di Maurizio Ermisino
“Tutto quello che c’è di buono nella vita è eredità”. Lo diceva Friedrich Nietzsche, e si parla di eredità genetica. Queste parole le pronuncia uno strepitoso Fabrice Luchini in Marcello mio, il film di Christophe Honoré con Chiara Mastroianni, presentato al Festival di Cannes e in arrivo nelle sale italiane da giovedì 23 maggio distribuito da Lucky Red.
Ogni volta che vediamo Chiara Mastroianni, nel suo volto rivediamo la madre e il padre, Catherine Deneuve e Marcello Mastroianni. Ma, soprattutto lui, di cui Chiara è la versione al femminile. Marcello mio immagina che Chiara Mastroianni, dopo aver sentito forte la presenza del padre, e aver sognato che, guardandosi allo specchio, si trasformava in lui, decida di diventare Marcello Mastroianni. E non per un film, ma nella vita di tutti i giorni, con le inevitabili conseguenze per chi le sta vicino e anche per i media. Ovviamente è per un film che mescola vita e cinema, realtà e finzione. O meglio, è finzione che imita la realtà, restando dichiaratamente finzione. Il risultato è un gioco cinefilo e divertente, una lettera d’amore di Chiara al padre, Marcello Mastroianni, e al cinema. E anche, se vogliamo, una seduta di psicanalisi filmata. È un film che, usciti dalla sala, fa venire voglia di rivedersi uno dopo l’altro tutti i film di Marcello Mastroianni, il più grande attore italiano.
In questo gioco tra arte e vita ci sono tutti gli affetti di Chiara.
Ci sono la madre Catherine Deneuve, Fabrice Luchini, Melvil Poupaud, che è stato legato a Chiara da giovane, e il musicista Benjamin Biolay, ex marito di Chiara. Nei dialoghi si ironizza sulle relazioni dei grandi attori. Marcello che amava Faye Dunaway e poi Catherine Deneuve. Fabrice Luchini racconta che andava sul set dicendo “sono sposato con Catherine Deneuve”, che lo tradiva con Gerard Depardieu: ma è solo la storia di un film, Potiche – La bella statuina di Francois Ozon. Ci sono anche i ricordi che Chiara aveva del padre: quel suo affettuoso chiamarla ‘polpetta’ e la loro abitudine di guardare insieme le gare di pattinaggio artistico. La storia inizia durante un provino, con Fabrice Luchini e la regista Nicole Garcia (tutti interpretano loro stessi e stanno al gioco) che le chiede di essere “più Mastroianni e meno Deneuve, più Marcello e meno Catherine”. E con la madre, Catherine, che, dopo il sogno di Chiara le dice “hai le sue stesse espressioni, ma non somigli tanto a Marcello, somigli anche a me”. Chiara così decide di diventare Marcello, di essere lui. Marcello mio non è solo un film su Mastroianni, ma sul lavoro dell’attore: ci vuole dire che gli attori non smettono mai di essere tali, anche quando non stanno girando.
La somiglianza tra Chiara Mastroianni e il padre Marcello è sempre stata impressionante
Lo diventa ancora di più quando Chiara – attrice senza età e senza tempo, versatile, sfuggente – comincia a vestirsi come lui. L’abito stretto, giacca e cravatta, i celebri occhiali con la montatura nera, spessa, e l’inconfondibile cappello nero in testa. Più tardi arriveranno un paio di baffi finti, il frac di Ginger e Fred e l’abito bianco del finale de La dolce vita. Ma è nel modo di porsi che Chiara diventa Marcello Mastroianni: l’incedere elegante e compassato, il modo di tenere la sigaretta tra le labbra, quel modo di sorridere. In generale, Chiara Mastroianni porta sullo schermo i modi suadenti e gentili del padre.
In Marcello mio si respira la magia del cinema di un tempo
Ed è un film che, al tempo stesso, non vuole mai rifarsi a quel linguaggio, ma punta su una messinscena semplice e realistica dell’oggi. Come detto, lo spirito di Federico Fellini aleggia ovunque (la scena della Fontana di Trevi de La dolce vita è citata all’inizio e alla fine del film), ma ci sono anche il Luchino Visconti de Le notti bianche, il Pietro Germi di Divorzio all’Italiana (grazie anche a un cameo di Stefania Sandrelli), l’Ettore Scola di Una giornata particolare. E anche un’esibizione in uno show della Rai con Mina, con la canzone Se piangi se ridi, del 1965. C’è anche tanta musica italiana (tra cui una bellissima versione di Una storia importante di Eros Ramazzotti cantata dalla stessa Chiara Mastroianni, che pare la cantasse a sua figlia quando era piccola). C’è anche la tivù italiana più becera e anche i nostri giornalisti (“la conosci la stampa italiana, non bisogna fidarsi” è una battuta messa in bocca dagli sceneggiatori alla stessa Deneuve). È sempre lei a dire una delle battute più interessanti sul lavoro dell’attore. “Non credere che ci ricorderanno grazie ai film. Ricorderanno i nostri volti, ma non sapranno mai chi siamo”.