di Maurizio Ermisino
Prendere Maria e Giuseppe e toglierli dal presepe, o dalle statue sacre in cui sono stati raffigurati e tramandati a noi nei secoli dei secoli: fatto.
Il merito è di Barbara Alberti e Paolo Zucca, autrice del romanzo Vangelo secondo Maria e regista del film che ne è stato tratto. Vangelo secondo Maria è un film Sky Original che arriva al cinema a partire dal 23 maggio con Vision Distribution dopo essere stato presentato Fuori Concorso al Torino Film Festival. Ed è un film rivoluzionario e innovativo: la Maria immaginata da Barbara Alberti e Paolo Zucca è una ragazza ribelle, selvatica, in continuo movimento. Una giovane affamata di vita e di conoscenza, lontana dall’immagine iconica e fissata nell’immaginario che ne ha fatto la Chiesa.
Avevamo conosciuto Paolo Zucca tanti anni fa a Cannes, al Festival della pubblicità, quando era entrato in shortlist allo Young Directors’ Award con uno spot sulle mine antiuomo. Ha lavorato in pubblicità con cdp come Central Groucho, ha vinto un David di Donatello con il corto L’arbitro, poi diventato il suo primo film, seguito da L’uomo che comprò la luna e ora da Vangelo secondo Maria. Che lo conferma come uno dei migliori filmmaker italiani emergenti, un talento versatile e a tutto tondo.
Vangelo secondo Maria arriva in un momento in cui il dibattito sul femminile è al centro
In realtà il romanzo di Barbara Alberti è del 1979, e il film era stato pensato già una quindicina di anni fa. “Conobbi Barbara Alberti quando vide il mio corto L’arbitro: mi disse che, in un volto in bianco e nero, vedeva la Bibbia” ricorda Paolo Zucca. “Mi ha portato il romanzo, me lo ha raccontato, mi sono un po’ spaventato. A fine racconto Maria pratica l’aborto: non ero sicuro di iniziare la mia carriera con un film scandalo e le dissi di no. Ma il libro mi era piaciuto, era un libro che mi faceva viaggiare. Dissi: anche se mi scomunicano ci proverò. Anni fa non c’erano Netflix e altri committenti, non erano pronti i tempi per un film di questo tipo. Lo abbiamo tirato fuori dal cassetto durante il Covid. Ma ho voluto lasciare un finale aperto e non colpire lo spettatore in un pugno nello stomaco. Ci siamo resi conto che la love story tra due personaggi così diversi agli antipodi era troppo importante perché Maria se ne andasse da sola”. Così il film arriva in un momento chiave del dibattito sul femminile. “Un giornalista mi ha accusato di fare pink washing, di sfruttare i casi di Paola Cortellesi e Barbie, di girare e montare un film in tre mesi e portarlo al cinema” ci svela Zucca con un sorriso. “Neanche Nolan riuscirebbe a farlo. È un caso perché il romanzo è del 1979. Ma è anche vero che l’emancipazione della donna, sia nel mondo sia in Italia, non è del tutto compiuta, per cui il film è attuale in questo senso. Kubrick diceva: il giorno che non ci saranno più guerre non faremo più film sulla guerra, ben venga quel giorno. Se un giorno non faremo più film sulla condizione femminile, ben venga quel giorno. Ma avrei l’ambizione che questo film possa parlare di emancipazione ancora tra 20 anni, essendo un film che tratta il mito”.
Benedetta Porcaroli e Alessandro Gassmann sono spogliati delle loro caratteristiche e sono molto credibili
Benedetta Porcaroli, alla sua miglior interpretazione, è credibile sia come una giovane donna nella Palestina dei tempi di Cristo sia come una donna di oggi, con i suoi desideri e le sue ispirazioni. “A Benedetta ho chiesto di muoversi molto, nel film incarna un’adolescente” racconta il regista. “Ha un talento sproporzionato: quando sente la parola azione come per magia si illumina, inizia a brillare di una luce propria. Dopo lo stop torna una ragazza normale”. Alessandro Gassmann è spogliato da ogni vezzo da commedia e ogni aspetto della sua innata simpatia. “Gli ho tolto ogni possibilità di gesticolare, come si fa nei film contemporanei, e gli ho tolto il 99% per cento di quelle espressioni che, facendo commedia, un attore tiene come stampelle” ci svela Zucca.
Quello tra Giuseppe e Maria è un rapporto uomo donna mai visto prima
Le storie di emancipazione femminile sono in qualche modo storie d’amore, puntano al rapporto con il partner o con i genitori. Il loro è un rapporto basato sulla cultura, sull’apprendimento. Una giovane donna che chiama un uomo Maestro. “Barbara Alberti viene dal femminismo anni Settanta e non si è mai sognata di far un femminismo contro i maschi” riflette il regista. “Il suo è un femminismo inclusivo, perché uomini e donne abbiano stesi diritti e opportunità ma insieme”.
