non è stato sufficiente a garantire la redditività sperata (le vendite in edicola pesano per il 30%, ma la parte da leone la fa sempre l’advertising), con un fatturato che dai 5 milioni e 300.000 del 2012 non arrivava quest’anno ai 4, contro un break even a 7.

Gianpaolo Grandi
Gianpaolo Grandi

Nonostante, infatti, sia tra i prodotti meglio fatti, lo dichiara lo stesso Gianpaolo Grandi, presidente Condé Nast (tra l’altro assicurando tutto l’impegno per salvaguardare i 35 giornalisti della redazione), i lettori ‘tradiscono’ la carta per il digital, invocando un cambio di rotta, che a settembre vedrà intensificare lì l’impegno con un canale dedicato all’interno di Vanityfair.it (6,5 milioni gli utenti unici) e una app su misura. 
Tra le altre novità, sempre a settembre, per il 50°, vedrà luce l’archivio Vogue, in inglese, così come sulla piattaforma Live! (in pochi mesi ha già raggiunto i 5 milioni di video visti mensilmente ) debutterà il canale video di Nowness, magazine multimediale del gruppo LVMH.
Come dire, la qualità si riconosce e sceglie. Tanto che Condé Nast in termini di programmatic buying non ha dubbi, solo con piattaforma proprietaria e solo premium.
Al microfono di youmark, Fedele Usai, deputy managing director Condé Nast.
La cover del numero di agosto di myself
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