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Rapporto Censis sulla comunicazione: la tv è sempre al centro, ma ogni media è connesso. Sparita la massa, ci sono tanti piccoli universi. Ma l’arcipelago è saturo, di mezzi, di tecnologie e pure di contenuti. Solo uno di noi su 10 legge giornali a pagamento, se under 30, uno su 25

di Maurizio Ermisino

 “Il tempo spiegherà e noi non possiamo far altro che aspettare”. Le parole di Jane Austen, citate da Deborah Cocco di Windtre, sono risuonate nella presentazione del 19° Rapporto Censis sulla Comunicazione, che è stato presentato oggi a Roma presso la Biblioteca Luciano Spadolini del Senato della Repubblica. “Vero o falso” è un titolo quanto mai azzeccato, l’interrogativo che si affaccia sempre più nel mondo della comunicazione, tra fake news e Intelligenza Artificiale che produce contenuti sempre più vicini al vero. Presentati da Giorgio De Rita, i dati del rapporto ci dicono che il sistema televisivo nel suo complesso tiene. Nel 2023 a guardarla è complessivamente il 95,9% degli italiani (+0,8%). L’85% degli italiani è un utente della televisione tradizionale, mentre tra gli under 30 gli utenti sono il 67%. Il 56,1% degli italiani utilizza il mezzo televisivo attraverso internet e il 33,6% attraverso iPad e smartphone. Tra gli under 30 il dato ovviamente cresce: il 67% usa la tv via internet e il 55% via smartphone e tablet. Questi dati ci confermano comunque che il mezzo televisivo è al centro delle diete mediatiche degli italiani, e la stabilità dei numeri ci dice che la tv è ancora al centro di tutto il mondo comunicazione. La radio ha ovviamente forme di consumo diverse: i radioascoltatori sono il 78,9% degli italiani, con una lieve flessione da un anno all’altro (-1,1%) che si confermano legatissimi all’autoradio, che si attesta al 69,1%. Pur con qualche variazione nei numeri, il mezzo radiofonico, integrato con quello televisivo, rimane una parte fondamentale nella fruizione mediatica degli italiani. Tra i giovani c’è un utilizzo della radio via mobile (24,1%), segno che ormai hanno integrato televisione, radio e smartphone.

I social network sono sempre più importanti, ma si sono affastellati l’uno sopra l’altro.

C’è chi guadagna e chi perde, ma nel loro complesso i social network funzionano. Sia come mezzo d’informazione – è il primo tra i giovani – che come mezzo di relazione. Tra il 2022 e il 2023 si registra un consolidamento dell’impiego di internet da parte degli italiani (l’89,1% di utenza, con una differenza positiva di 1,1 punti percentuali), e si evidenzia una sovrapposizione quasi perfetta con quanti utilizzano gli smartphone (l’88,2%) e molto prossima a quanti sono gli utilizzatori di social network (82%).

Tra i giovani (14-29 anni) si registra un consolidamento nell’impiego delle piattaforme online.

Il 93,0% utilizza WhatsApp, il 79,3% YouTube, il 72,9% Instagram, il 56,5% TikTok. In lieve flessione tra gli under 30, oltre a Facebook (passato dal 51,4% del 2022 al 50,3%), anche Spotify (dal 51,8% al 49,6%) e Twitter (dal 20,1% al 17,2%). Colpisce la discesa di due piattaforme partite bene ma che nel tempo hanno arrestato la loro corsa: Telegram (passato dal 37,2% del 2022 al 26,3%) e Snapchat (dal 23,3% all’11,4%).

Solo 1 italiano su 10 è un lettore abituale dei quotidiani a pagamento.

