Il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo per ogni quarto di giro compiuto, tra pesanti tonfi e tentennamenti. Mai lo si era visto così bene come durante quest’anno eccezionale, sotto i colpi dell’epidemia. Così il Censis nel 54° Rapporto sulla situazione sociale del Paese nel capitolo ‘La società italiana al 2020’.
Il 73,4% degli italiani indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente.
Il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni alla mobilità personale. Il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, accettando limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione e di iscriversi a sindacati e associazioni. Il 77,1% chiede pene severe per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento. Il 76,9% è convinto che chi ha sbagliato nell’emergenza, che siano politici, dirigenti della sanità o altri, deve pagare per gli errori commessi. Il 56,6% chiede addirittura il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena. Il 31,2% non vuole che vengano curati (o vuole che vengano curati solo dopo, in coda agli altri) coloro che, a causa dei loro comportamenti irresponsabili, si sono ammalati. E per il 49,3% dei giovani è giusto che gli anziani vengano assistiti solo dopo di loro.
Per l’85,8% degli italiani la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no. Su tutti, i garantiti assoluti, i 3,2 milioni di dipendenti pubblici.
La rete che più di tutte ha conosciuto una rivoluzione dei comportamenti individuali è stata internet. L’87% dei cittadini ha dichiarato di avere utilizzato nell’emergenza la connessione internet fissa a casa e che è stata sufficiente. Meno del 10% ha lamentato una mancanza di banda adeguata. Gli upgrade a connessioni più performanti sono stati limitati (7,4%). In oltre la metà dei casi è stata utilizzata anche la connessione dati del telefono cellulare. Più del 70% dei cittadini ha dichiarato di possedere le competenze di base necessarie per svolgere tutte le attività online. Però appare chiara una criticità: la generazione più anziana è quella che per un terzo (il 32,6%) si autoesclude completamente dal mondo digitale.
Solo il 28% degli italiani nutre fiducia nelle istituzioni comunitarie, a fronte di una media Ue del 43%: siamo ultimi nella graduatoria europea. La percezione delle istituzioni comunitarie nell’immaginario collettivo degli italiani resta però positiva per il 31%, è negativa per il 29%. Tuttavia, il 58% degli italiani si dice insoddisfatto delle misure adottate a livello comunitario per contrastare la crisi del Covid-19 (una percentuale superiore alla media Ue: 44%).
I consumi mediatici: un sistema sempre più liquido
Nel 2019 la fruizione della televisione è stabile, ma si registra una flessione dei telespettatori della tv tradizionale (il digitale terrestre: -2,5% in un anno), mentre resta salda l’utenza della tv satellitare (-0,1%) e crescono significativamente la tv via internet (web tv e smart tv arrivano al 34,5% di utenza: +4,4% in un anno) e la mobile tv (che è passata dall’1% di spettatori nel 2007 all’attuale 28,2%, con un aumento del 2,3% solo nell’ultimo anno). Si combinano sempre di più programmazione lineare e palinsesti personali. La radio continua a rivelarsi all’avanguardia dentro i processi di ibridazione del sistema dei media. Complessivamente, i radioascoltatori sono il 79,4% degli italiani, stabili da un anno all’altro. Ma se la radio ascoltata in casa attraverso l’apparecchio tradizionale perde 5,3 punti percentuali di utenza, l’autoradio è stabile (+0,3% rispetto all’anno precedente) e l’ascolto delle trasmissioni radiofoniche via internet con il pc (lo fa il 17,3% degli italiani: +0,3%) e soprattutto attraverso lo smartphone (con una utenza arrivata al 21,3%: +0,6% rispetto a un anno prima) è sempre più rilevante.
