di Maurizio Ermisino
“Mia moglie mi ha sposato per fare un dispetto a un uomo. Quell’uomo ero io”. La voce off che apre il racconto ci fa capire chiaramente in che mondo ci troviamo: è quello di un classico film noir. Dopo essere stato presentato al TFF – Torino Film Festival, esce oggi al cinema Il Corpo, il nuovo film di Vincenzo Alfieri, uno dei nostri migliori registi emergenti. È un regista che ama il cinema di genere. “I film di genere hanno da sempre influenzato la mia vita personale ed artistica” ha spiegato. “L’azione, il thriller, la commedia, la fantascienza o l’horror, sono per me dei veicoli per raccontare, in modo inusuale, delle storie piccole e personali. Storie in cui tutti possano riconoscersi e ritrovarsi, rimanendo sì vicini alla quotidianità, ma senza esserne schiavi. Il cinema che amo riesce simultaneamente a dare un messaggio e a farmi entrare nella visione di un autore intrattenendomi con intelligenza”. Quel cinema di genere Alfieri sa come portarlo in scena con una forma visiva molto ricercata e costruita ad hoc per ogni progetto. In particolare, Alfieri ha un modo unico di usare la luce, ed è bravissimo ad utilizzare gli attori contro ruolo: la prestazione di Fabio De Luigi e Giampaolo Morelli ne Gli uomini d’oro ce l’abbiamo ancora negli occhi. Qui fate attenzione a Giuseppe Battiston e Claudia Gerini. Il Corpo è il remake di un film spagnolo che Vincenzo Alfieri, che ha scritto la sceneggiatura insieme a Giuseppe G. Stasi, rende un’opera sua.
Una morte improvvisa, un corpo che sparisce
Quella moglie di cui parla la voce all’inizio, e che abbiamo visto in bianco nel giorno del suo matrimonio, è Rebecca Zuin (Claudia Gerini), un’affascinante e carismatica imprenditrice, La sua morte improvvisa getta un’ombra su chiunque le fosse vicino. Quando il suo corpo sparisce senza lasciare traccia dall’obitorio, l’ispettore Cosser (Giuseppe Battiston) viene incaricato di risolvere un caso che si fa subito intricato. Anche se i sospetti ricadono sul giovane marito, Bruno Forlan (Andrea Di Luigi), tutte le persone che le erano accanto sembrano avere un movente per volerla morta. Ma l’ispettore Cosser ha le idee molto chiare su come possono essere andati i fatti.
Giuseppe Battiston, detective da hard boiled
Al centro della scena c’è Giuseppe Battiston, che con Andrea Sartoretti forma una strana coppia di detective da film hard boiled. Battiston è un investigatore stropicciato e stanco, una figura che eravamo soliti vedere nei vecchi film americani, ed è piuttosto originale per il cinema italiano. A tratti ci ricorda il caro vecchio Tenente Colombo, per quel suo modo un po’ insistente di trattare il sospettato, quel suo modo irriverente di giocare al gatto con il topo. E Andrea Sartoretti è la spalla perfetta per far risaltare il protagonista. Anche grazie a loro, dei bagliori di humour nero illuminano qua e là la storia, e le danno un tono tutto particolare.
Un film sull’inevitabilità
“Cos’è questa teoria che chi sta male deve guarire per forza?”. È la frase che, all’improvviso, il tormentato detective di Giuseppe Battiston pronuncia. E che getta una nuova luce sulla storia. Un tocco di malinconia arriva in una storia che è un meccanismo a orologeria. Ma anche, forse, un indizio verso un finale che ha un colpo di scena notevole. “Mentre scrivevo Il Corpo, mi sono reso conto che, in qualche modo, il leitmotiv dei miei film, molto diversi tra di loro in termini di genere e stile, è sempre il concetto di inevitabilità” ha raccontato Alfieri. “Ne sono sempre schiavo. Come se interrogarmi sull’inevitabilità esorcizzi una parte cinica di me che pensa che ‘chi nasce tondo non muore quadrato’, mettendo sempre i personaggi che scrivo in situazioni più grandi di loro, da cui è forse impossibile uscire. Come ho detto in altre occasioni, l’ideale dell’ostrica di Verga è qualcosa a cui sono molto affezionato. Ovvero che così come le ostriche, se staccate dallo scoglio che gli consente di sopravvivere, soccombono, anche le persone, allontanandosi dal modello di vita che gli appartiene per migliorare le proprie condizioni, finiscono col soccombere anche loro”.
