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Mani nude: Alessandro Gassman nel ‘Fight Club’ di Mauro Mancini, regista che viene dalla pubblicità e si vede. Sia chiaro, è un complimento

di Maurizio Ermisino

“Non c’è nessun inferno… e neanche il paradiso. La vita è qui. La ricompensa è qui. Il dolore è qui”. Queste parole di Edward Bunker aprono il film Mani nude di Mauro Mancini, presentato mercoledì nella sezione Grand Public alla Festa del Cinema di Roma. Ed è davvero un inferno, un mondo grigio piombo senza via d’uscita, quello in cui capita Davide, un ragazzo che una notte viene rapito e rinchiuso dentro un cassone buio di un camion. Finisce prigioniero di una misteriosa organizzazione che lo costringe a lottare, a mani nude, in combattimenti clandestini estremi. Mani nude, tratto dal romanzo omonimo di Paola Barbato, è prodotto da Eagle Original Content, Pepito Produzioni e Movimento Film con Rai Cinema, e uscirà prossimamente al cinema distribuito da Eagle Pictures. I protagonisti sono Alessandro Gassmann, Francesco Gheghi, Fotinì Peluso, Paolo Madonna, Giordana Marengo e Renato Carpentieri. Un grande cast per quello che è stato definito il Fight Club italiano, ma che è un film con una sua personalità, che parte da lì e poi prende una strada tutta sua: un film d’azione di stampo internazionale che man mano diventa un romanzo di formazione, un film sul rapporto padre/figlio e su colpa e redenzione.

Tra Fight Club e incubo kafkiano

“A volte capita di incontrare le persone sbagliate. Stavolta è toccato a te”. È questo che dice Minuto (Alessandro Gassmann), carceriere e allenatore di uomini senza speranza e senza futuro, a Davide (Francesco Gheghi), appena lo cattura. Lasciate ogni speranza voi che entrate, si potrebbe dire di questa storia. Gli uomini che finiscono in quella nave portacontainer vivono come bestie, al limite. In combattimento non ci sono regole: si combatte a mani nude e chi perde muore. Mani nude si muove tra Fight Club e un incubo kafkiano. Quei ragazzi, e quegli uomini, si trovano in non luoghi come cave di pietra o enormi navi cargo: spazi enormi, ambienti freddi, duri, inospitali che ti annientano l’identità. I suoni dissonanti di Dardust fanno il resto per creare un’atmosfera sinistra.

Alessandro Gassmann è il duro della storia

Alessandro Gassmann è ancora una volta straordinario. Ha dei tratti somatici, quel volto spigoloso e quegli occhi piccoli, che gli permettono spesso di fare il duro, il cattivo, lo spietato, ma con l’umanità negli occhi. Il suo Minuto è un personaggio che ci porta in un mondo di violenza. Una violenza irreale, ma che coglie in modo simbolico quella del mondo di oggi. “Viviamo evidentemente in un mondo violento” commenta l’attore. “Abbiamo guerre intorno a noi, un fronteggiarsi muro contro muro, un urlare, non ascoltare e tanta voglia di zittire. Anche nei ragazzi dell’età di Davide e di mio figlio. Credo che questo film sia importante. In un film che ha una violenza non realistica Paola Barbato e Mauro Mancini hanno inserito la violenza di cui parliamo. Ma si crea un pertugio, una crepa che può portare alla crescita di un germoglio, una comprensione reciproca”.

Francesco Gheghi, una rivelazione

Il giovane Francesco Gheghi, appena visto in Familia di Francesco Costabile, è un cucciolo che diventa belva, per poi diventare ancora altro. La sua trasformazione è impressionante. “Sono cresciuto ascoltando ai telegiornali storie di violenza, storie con cui non entriamo mai in empatia” rilette. “Il male va raccontato ed è l’unico modo di sconfiggerlo. Siamo in evoluzione, non so se un’evoluzione buona oppure no. Questo è un film sui sensi di colpa, sulle cose che, in maniera positiva, portano le persone a muoversi nel mondo, su una rinascita”. “Questo film è stata l‘esperienza più tosta della mia vita” continua. “Venivo da Romeo e Giulietta di Mauro Martone a teatro, credevo che fosse quella l’esperienza più dura. Ho preso 10 chili di massa muscolare. L’allenamento mi ha dato sicurezza in me stesso per entrare in questo ruolo. Io e Paolo Madonna (un altro dei combattenti, ndr) siamo i Christian Bale italiani”.