E lo è solo 1 su 25 tra gli under 30. Il dato è impressionante, ma la progressiva discesa non è di oggi. I quotidiani cartacei venduti in edicola, che nel 2007 erano letti dal 67% degli italiani, si sono ridotti al 22,0% nel 2023 (con una differenza pari a -3,4% in un anno e a -45% in quindici anni). In compenso, vediamo una salita non così impetuosa nella lettura dei quotidiani on line, che in realtà non ha funzionato come sostituzione della carta con il digitale. Tra gli under 30, 1 italiano su 8 legge i quotidiani sul digitale, ma in generale c’è una sostanziale perdita di confidenza dei giovani con la parola stampata, che è confermato anche nei libri. Ormai da diversi anni, almeno 15, solo 1 italiano su 4 dichiara di essere lettore abituale di libri. Gli e-book sembravano essere un canale d’uscita dei libri verso il mondo digitale ma non è mai avvenuto. non c’è un travaso, chi è lettore dei libri cartacei lo è anche di e-book. Gli italiani che leggono libri cartacei sono il 45,8% del totale (+3,1% rispetto allo scorso anno ma -13,6% rispetto al 2007). La ripresa non riguarda i lettori di e-book, che non si sbloccano, rimanendo stabili al 12,7% (-0,6%).

In Italia i consumi non hanno ancora raggiunto la quota del 2008

Sono ancora al di sotto dell’anno della grande crisi. Ma se la spesa per smartphone e accessori relativi, dal 2007 al 2022, è cresciuta enormemente, del +727,9%, (per un ammontare che supera gli 8,7 miliardi di euro), l’investimento in servizi per la connettività e utilizzo dei dati, per effetto di un radicale riequilibrio tariffario, è diminuito del 26,9% (per un valore comunque prossimo a 13,6 miliardi di euro sborsati dalle famiglie italiane nell’ultimo anno)

Come cambiano le diete mediatiche.

Il Rapporto del 2009 ci dice che il 26% degli italiani aveva diete mediatiche esclusivamente audiovisive, cioè tv e radio esaurivano il fabbisogno di informazione. Oggi questo dato è più che dimezzato, è sceso all’11%. Quello che risulta dalla lettura dei dati è quindi un mescolamento dei mezzi di comunicazione, in cui la carta stampata diventa accessoria ma continua a caratterizzare il mezzo comunicativo. I giovani leggono moltissimo ma non traducono questo in una lettura di un libro o di un articolo sui quotidiani. La perdita della confidenza con la carta è strutturale: il consumo è sceso ma si è stabilizzato. È difficile pensare che si possa andare più sotto. Il mercato dei libri ha dei piccoli margini di miglioramento e quello dei giornali si sta assestando. Perdita di confidenza non significa abbandono. E il settore dei libri su carta qualche segnale lo dà.

Il mondo della comunicazione era fatto di comparsi separati, ora non lo è più.

In questi anni si è trasformato in una sorta di arcipelago. Ognuno è nella la sua isola ma vive in connessione con gli altri: la tv e la radio senza social oggi non vivrebbero. È un arcipelago che funziona bene anche come mezzo d’informazione, anche se non possiamo più parlare di mezzi di informazione di massa: non c’è più la massa, ma tanti piccoli universi. È un arcipelago ormai saturo di mezzi: più di questo i social non possono fare, la tv non può fare. È saturo non solo per quanto riguarda le tecnologie, ma anche per quanto riguarda i contenuti. La politica lo sport, le serie tv: tutto sembra arrivato a un livello di saturazione.

Intelligenza Artificiale: il 74,0% degli italiani ritiene che i suoi sviluppi siano imprevedibili.

Il 73,2% pensa che le macchine non potranno mai sviluppare una vera forma di intelligenza come gli umani, mentre il 63,9% che teme che sarà la fine dell’empatia umana. Chi pensa che aumenteranno le notizie non verificabili e non sapremo più distinguere il vero dal falso, con grandi rischi per le democrazie è il 68,3%, mentre chi pensa che sarà la fine della privacy dei cittadini è il 66,3%).

“Informazione significa opportunità”.

