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Tra il serio e il faceto, creativi oggi. Marco Faccio: vengo dal web. Aver vinto a Cannes non ha cambiato nulla in me. Che creativo sono? Strategie è parola chiave. Nei reparti creativi non manca nulla se c’è l’umiltà dei vecchi direttori creativi. Essere indipendente è l’unico modo conosciuto per fare cosa desideri

Marco Faccio, HUB09 BRAND PEOPLE.

Dovendo usare una cosa, un animale, un luogo per descriverti, quale? 

“Una penna perché nessuno altro oggetto ha in sé tutte le storie possibili. Un falco perché bisogna saper guardare dall’alto se si vuol raccontare il particolare. Una foresta perché ogni albero è una storia, un ecosistema, uno slancio verso la luce”.

Cannes è ancora il non plus ultra della creatività in comunicazione, o sei d’accordo tocchi al Ces?

“Non mi interessa. Ho vinto un Leone d’oro a Cannes e il giorno dopo ho scoperto che non era cambiato nulla in me. Da allora guardo i premi con maggior distacco. Circa la scelta tra creatività e tecnologia non sento di dover scegliere, vengo dal web”.

Che tipo di creativo sei?

“Strategia è la parola chiave. Prendo una matita e disegno parole chiave e flussi su grandi fogli, poi arrivo alla sintesi: può essere una frase, un’immagine, un video… l’importante è che abbia le gambe sufficientemente solide per correre”.

Caffè, cappuccino, the o centrifuga?

“Vino rosso”.

Meglio vincere o partecipare?

“Assolutamente vincere. Partecipare e perdere è uno sport che puoi permetterti di praticare per poco tempo”.

Nei reparti creativi oggi manca?

“Credo che non manchi nulla se c’è l’umiltà dei vecchi direttori creativi. La tentazione di confrontare giovani generazioni di creativi con quello che eravamo noi alla loro età è alta ma erronea. E’ come confrontare il calcio di 50 anni fa con quello attuale. Troppo veloce”.

L’era in cui vorresti rinascere?

“Ho vissuto dagli anni ’60 a oggi…mi sembra di aver già avuto una discreta fortuna così”.

Il brand per cui lavoreresti gratis?

“HUB09”.

Il social che elimineresti?

“Nessuno, ci pensano da soli ad auto eliminarsi quando terminano la propria funzione nel panorama mediatico… . Ricordate Second Life o Google Plus? Ecco”.

Film preferito?

“Non saprei, adoro i serial killer. Se poi c’è una storia sui serial killer con una grande fotografia, allora godo proprio”.

L’ad da sogno?

“Quello che hai di fronte nella realtà”.

Network o indipendente?

“Assolutamente indipendente! L’ho scelto anni fa e sono fieramente contento di essere tale: indipendente e italiano. Essere indipendente è l’unico modo conosciuto per poter fare cosa desideri, compreso sognare di far parte di un network”.

Se creatività è la creatività, ossia femminile, ha un senso?

“La creatività non ha sesso. Non faccio alcuna distinzione tra creativi donne e uomini, m’innamoro delle idee e queste escono dalla testa non dai genitali delle persone. Almeno, nella maggior parte dei casi”.

 La cosa che proprio non ti va giù? 

“Il social usato come strumento di diffusione di fake e odio. Anche nel nostro lavoro, troppo spesso, c’è chi distrugge il lavoro dei colleghi, senza saperne niente, per superficialità e arroganza. Dovremmo stare più zitti e cercare di diffondere di più il bello”.

Nei panni di chi cambieresti di più il mondo? 

“Nei miei. Credo che ognuno di noi possa fare tanto, tantissimo. Far bene il proprio lavoro, aver cura del piccolo pezzo di mondo che ci è stato assegnato è tanto. Nascondersi dietro l’impotenza è uno dei mali del nostro tempo”.

 Cosa di piace di più di te e cosa detesti?

“Non  mi conosco abbastanza bene per descrivermi e soprattutto per criticarmi”.

Quanto conta quello che si è nel lavoro che si produce?

“Molto. I percorsi mentali e strategici che portano a un’idea sono propri del nostro cervello e il nostro cervello è fatto da ciò che abbiamo vissuto. Poi mediamo, studiamo, copiamo, ascoltiamo i clienti, ma il nostro mondo sta tutto là, nella nostra storia”.

La domanda più stupida di quelle che ti ho fatto? 

“Direi questa”.

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