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‘Avetrana – Qui non è Hollywood’: avremmo voluto parlarvi solo della serie (strepitosa), in realtà ci tocca parlare di censura. Il rischio diffamazione sta diventando ossessione. Potrete anche non concordare, ma sarebbe ora di dire basta

In questo pezzo avremmo voluto parlare solo della serie Avetrana – Qui non è Hollywood’ in quanto tale. Non a caso il nostro Maurizio Ermisino era stato a vederne l’anteprima. Si rende invece necessario un preambolo, sperando che la sentenza del tribunale di Taranto che ne ha sospeso la messa in onda,  prevista per il 25 ottobre su Disney+,  dando ragione al Comune di Avetrana che chiede il cambio del titolo in quanto diffamatorio per la sua comunità, sollevi una riflessione collettiva. Non vi pare si stia esagerando? Leggevamo il Caffè di Gramellini sul Corriere della Sera di oggi 24 ottobre. Come dargli torto? Vi rendete conto? Qualsiasi cosa si dica ormai il rischio di offendere qualcuno è scontato. Eppure abbiamo vissuto anni portando in palmo di mano testi, racconti e film che comunque potevano non essere lusinghieri per tutti i protagonisti, luoghi inclusi. Gramellini cita giustamente la Parigi che esce dai romanzi di Hugo, ma anche la Roma di Romanzo Criminale, o la New York dei film di Scorsese. Insomma, i film sono film. La letteratura è letteratura. L’arte arte. A proposito, andate a vedere The Apprentiace di Ali Abbasi (nel 2022 uscì il suo Holy Spider, con Zahra Amir Ebrahimi che vinse agli Oscar il premio per la miglior attrice). Non male, specie sotto elezioni Usa. Viva il cinema libero, sempre.

di Maurizio Ermisino

Per ora non vedremo una serie strepitosa

Come sapete, Avetrana – Qui non è Hollywood, la nuova serie Disney+ sul delitto di Sarah Scazzi, sarebbe dovuto arrivare domani, il 25 ottobre, sulla piattaforma. È invece stata sospesa la messa in onda: un giudice della sezione civile del tribunale di Taranto ha accolto il ricorso d’urgenza presentato nei giorni scorsi dal sindaco di Avetrana, Antonio Iazzi. Il magistrato ha adottato un provvedimento di sospensione cautelare. Il sindaco aveva chiesto ‘la rettifica della denominazione’ della serie tv e la sua ‘sospensione immediata’. Il giudice ha fissato l’udienza di comparizione delle parti per il 5 novembre. Non vedremo, per ora, quella che è una serie strepitosa. E che, lo diciamo subito, non ha senso sospendere. Il timore del sindaco è che Avetrana venga dipinta come un luogo di assassini e omertosi. La serie, invece, viaggia molto bene dentro il male che si annida in determinate persone, dentro i meccanismi psicologici che, in casi molto particolari, fanno scattare istinti. Non c’è nessun messaggio negativo verso il comune e i suoi abitanti. Complicato anche cambiare la denominazione alla serie, lanciata con attività stampa, una presentazione alla Festa del Cinema di Roma e grandi investimenti pubblicitari, da quello che è un colosso internazionale, la Disney.

Qui non è Hollywood

Qui non è Hollywood. La scritta appare all’improvviso, una notte, sul muretto di casa Misseri, ad Avetrana. È una frase, 4 parole, di quelle che colpiscono come una sentenza. È la denuncia della bagarre mediatica, dell’attenzione morbosa che si era scatenata in quell’agosto del 2010 attorno alla scomparsa di Sarah Scazzi, appena 15 anni. Quella storia, che in tanti abbiamo seguito, ma in tanti abbiamo anche respinto, ora è diventata una strepitosa serie tv. 4 episodi da 60 minuti, da divorare tutti d’un fiato: ognuno con il punto di vista di uno dei protagonisti della storia, Sarah, Sabrina, Michele e Cosima. Un fatto di cronaca nera, reinventato dall’arte cinematografica (perché, pur in formato di serie tv, questo è cinema) diventa qualcosa di molto profondo, sentito, sensato. La serie è diretta dal regista Pippo Mezzapesa e scritta dallo stesso Mezzapesa insieme ad Antonella W. Gaeta, Davide Serino, Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni,