“L’Intelligenza Artificiale va gestita, regolamentata. Il politically correct e la cancel culture andrebbero ripensati e rivisitati”. È questo, in sintesi, il commento di Roberta Lucca, Direttore Marketing della Rai, sul Rapporto Censis. “L’informazione rappresenta un’opportunità per i media perché ci sono segmenti della popolazione che hanno fatto scelte diverse, c’è il mondo tradizionale e quello innovativo” spiega. “Se qualcuno va su un motore di ricerca per informarsi vuol dire che non trova nei grandi gruppi media una risposta a quello che si sta cercando, non trova l’informazione esaustiva, o raccontata con il linguaggio di cui avrebbe bisogno. L’opportunità è quella sfruttare le diverse conoscenze e trovare il linguaggio corretto e il media corretto per un determinato pubblico”.

Si parlava di televisione all’interno di un telefonino e sembrava impossibile.

Questo era lo scenario in cui Deborah Cocco, Head of Institutional Sponsorships di Windtre, è arrivata nel mondo della telefonia. Quando Windtre ha iniziato a collaborare con Censis era il 2006, quando non si parlava di social network. “Nel 2006 solo il 2,7% usava il videofonino, meno 1 italiano su 3 accedeva a internet per informarsi” è il dato su cui riflette. “Sono passati meno di 20 anni, il cambiamento è stato epocale e veloce”. “Da una parte siamo disposti a pagare per i servizi” commenta. “Dall’altra non abbiamo la pazienza di aspettare che arrivi l’informazione, la vogliamo avere subito”. “Si parla di AI, c’è chi la vede come una grande occasione, chi è molto scettico” conclude. “Vero e falso oggi camminano insieme. Rubo le parole a Jane Austen: il tempo spiegherà e noi non possiamo far altro che aspettare”.

“Il vero il falso esistono eccome, pensiamo alle informazioni false della propaganda di Putin”

Così esordisce Monica Mondo, conduttrice di Tv2000. “Mi inquieta l’ambito del verosimile, dove è difficile distinguere il vero dal falso. Accade quando qualcosa riguarda le ideologie, o per la fretta, perché la competizione con la concorrenza non permette approfondimento, o per un fatto di formazione, perché non basta la laurea per improvvisarsi comunicatori o giornalisti”. Quanto ai social, “c’è l’illusione che siano più liberi, ma non è vera: non permettono l’approfondimento e non sono liberi”. Quanto alla tv, “qualità e ascolti non vanno sempre d’accordo” conclude”. “Servirebbe un nuovo metodo di rilevazione che metta insieme i dati d’ascolto con un altro giudizio che abbia a che fare con la qualità”.

C’è una differenza fondamentale tra i nuovi media e i media tradizionali

“I media tradizionali hanno una mediazione professionale, hanno nei propri marchi un’affidabilità dell’informazione e una verifica delle fonti” spiega Gina Nieri, Consigliere di Amministrazione di Mediaset. “Il rapporto sottolinea la permanenza di un grande valore dei media tradizionali che fanno nell’assunzione della responsabilità un loro tratto distintivo”. Quanto ai social media e alle OTT, i nuovi imprenditori “hanno un’eccezionale capacità di sviluppare mondi nuovi e tecnologie nuove ma mi preoccupo del fatto che ci sono 4 persone al mondo che possono decidere di tutti noi”.

“Nella relazione tra cliente e banca l’unico valore che conta è quello della fiducia”

“E su quello facciamo tutte le attività” spiega Fabrizio Paschina, Responsabile della Direzione Comunicazione e Immagine di Intesa Sanpaolo. “Nel rapporto di fiducia che cerchiamo di costruire non ci sono sole le cose che la banca fa ma anche tutto il resto che fa in ambito sociale e culturale per le comunità. Se chiedo a un cliente il tasso di fiducia verso la banca, il 43% dice che si fida, se conosce tutte le attività sale al 44%. Tra i non clienti, questo dato sale dal 33% al 59%. Per noi comunicare è fondamentale”.