Claudia Gerini, dark lady beffarda e ironica
Si chiama Rebecca il personaggio di Claudia Gerini. E in qualche modo, come il personaggio di Rebecca, la prima moglie di Alfred Hitchcock, è presente anche quando non c’è, anche quando ormai è già morta. Claudia Gerini, dal canto suo, offre una prova ancora diversa da tutto ciò che ha fatto finora, una dark lady beffarda e ironica, una donna che sembra essere anche un simbolo di un certo modo di essere di chi è ricco e privilegiato. “De Il Corpo, di cui avevo visto il film originale di Oriol Paulo, mi avevano attratto principalmente due aspetti: un’indagine personale durante una lunga notte, e un rapporto di coppia disfunzionale” ha spiegato il regista. “Insieme a Giuseppe G. Stasi, cosceneggiatore, abbiamo voluto ampliare ed esplorare questi aspetti a mio avviso molto affascinanti, attratti entrambi dalla complessità delle dinamiche familiari che si sviluppano tra un modesto professore universitario e una donna molto più ricca, potente e grande di lui. Inserire un elemento di forte divisione tra loro, l’anima profondamente fedifraga e opportunista di lui, mettendola a contrasto con il carattere manipolatore di lei”.
Come in True Detective
La regia di Vincenzo Alfieri è davvero di quelle che fa la differenza. È un regista che, in ogni suo film, non si accontenta mai di avere una storia forte e di metterla semplicemente in scena. È un regista che sfrutta ogni sequenza per metterla in scena al meglio, per trovare un’inquadratura, un punto di vista. Si vedono i suoi film non solo perché sono avvincenti, ma proprio per il piacere dell’estetica. In questo senso, nel sottofinale ci regala un inseguimento in piano sequenza attraverso una serie di case, giardini e finestre, che è una citazione di una sequenza cult della prima stagione di True Detective. Tutte cose che nel nostro cinema, di solito, non si fanno. A proposito di citazioni, c’è anche lo Stanley Kubrick di Eyes Wide Shut.
La fotografia restituisce il lato oscuro dei personaggi
E poi c’è la luce. Ne Gli uomini d’oro Alfieri era riuscito a dipingere una città grigia, cupa, opprimente fuori (era Torino) e fluorescente dentro, con i neon che brillano nelle discoteche e negli appartamenti di Luigi. Era un contrasto che voleva simboleggiare il contrapporsi di realtà e sogni, quotidianità e aspirazioni. Il Corpo, girato a Roma, colpisce per i toni bruni, e per i bagliori e i riflessi che restituiscono gli ambienti, creando un gioco di chiaroscuri, che è poi il senso di ciascun personaggio, diviso tra luci e ombre. È un film color nero, bronzo e verde livido. Mente corpi dorati fanno l’amore al ralenti (la chimica tra Amanda Campana e Andrea Di Luigi è una delle chiavi del film). Ogni colore, ogni luce ha un senso nel cinema di Alfieri, come ci spiega lui stesso. “Ogni nuovo film è per me anche un’occasione di ricerca, studio e riscoperta di film libri e musiche del passato. Da grande fan della letteratura di Chandler, delle composizioni musicali di Kilar Wojciech e del cinema di Hitchcock e del Maestro Tornatore, ho trovato molto interessante che il film si svolgesse durante una lunga notte. E così, con una fotografia che restituisce il lato oscuro dei personaggi, indugiando con ricercata simmetria sulle location che gli appartengono e le loro silhouette, ho voluto rendere questa notte un vero e proprio protagonista del film, un lungo purgatorio bagnato da una pioggia pesante e incessante, che, come fossero lacrime sofferte, fa sì che il nostro protagonista si scontri oltre che con un ispettore affascinante nelle sue storture, anche con un passato che bussa alla porta e gli chiede di pagare pegno”.