Si inizia dalla fine

Sarah è già morta e un autobus arriva ad Avetrana pieno di turisti venuti a vedere i luoghi chiave del delitto. È il cosiddetto turismo del dolore, una conseguenza del clamore mediatico esploso nella cittadina pugliese. Capiamo subito che non vedremo una fiction, né una semplice ricostruzione dei fatti. Pippo Mezzapesa, come si capiva dai suoi primi corti e documentari (Come a Cassano, Pinuccio Lovero – Sogno di una notte di mezza estate) ha un occhio unico nel raccontare i volti e i luoghi del sud, della sua Puglia in particolare. Prende il delitto di Sarah Scazzi e ne fa un horror dell’anima, un racconto del terrore interiore. Costellando la storia di oscuri presagi che porteranno Sarah verso il suo destino.

Pippo Mezzapesa lavora sulla fisicità dei personaggi

Sin dall’inizio c’è un continuo insistere sull’aspetto dei personaggi. Sarah è giovane, bionda, filiforme, e somiglia alla cantante Avril Lavigne. Sabrina ha 22 anni ed è sovrappeso, non si sente a suo agio nel suo corpo. Le attrici scelte, Federica Pala nel ruolo di Sarah e Giulia Perulli nel ruolo di Sabrina sono perfette. Quest’ultima, esordiente, è la vera rivelazione. “Ho pensato che fosse necessaria una trasformazione fisica per poter interpretare questo personaggio, altrimenti sarebbe stato impossibile proprio per un fattore fisico” racconta.  “Mi è stata affiancata una nutrizionista, ho aggiunto 22 chili di peso, ho tagliato i capelli, li ho tinti, è stata una trasformazione radicale. Ho visto tutti i video di Sabrina, tutti gli appelli, si trovano e ce ne sono tantissimi. Sono stati fondamentali per apprendere certi dettagli fisici del personaggio. L’emotività del personaggio è venuta fuori proprio nel convivere con questo corpo, che non ti appartiene e te lo porti a casa. Hai modo di sedimentare un’emotività che altrimenti non riusciresti a fare”.

 Lo sguardo di Mezzapesa non è mai sensazionalistico o voyeuristico

“Il rischio credo di averlo aggirato sin dall’inizio” spiega il regista. “Era approcciarsi in modo morboso o voyueristico a questa storia. L’intento è andare oltre i personaggi che si sono creati in questa vicenda, che ognuno ha creato su sè stesso, per andare a esplorare le fragilità che hanno portato a tutto questo. Il pericolo era di avere un coinvolgimento emotivo troppo forte che minasse la libertà di noi narratori. Abbiamo scelto i fatti, quelli emersi dalla verità giudiziale, da tre sentenze. Non abbiamo voluto prendere altre strade. Ci interessava raccontare una storia per quello che è stato acclarato, cause e conseguenze”.

L’importanza dei corpi

Perché Avetrana ci parla dell’attenzione per il corpo nella società odierna, nella quale si viene discriminati in base al proprio fisico. E se non si viene discriminati ci si autoesclude, non ci si sente adatti. È stato importante non solo per i personaggi più giovani, ma anche per gli adulti. Vanessa Scalera, con un imponente trucco prostetico, ha cambiato fisico per diventare Cosima Misseri. “Il mio approccio è stato legato proprio alla fisicità” spiega l’attrice. “Avere addosso venti chili non è facile dentro c’è un corpo che urla, che è diverso, che ha delle movenze diverse, chili diversi. Sono partita da quello. Credo che Cosima sia un dado e abbia avuto sempre solo una faccia in luce. Con Pippo abbiamo cercato di illuminare i lati che non ha mai mostrato. Per me l’approccio è stato proprio quel corpo, quella faccia”.