Si registra ancora un aumento dell’utenza di internet: dal 78,4% al 79,3% della popolazione, con una differenza positiva di quasi un punto percentuale in un anno. Gli italiani che utilizzano gli smartphone salgono dal 73,8% al 75,7% (con una crescita dell’1,9%, quando ancora nel 2009 li usava solo il 15% della popolazione). Invece i media a stampa sono ancora in crisi, ma sembra essersi fermata l’emorragia di lettori. Quelli dei quotidiani, che nel 2007 erano il 67,0% degli italiani, si sono ridotti al 37,3% nel 2019, praticamente gli stessi di un anno prima (il 37,4% nel 2018). Le edizioni online dei giornali si attestano a una quota di utenza pari al 26,4% (la stessa di un anno fa: +0,1%). Nel campo dei periodici, flettono leggermente i settimanali (il 30,1% di lettori, -0,7% in un anno) e tengono i mensili (il 27,4% di lettori: +0,9%). Gli aggregatori di notizie online e i portali web d’informazione sono consultati dal 51,6% degli italiani, con una crescita del 5,5% rispetto all’anno precedente. Anche i lettori di libri in Italia continuano a diminuire anno dopo anno. Se nel 2007 il 59,4% degli italiani aveva letto almeno un volume nel corso dell’anno, nel 2019 il dato è sceso al 41,9%, ma sembra essersi fermata la caduta, dal momento che il dato risulta stabile rispetto all’anno precedente (-0,1%). Né gli e-book (letti solo dall’8,5% degli italiani, con una variazione nulla in un anno) hanno compensato la riduzione dei lettori.
La spesa delle famiglie per i consumi mediatici tra il 2007 (l’ultimo anno prima dell’inizio della crisi) e il 2018 evidenzia come, mentre il valore dei consumi complessivi ha subito una drastica flessione, senza essere ancora tornato ai livelli pre-crisi (-2,0% in termini reali è il bilancio nel periodo considerato), la spesa per l’acquisto di telefoni ed equipaggiamento telefonico ha segnato anno dopo anno un vero e proprio boom, di fatto quadruplicando in valore (+298,9% nell’intero periodo, per un valore di oltre 7 miliardi di euro nell’ultimo anno), quella dedicata all’acquisto di computer e audiovisivi ha conosciuto un rialzo rilevantissimo (+64,7%), mentre i servizi di telefonia si sono assestati verso il basso per effetto di un riequilibrio tariffario (-16,0%, per un valore però di 16,8 miliardi di euro sborsati dalle famiglie italiane nell’ultimo anno). La spesa per libri e giornali ha subito invece un vero e proprio collo nel decennio (-37,8%), che però si è arrestato nell’ultimo anno, quando c’è stato invece un rialzo del 2,5%.
I social network più popolari sono YouTube, utilizzato dal 56,7% degli italiani (ma il dato sale al 76,1% tra i 14-29enni), Facebook dal 55,2% (dal 60,3% dei giovani), Instagram dal 35,9% (dal 65,6% degli under 30). E WhatsApp è utilizzato dal 71% degli italiani: il 3,5% in più in un anno (si arriva all’88,9% dei 30-44enni, ma si scende al 30,3% tra gli over 65). I social network sono giudicati indispensabili dal 4,9% degli italiani, utili dal 48,6%, sono inutili secondo il 22,9% e addirittura dannosi per il 23,7%. Ma perché si utilizzano? Per rimanere in contatto con le persone e comunicare in maniera più veloce ed efficace (40,6%), perché fanno compagnia (28,8%), forniscono molte informazioni e punti di vista diversi dalle fonti ufficiali (24,0%), perché sono utili per il lavoro (18,0%) e consentono di coltivare i propri interessi (14,7%).
Già prima dell’accelerazione impressa al fenomeno dal lockdown, a ricorrere ai servizi offerti dalle aziende che, tramite piattaforme internet, mettono direttamente in contatto la domanda e l’offerta (dalle case per vacanza di Airbnb ai pasti consegnati a domicilio da Deliveroo) era il 6,9% degli italiani nel 2017, aumentati al 12,1% nel 2019 (5,2 punti percentuali in più). Il profilo dell’utilizzatore tipo? Un 30-44enne (19,5%: +10,6%), maschio (12,4%), diplomato o laureato (14,5%), residente in un centro urbano medio-grande (14,7%).