di Maurizio Ermisino
Il Re è tornato. Ed è tornato in grande stile. È stata presentata ieri a Roma la seconda stagione de Il Re, il prison drama Sky Original con Luca Zingaretti, dal 12 aprile in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW.
Prodotta da Sky Studios con Lorenzo Mieli per The Apartment e con Wildside, entrambe società del gruppo Fremantle, in collaborazione con Zocotoco, la seconda stagione de Il Re andrà tutti i venerdì in prima serata su Sky Atlantic con due nuovi episodi a settimana, disponibili anche on demand e in 4K HDR.
Gli otto nuovi episodi, ancora diretti da Giuseppe Gagliardi, sono scritti da Peppe Fiore, Alessandro Fabbri e Federico Gnesini e vedono Zingaretti di nuovo nei panni di Bruno Testori, il direttore di un carcere di frontiera alla fine della prima stagione reso prigioniero del suo stesso regno, il San Michele.
“La prima stagione finiva con una caduta, un tonfo doloroso”, esordisce Zingaretti. “Il monarca assoluto, che aveva governato con metodi a volte discutibili il carcere, che aveva diritto di vita e di morte sulla popolazione carceraria si trova in una cella oscura, con i suoi fedelissimi che sono stati trasferiti, e le bande rivali che non vedono l’ora di fargli la pelle. Per cui c’è l’esigenza di rimanere in vita, prima di tutto. E poi quella di uscire da questa grave impasse. A un certo punto succede qualcosa. Arriva in carcere qualcuno che gli propone di rimetterlo in sella. Questo vuol dire salvarsi non solo da un malessere piscologico, ma anche la possibilità di salvarsi la vita, rimettersi in sesto e vendicarsi. Ma c’è uno stato di grande incertezza. Improvvisamente sei caduto, improvvisamente ti rimettono a cavallo. Qualche domanda te la fai”.
Bruno Testori, Il Re, è ora un detenuto rinchiuso nel suo stesso carcere.
Almeno finché Gregorio Verna, capo dei servizi segreti, fa cadere le sue accuse e lo reintegra nel ruolo di direttore. In cambio vuole che faccia parlare un detenuto che sta per essere trasferito al San Michele: Vittorio Mancuso, un magistrato molto conosciuto accusato dell’omicidio di una dipendente della Slimpetroil S.p.a., rinomata e importante compagnia energetica di bandiera. Nonostante l’uomo proclami la propria innocenza, Verna sostiene che è colpevole e vuole che Bruno scopra cosa il magistrato e la vittima si siano detti per mesi e perché poi lui l’abbia uccisa. E questo tassativamente prima che Mancuso vada a testimoniare davanti a un GIP. Hanno dieci giorni di tempo per avere quelle informazioni. Solo dieci.
Il Re è stata venduta in 70 Paesi
Ed è stata appena vista in America, dove è stata molto apprezzata. “È un grande orgoglio”, commenta Zingaretti. “Anche in Francia ci hanno riempito di complimenti. Questa cosa viene a confortarci sul fatto che abbiamo fatto un buon lavoro. Il Re è un prison drama, genere molto in voga nella serialità contemporanea: prendiamo le serie americane Prison Break, Orange Is The New Black, la spagnola Vis a Vis, e la nostra Mare fuori, prodotto con un target comunque diverso. “Il prison drama tende a raccontare una realtà molto particolare perché è una realtà costretta”, spiega. “Anche un genere come il reality usa le persone chiuse nello stesso luogo per far sì che i conflitti esplodano. Abbiamo rinchiuso in maniera claustrofobica delle persone in un luogo chiuso per far sì che escano in maniera più evidente e feroce le dinamiche che escono tra gli esseri umani”.
Per Luca Zingaretti è un personaggio agli antipodi rispetto a Montalbano
Dove quello era un personaggio buono, solare disponibile, Testori è oscuro, combattuto. C’era bisogno di allontanarsi da quell’eroe? “Sono sempre stato un attore e un uomo incosciente”, risponde Zingaretti. “Mi sono raramente interrogato sulle conseguenze che eventuali mie scelte avrebbero potuto generare. Appena uscito dall’Accademia accettai un ruolo da protagonista a teatro dove facevo un detenuto omosessuale in un campo di concentramento. Erano altri tempi, e venivamo insultati. Venni sconsigliato, ma mi piaceva il testo e il messaggio che veicolava. Montalbano l’ho fatto sempre con gioia e consapevolezza. Non ho detto: voglio far un personaggio che si allontana da quel personaggio iconico. Ho detto: voglio fare una bella storia”.