 Avetrana: non è tutto bianco o nero

E così non fanno un “santino” di Sarah né fanno di Sabrina una villain monodimensionale. La cugina di Sarah è una ragazza tormentata, disperata, per la sua condizione e per un amore non corrisposto. Sarah, d’altro canto, è la vittima, ma anche lei non è perfetta e, nel suo percorso di crescita, commette degli sbagli. Avetrana – Qui non è Hollywood è un racconto doloroso, ma anche grottesco, tagliente e velenoso. Il veleno è soprattutto verso i mezzi di comunicazione e quel teatrino mediatico messo in piedi dall’informazione al tempo. Anna Ferzetti è Daniela, una giornalista che segue il caso. “Io rappresento la parte mediatica, liberamente ispirata alle figure che c’erano all’epoca nel giornalismo” spiega l’attrice. “Sarebbe stato difficile cercarne una in particolare perché erano veramente tantissime. Ho cercato di documentarmi, di capire il linguaggio del giornalista in quel momento. La cosa che abbiamo cercato di far uscire con Pippo era sì il lato della giornalista arrivista, ma, allo stesso tempo, il fatto che fosse stata la prima a fare due passi indietro. La cosa interessante è stata trovare il suo lato umano. Sono l’occhio esterno, quello che eravamo noi, 15 anni fa, in quanto pubblico”. Ma la critica è verso tutti: i giornalisti, così come la Tv, il mezzo stesso e pure verso chi viene ripreso: Sabrina e Ivano sono in qualche modo sedotti dal grande medium e cadono nell’incantesimo, tentati di mettere in scena se stessi prima che cercare il colpevole della scomparsa di Sarah. Andy Warhol avrebbe detto che sono in cerca dei loro 14 minuti di celebrità.

La serialità non deve essere pacificata

“Interrogarsi su come il male possa essere rappresentato è un esercizio che a livello produttivo e artistico facciamo continuamente” riflette Matteo Rovere, produttore con la sua Groenlandia. “Rappresentiamo il mondo nel quale viviamo con la sua complessità. Non è compito del racconto costruire un mondo dove il male non esiste.  Anzi, io rifuggo l’eccessiva pacificazione del prodotto seriale, la necessità di addormentare la mente degli spettatori creando un rimosso. Credo che la serialità italiana debba fare quel percorso che la serialità internazionale fa: andare a scandagliare tutti i livelli della società, utilizzando l’audiovisivo come punto di partenza per un’analisi critica”. “Dobbiamo ringraziare Disney” continua.  Abbiamo trovato un player con un approccio internazionale che non ha paura di fare un racconto del nostro presente”

Obiezione: si critica la spettacolarizzazione del dolore parlandone, facendo spettacolo

Che una serie che critica la spettacolarizzazione del dolore e della cronaca nera di fatto, parlandone, faccia a sua volta spettacolo. Ma è un gioco consapevole che usa certi codici di comunicazione per criticarla e metterla alla berlina. Per sconfiggerla con le sue armi. Tutto è fatto per provare ad andare al cuore delle cose, per provare a capire. Questo gioco, però, non lo capiranno tutti. “Il presupposto di tutto è stato avvicinarci il più possibile all’umanità di questa storia” spiega Mezzapesa. “Abbiamo cercato dall’inizio di entrare nel profondo di questa vicenda, di entrarci con grazia, rimanendo nei confini del verosimile, rispettando le persone che questa vicenda racconta e sviscerarla. Ci ha interessato esplorare la normalità del contesto da cui tutto è scaturito e l’abnormità che poi questo delitto ha suscitato. Marracash ha composto una canzone: Sai che il male è banale, è comprenderlo che è complesso”.

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