Fotinì Peluso, la presenza salvifica

Accanto a loro, Fotinì Peluso, seducente e dolcissima, è tutto quello che c’è al di fuori di quel mondo: la vita e l’amore. Una delle poche donne, insieme a Giordana Marengo, in un mondo di uomini. “È stato un set molto maschile come numero, ma sono tutti dei pezzi di pane, dei cuori di panna” esordisce l’attrice. “Mi sono trovata benissimo, mi sentivo la principessina della situazione. Il mio personaggio è un ruolo minore rispetto agli altri, ma completo, a 360 gradi. Era un ruolo in cui Mauro credeva tantissimo, anche come funzione salvifica nella storia. E mi ha dato la possibilità di avere un’ottica diversa, come quando si sta dentro una stanza e si cerca una cosa, e si sale su una sedia e la si vede.  Sono tanti i campi larghi nel film, non c’è l’angoscia di stare incollati all’attore come in tanti film. È una cosa innovativa”.

Un film di inquadrature non scontate

È vero. Il film è fatto spesso di totali, di campi lunghi, inquadrature che servono a mostrarci l’ambiente dove si muovono i personaggi. Così che gli attori, nella prima parte, pur con volti potenti, non sono mai in primo piano, quanto figure funzionali alla storia, come strumenti che vibrano ma dentro un’orchestra. Volti inghiottiti dal buio e dalla ruggine. Nella seconda parte escono fuori e arrivano i volti, i personaggi.

L’omaggio a Fight Club

Fight Club è omaggiato soprattutto in una scena, in cui si riprendono le inquadrature tipiche del film di David Fincher, con la mdp che gira intorno ai lottatori, e i piani americani con cui vengono ripresi. Ma Mani nude è un film molto diverso. Manca tutto il discorso politico del libro di Chuck Palahniuk, la rivolta contro il consumismo, la ricerca dell’identità. Ma, soprattutto, la lotta in Fight Club era vista come una rinascita, una riaffermazione del proprio io. Qui è la negazione, e porta sempre, o quasi, verso la morte. Per rinascere bisogna fuggire da quel mondo. È piuttosto un film su delitto e castigo, colpa e redenzione, peccato e perdono. “Cerco di continuare la mia ricerca che ho iniziato con non odiare, tematiche che mi sono vicine e ho trovato nel libro di Paola Barbato” spiega Mancini. “Il perdono è una di queste. Il film parla di quanto subiamo il perdono e quanto subiamo il senso di colpa. E poi la violenza, l’origine del male, quanto possa essere duro, violento, l’essere umano. Sam Peckinpah diceva: sono uno studioso della violenza perché sono uno studioso del cuore umano”.

Mauro Mancini è un regista intenso ed estetico

Viene dalla pubblicità e si vede. Sia chiaro, è un complimento. Nella durezza della confezione è capace di inquadrature molto raffinate (vedi l’immagine annebbiata che evoca la visione di chi è stato picchiato, quel tavolo di vetro che raddoppia i due personaggi, inquadrati fino dalla cintura in su). È aiutato da una fotografia che ricrea toni freddi e cupi, dando al film quel mood plumbeo di cui ha bisogno.

Il Mauro Mancini pubblicitario

Mauro Mancini ha girato gli spot Siamo tutti bambini per Eni Station, Human Car Configurator, per Ford / Google e Fleet per Ford, e molti spot per Fondazione Telethon. Ma soprattutto ha girato un progetto molto interessante, 4NNA Quella che (non) sei, da un’idea di Claudia Catalli, branded webserie per Mercedes Benz Italy, girata quando ancora nessuno parlava di branded webseries e branded entertainment. È un regista in grado di mettersi al servizio delle storie che racconta e di trovare ogni volta lo stile migliore.