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‘Ghostbusters: Minaccia Glaciale’ arriva al cinema, ma cos’è un legacy sequel? O un requel? Le grandi saghe oggi sono brand che producono e mettono il loro marchio all’infinito su prodotti sempre nuovi

di Maurizio Ermisino

Ghostbusters: Minaccia Glaciale, il nuovo film della saga iniziata nel lontano 1984, arriva oggi, 11 aprile, sui nostri schermi. È il secondo film di un’operazione molto precisa, iniziata con Ghostbusters: Legacy nel 2021. Si tratta di una tendenza in voga da qualche anno a Hollywood. È quella del legacy sequel, (letteralmente, seguito di eredità), detto anche requel (parola che racchiude i concetti di reboot + sequel, cioè ripartenza e seguito). È un’operazione che consiste nel dare vita a dei nuovi film che non sono i semplici seguiti dei film precedenti. Ma sono dei film che riprendono in mano una storia e le danno nuova vita. Come abbiamo detto, sono prodotti che raccolgono l’eredità di grandi film del passato. E che sono, appunto, sia reboot che sequel.

La prima grande regola dei legacy sequel, o requel, è quella di affiancare dei nuovi personaggi, più giovani, ai personaggi storici. Che ritornano, ma in veste di coprotagonisti, di mentori, di saggi, e in qualche modo sono collegati ai giovani. A volte sono più defilati, a volte sono ancora in piena luce. Nel primo caso, pensiamo a Mark Hamill, lo storico Luke Skywalker della saga di Star Wars, tornato nei requel (cioè Episodio VII: Il Risveglio della Forza, Episodio VIII: Gli ultimi Jedi e Episodio IX: L’ascesa di Skywalker) come vecchio saggio, un Maestro Jedi come era stato per lui, a suo tempo, l’Obi-Wan Kenobi di Alec Guinness. Nel secondo caso, invece, pensiamo a Tom Cruise in Top Gun: Maverick, legacy sequel di Top Gun, che già dal nome dice tutto: il suo personaggio, Maverick, agisce accanto a un personaggio più giovane, di cui è il mentore, ma è a tutti gli effetti un protagonista assoluto.

Come potete immaginare in un legacy sequel il casting è importantissimo: i nuovi volti devono essere all’altezza di quelli storici, perché devono dividere lo schermo con loro e raccoglierne il testimone. Pensiamo a Jenna Ortega e Melissa Barrera accanto a Neve Campbell in Scream del 2022, requel della celebre saga, a Miles Teller accanto a Tom Cruise in Top Gun: Maverick. O a Daisy Ridley, Jedi al femminile che raccoglie il testimone da Luke Skywalker e Leia nei tre film di cui parliamo sopra.

Proprio Ghostbusters: Legacy e Ghostbusters: Minaccia Glaciale sono un esempio di casting perfetto. I protagonisti sono due attori giovanissimi: Mckenna Grace e Finn Wolfhard, nei panni di Phoebe e Trevor Spengler, personaggi costruiti (nel caso di Phoebe anche nel look) per essere i nipoti di Egon Spengler, storico acchiappafantasmi venuto a mancare (nella storia come nella vita, visto che l’attore, Harold Ramis, è scomparso nel 2014) e a raccoglierne, letteralmente, l’eredità. La scelta di Finn Wolfhard, tra l’altro, svela un’altra idea dei nuovi Ghostbusters, quella di legarsi a un target preciso.  Perché, nel frattempo, è esplosa la passione per le serie tv e per le piattaforme di streaming, e c’è stato un fenomeno come Stranger Things, una serie che si nutre proprio di quel cinema degli anni Ottanta di cui Ghostbusters è un simbolo. Stranger Things, di cui Wolfhard è uno dei protagonisti, ha continuato a disegnare storie lungo la linea tracciata da Ghostbusters e i nuovi film, soprattutto Ghostbusters: Legacy, porta avanti quella linea e la fa ritornare su se stessa. È un cerchio che si chiude.

Dietro c’è un ragionamento commerciale: c’è un pubblico che segue Stranger Things e allora si prova a rivolgersi anche a quel pubblico. Il legacy sequel prova sempre a unire due target: quello degli adulti che guardavano certi film da ragazzi, e un pubblico nuovo, più giovane.

Il requel ha sempre una continuità con l’originale. Trova il modo di tornare alle origini, spesso saltando i sequel considerati inutili e non riusciti. In questo senso è il caso di andarsi a rivedere lo Scream del 2022, il quinto della saga, che non si chiama Scream 5, ma semplicemente Scream proprio per testimoniare il suo legame con l’originale. Il carattere di requel viene dichiarato apertamente nella trama, nei dialoghi. Quella iniziata da Wes Craven è sempre stata una saga metacinematografica, e il suo requel non perde l’occasione di teorizzare, e ironizzare, sulla pratica dei legacy sequel. Sentiamo dire ‘Hollywood è a corto di idee’, ci sentiamo chiedere se questo nuovo tipo di film sia ‘vero cinema o fan fiction’ e se quelli che si definiscono i “veri appassionati” vadano presi sul serio e ascoltati o se registi e sceneggiatori devono avere più autonomia possibile.

Una delle possibilità di affrontare un legacy sequel è anche questa, diversa dalla modalità celebrativa dei requel di Top Gun o Star Wars: quella di dissacrare la materia originale, distaccarsene, prenderla con ironia. Lo fa la saga di Scream, e lo ha fatto anche il legacy sequel di Matrix, Matrix Resurrection. Girato dalla stessa Lana Wachowski (50% di quelli che una volta erano i Fratelli Wachowski), è un modo per lo stesso artista di dimostrare di non essere più dipendente dal suo capolavoro e dal successo ad esso legato. Ma è qualcosa che può servire anche al pubblico, ai fan di un’opera, che pensano di possederla, di poter dire ai creatori cosa fare, cosa va toccato e cosa no. Con l’ultima trilogia di Star Wars, da Episodio VII in poi, è stato così. Matrix Resurrections va in un’altra direzione. Ed è così che accade anche con Cobra Kai, che è a tutti gli effetti un legacy sequel di Karate Kid, ma declinato sotto forma di serie (su Netflix) che con i film originali ha un rapporto dissacrante e ironico. Cobra Kai, addirittura, opera una sorta di ribaltamento, con il cattivo di un tempo che diventa il protagonista, e il protagonista che non diventa antagonista, ma mostra zone d’ombra e imperfezioni.

In Italia i legacy sequel si fanno ancora poco. Altrimenti ci arrabbiamo, che raccoglieva l’eredità del vecchio film con Bud Spencer e Terence Hill, è un esempio di questa tendenza. Ma anche il recente Un altro ferragosto, di Paolo Virzì, può essere considerato un requel di Ferie d’agosto, arrivando 25 anni dopo e con personaggi nuovi accanto a quelli storici. La tendenza dei legacy sequel però ci dà soprattutto un’idea di quella che è oggi Hollywood, di quello che è il sistema del cinema mainstream. Hollywood è sempre stata un’industria, certo. Ma negli anni Settanta e Ottanta, gli anni in cui sono nati i Ghostbusters e gli Star Wars aveva qualcosa di artigianale, di romantico, di folle spericolato nelle sue imprese produttive. Oggi il cinema è un’industria vera e propria, che ragiona in termini di dati, numeri, algoritmi e marketing. I film, le saghe, le franchise non sono più opere d’arte ma veri e propri brand e, come tali, hanno l’obiettivo di produrre e fatturare. Oggi si producono sequel in serie, le saghe brand mettono il loro marchio su film all’infinito.

In fondo va anche bene così, ma basta saperlo.