La seconda stagione è meno claustrofobica
Lo spiega Giuseppe Gagliardi, regista de Il Re dopo avere diretto le serie Sky 1992, 1993, 1994, uno dei migliori prodotti della serialità italiana in assoluto. “C’è il chiaroscuro, il racconto dell’interiorità dei personaggi all’interno di questa fortezza buia”, spiega. “Ma le linee narrative portano i personaggi di più fuori dal carcere. E abbiamo potuto raccontare questa città di frontiera, che non si nomina mai ma che è Trieste”. “Prendere un personaggio e scaraventarlo nel peggiore dei guai possibili era un punto di partenza sfidante”, aggiunge lo sceneggiatore Alessandro Fabbri. “Tra le tante cose di cui parla questa stagione c’è la perdita di sicurezza: volevamo prendere un protagonista pieno di carisma e forza come Bruno Testori e sottoporlo a un crash test clamoroso; tutte le cose che ritiene salde e sicure vengono sfidate e messe a rischio. Nel carcere, fuori dal carcere, e dentro se stesso”. “Una delle caratteristiche de Il Re è aver trovato un equilibrio peculiare fra una serie di plot e lo sguardo narrativo che sta molto sull’approfondimento del personaggio”, sottolinea l’altro sceneggiatore Peppe Fiore. “Era naturale mettere alla prova il personaggio con qualcuno che potesse sfidarlo apertamente, metterlo in discussione guardandolo negli occhi. Le macchine narrative giocano spesso sulla specularità. Qui il magistrato Mancuso da un lato incarna i suoi stessi valori, allo stesso tempo è un grande manipolatore che può essere molto pericoloso per Bruno”.
Thomas Trabacchi è il magistrato Mancuso
È lui che incarna la nemesi di Testori, il suo doppio, il suo antagonista. “L’inizio è drammaturgicamente molto potente”, commenta Trabacchi. “Un uomo che perde il potere che esercita. Entra come un animale impaurito. Sembra una vittima, ma forse non lo è. Quando ci troviamo in situazioni estreme siamo portati a dare il meglio di noi per sopravvivere”. “I collaboratori di altissima caratura e il luogo dove abbiamo girato, che ci aiutava molto, mi hanno messo in condizioni ideali di lavoro”.
In un mondo maschile ci sono anche le donne.
Sono Sonia Massini, ora comandante delle guardie penitenziarie del San Michele, interpretata da Isabella Ragonese, e Claudia Agosti, che ha il volto di Caterina Shulha, l’avvocato di Mancuso. Nel cast ci sono anche Anna Bonaiuto, nei panni di una p.m., e Barbora Bobulova, ex moglie di Testori. “Sonia è un’Amleta, un personaggio shakespeariano, sempre combattuta, sempre nel dubbio”, commenta Isabella Ragonese. “Ma molto avviene nella sua testa. Come avviene con i genitori, ammira Testori, ma ha paura di diventare come lui. Uscendo fuori dal carcere e relazionandosi al mondo esterno si trova ad agire. Per come è scritta e diretta la serie ho la possibilità di affinare e lavorare sulle piccole cose, piccoli sguardi, piccole tensioni”. “Claudia Agosti è un personaggio molto coraggioso”, racconta Caterina Shulha. “È stato stimolante vedere questo personaggio luminoso che entra in un mondo oscuro e porta determinazione, sicurezza. È stato bello lavorare con tempi così dilatati, umani, con dialoghi scritti in questo modo”.
Un prison drama non è un film di denuncia sul carcere. Ma…
È impossibile non arrivare a parlare della situazione delle carceri italiane. Di prigioni ne sappiamo tutti poco: vediamo i film, leggiamo i libri, ma è solo finzione. “Il carcere è un luogo terribile”, spiega Zingaretti. “Ma ho scoperto un lato umano del vivere là dentro: le amicizie che nascono sono amicizie che durano per la vita. Ci sono gesti di umanità e tenerezza. La prima volta che uno entra trova la cena pronta e il letto fatto dai compagni di cella”. L’umanità tra i detenuti non cancella quello che di disumano c’è dietro le sbarre. “La situazione delle nostre carceri è drammatica, siamo sati più volte sanzionati” commenta l’attore. “Sono aumentati i suicidi tra i detenuti ma anche tra gli agenti di custodia. Significa che abbiamo strutture fatiscenti, settecentesche o ottocentesche, in cui mancano quegli spazi che sarebbero necessari in delle carceri moderne. Manca l’idea di carcere come luogo dove redimersi e fare esperienze che possano permettere un reintegro dell’individuo nella società. Sono strutture punitive, dove si vive in maniera bestiale, che non fanno altro che indurre l’individuo a delinquere di nuovo”. “Si dice che lo stato della cultura di un Paese si misura dal sistema carcerario: sono d’accordo”, continua. “È difficile parlare di un sistema carcerario da riformare. Spero che possa cambiare a breve. Ma non sono ottimista. Bisognerebbe investire delle risorse nella costruzione di nuove strutture”.