Vangelo secondo Maria è anche un film di regia
E valorizza le doti da regista di Paolo Zucca, che qui continua il rapporto con il suo territorio, evidente anche nei suoi commercial. Il suo è un cinema materico, dove puoi quasi riuscire a toccare la terra e le pietre. “Mi sono sforzato di cercare i posti, la loro pietrosità” ci ha spiegato. “Ho cercato di usare le location in modo anche espressivo. Nazareth è un villaggio nuragico che si è evoluto nel Medioevo fino agli anni Cinquanta, una stratificazione di pietracce e fango. È un nuraghe ed è vincolato, ma ci è stata data la possibilità di girare lì. La casa dove vive Giuseppe è una specie di strano disco volante che sta in mezzo alla campagna, è un posto magico. La sinagoga è una chiesa del Cinquecento, uno dei primi posti a cui ho pensato, che tra l’altro potrebbe essere stata una sinagoga in passato”. “Provo cogliere le suggestioni simboliche che la Sardegna mi regala” ci svela. “La sfida finale avviene ai piedi di questo simbolo fallico, un menir alto sei metri: è la donna contro il maschile”.
Il senso di Paolo Zucca per i volti
È sempre stato questo uno dei suoi marchi di fabbrica. Ed è evidente anche qui. A partire dal volto di Maria che, “dall’inizio alla fine del film cambia colori, inizia con gli occhi scuri e finisce con gli occhi azzurri” come ci rivela il regista. “E anche negli abiti ha una trasformazione, con dei riferimenti a quadri espressionisti come quelli di Chagall”. Per finire ai volti degli attori di contorno, volti che sembrano scolpiti nella pietra e far parte del territorio stesso. “La maggior parte degli attori li conosco e li scelgo uno a uno nei paesi dove abito” ci svela il regista. “Studio come sono fatti, le mani, i piedi. Lo faccio per evocare l’antichità senza andare in Marocco, dove ci sono i set già pronti. Ho usato il patrimonio archeologico, ma anche antropologico e linguistico dei sardi”. Il cinema di Zucca, che da sempre è stato molto estetico, tanto che lo avevamo accostato a Paolo Sorrentino, qui si discosta da questo stile per guardare a Pasolini. “Il Vangelo secondo Matteo è la bibbia da cui partire, io come tanti sono salito sulle spalle del gigante Pasolini” ci spiega Zucca. “Una regista a cui sento di essermi avvicinato è Alice Rohrwacher” aggiunge. “Sto apprezzando la sua estetica: gira in pellicola e abbiamo cercato di avvicinarci a quella estetica con trucchi in post produzione”. Tra le citazioni filmiche ce ne sono alcune da Tarkovskij, tra quelle pittoriche l’americano Charles Wyatt Eaton. Quella delle ombre cinesi di Sergio Leone (C’era una volta in America) è casuale, e c’era già nel libro. “Barbara Alberti immagina che Giuseppe sia un maestro così avanti nella sua conoscenza che inventa il cinema per la sua amata”.
Nel film ci sono delle grandi sequenze
Come quella in cui assistiamo al passaggio dello Spirito Santo, che darà la maternità a Maria, in cui un’ombra arriva sulla scena e tutto si ferma, con uomini a animali fissati in un attimo di immobilità. O come quella in cui la Madonna ha un incubo, e si immagina come simulacro, una futura statua di pietra. “La Bibbia dice ‘il signore ti coprirà con la sua ombra’” spiega Zucca. “Con il dop Simone D’Arcangelo abbiamo cercato di fare tutto dal vero. L’ombra è stata fatta fare ai macchinisti. Le creature bloccate sono animali imbalsamati: volevo farla con animali veri, non effetti visivi. Nei vangeli apocrifi, infatti, si parla del tempo che si ferma”. La scena della statua è molto chiara dal punto di vista simbolico. “Maria sogna di trasformarsi in quella in cui è stata trasfigurata dalla Chiesa cattolica, un simulacro immobile” spiega il regista. “Per questa scena, l’unica scena di rottura, pensavo a uno scenario alla De Chirico, metafisico, e l’ho girata a Cagliari”.
Il percorso da regista pubblicitario al momento è in standby
Ma potrebbe riprendere, con il progetto giusto. Finora Zucca ha fatto degli spot molto particolari soprattutto per clienti sardi, Cagliari Calcio, Cantina Argiolas, Regione Sardegna, racconti non convenzionali e ironici del territorio sardo. “È stato un lavoro che mi ha fatto crescere” riflette. “Ho imparato la diplomazia: confrontandosi direttamente con i clienti si impara a mediare”. “Come regista penso di essere cresciuto nel rapporto con gli attori” conclude. “Si sbaglia sempre, ma, come dice Paolo Conte, ormai si sbaglia da professionisti. Mi interessa sempre lavorare in pubblicità: ora sto lavorando a un’animazione per il museo Casa Gramsci, in Sardegna. Se mi dovessero chiamare per lavori che non siano produzione cinematografica, sono pronto”.