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Rome Future Week, le donne nel marketing: la maggior parte in comunicazione. E dal 48% nell’entry level all’appena 10% dei Ceo, che in Italia scende al 4%. Serve cambiare la struttura delle aziende, ferme a fine Ottocento

di Maurizio Ermisino

Il World Economic Forum aveva detto che serviranno 150 anni per colmare il gender gap. Lo scorso giugno ha aggiornato la previsione affermando che sarebbero “solo” 134: ancora troppi. In Europa probabilmente non ci vorranno 5 generazioni per colmare il gap, come nel resto del mondo, ma solo 3. La brutta notizia è che l’Italia, nella classifica europea, è terzultima. Per colmare le diseguaglianze di genere c’è ancora molto da fare. Ma come vanno le cose nel mondo del marketing? Si è parlato di questo alla Rome Future Week, nel panel Empowerment: le donne del Marketing, che si è tenuto ieri alla Casa delle Tecnologie Emergenti di Roma, a Stazione Tiburtina. Quante sono le donne che lavorano in questo settore? E che posizioni hanno? Il problema, secondo Elisabetta Giazzi, Marketing & Communication Director di Porsche Consulting, è “che ci perdiamo i pezzi per strada”. Che cosa vuol dire? “Nelle posizioni entry level la presenza femminile è intorno al 48%, quasi pari a quella maschile” spiega la manager. “Ma man mano che il funnel della carriera procede, le figure professionali femminili spariscono. Solo il 10% per cento dei CEO, in Europa, sono donne. In Italia questa percentuale scende al 4%”. Non era difficile intuire che il problema fosse questo, ma i dati, impietosi, lo confermano. Si tratta quindi di realizzare una serie di iniziative che supportino le donne in questa fase della carriera, che le aiutino a passare dalle posizioni entry level fino ai piani alti.

Diversity & Inclusion: a che punto sono le aziende?

Le aziende sono nel mezzo di un processo di cambiamento per colmare il gap e valorizzare le diversità al loro interno. Elisabetta Giazzi ci spiega quello che può aiutare in questa fase di transizione. “Se sei un’azienda che sta facendo un percorso verso la diversity & inclusion, creare in azienda delle community funziona” riflette.  “Le persone sentono un senso di appartenenza e si sentono sicure nel loro percorso. Capiscono che l’azienda non ha ancora completato il processo. Ma nella community si sentono a loro agio”. Le voci diversity & inclusion, in ogni caso, oggi sono nei bilanci di spending di marketing. Porsche Consulting, a livello globale, è sugli 8 miliardi di spesa. E se le aziende ci mettono del denaro vuol dire che la cosa è importante.

Ma cosa si intende oggi per diversità?

Anche in questo senso, nelle aziende, le cose stanno cambiando. “Mentre qualche anno fa i messaggi erano incentrati sulla diversità culturale, di genere, fisica, nell’ultimo anno e mezzo si è aperto molto il tema” spiega la manager di Porsche Consulting. “Oggi si parla di diversità mentale, di neuroscienze”. E ancora una volta al centro dell’attenzione c’è l’Intelligenza Artificiale. Proviamo a pensarla in relazione alla diversità: l’ultima campagna di Dove, un brand che ha messo la diversità al centro della sua strategia di comunicazione da anni, è bellissima. “Il grande tema è: se siamo noi ad addestrare l’AI, la addestreremo con i bias?” si chiede Elisabetta Giazzi. “O sarà fatto un lavoro specifico, e l’AI sarà proprio un tool che ci aiuterà nel colmare il gender gap?”

Quando parliamo di donne e di marketing, andrebbe chiarito un equivoco

Spesso infatti si tende a fondere, o confondere, il marketing con la comunicazione. “Andando a vedere le professioni, ci siamo resi conto che il ruolo delle donne nel marketing non è questione di ruoli apicali” precisa Fabiola Sfodera, Professoressa di Marketing Strategico e Market Driven Management dell’Università La Sapienza di Roma. “La maggior parte delle donne che lavorano in quel settore in realtà sono impiegate nella comunicazione. Pochissime donne lavorano alla creazione del prodotto o in altri compiti”.

Ci sono delle eccezioni

Chiara Pallavicini, EMEA Senior Marketing Manager Hitachi Vantara, azienda che lavora nel b2b e fa un lavoro che non è il classico marketing consumer, ha invece delle risposte più confortanti. A partire proprio dai ruoli apicali. “La mia azienda ha una CEO donna, quindi rientra in quel 10% di cui parlavamo” ci racconta con un sorriso. “Vendiamo prodotti a grandi aziende, clienti molto complessi in cui i processi d’acquisto sono molto lunghi” spiega. “In queste aziende ci sono donne che entrano nei processi decisionali, apportando una diversità di pensiero che diventa un valore aggiunto”. Attenzione però a non cadere negli stereotipi quando si parla di donne e lavoro. “Si dice che le donne sono più accudenti, sono più empatiche: non è detto” fa notare Fabiola Sfodera.

Come fare per colmare il gender gap?

Occorre ristrutturare le aziende dalle fondamenta, cambiare profondamente i loro presupposti. “Le organizzazioni sono state concepite nel Novecento, con un approccio maschile al lavoro. E la loro struttura è ancora quella della rivoluzione industriale di fine Ottocento” analizza la docente de La Sapienza. “Credo che il processo di cambiamento sia avviato, ma è molto lungo: la struttura non è preparata. In ogni caso, non ci dovrebbe essere una distinzione tra uomini e donne, ma sulla base del talento”.