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Il futuro del packaging: servono imballaggi sostenibili, una filiera del riciclo e la giusta comunicazione. Comprare lo sfuso è una possibilità. E fare greenwashing è una pratica commerciale scorretta

di Maurizio Ermisino

“Il futuro ci interessa. Perché è lì che passeremo il resto della nostra vita”. Lo diceva Groucho Marx. Ed è la frase perfetta per parlare di riciclo, riuso e sostenibilità. Una grande parte della partita per salvare il nostro ambiente si gioca sugli imballaggi. E “Il futuro del packaging” è stato il tema dell’incontro che si è svolto ieri a Roma, nella sede di I-Com, in piazza SS. Apostoli. L’occasione era la presentazione della ricerca “Sceglilo sfuso o riciclabile. Dati, contesto normativo e risultati di Altroconsumo” realizzata da I-Com, l’Istituto per la Competitività, insieme ad Altroconsumo. L’Unione Europea punta ad aumentare la quota di riciclo dei rifiuti prodotti all’interno dei suoi confini fissando al 2030 degli obiettivi superiori di almeno 5 punti percentuali rispetto a quelli del 2025 per ottemperare a un quadro normativo sempre più stringente in termini ambientali e più votato all’economia circolare. Per farlo si punta sulla filiera di gestione e riciclo del rifiuto e su nuove soluzioni per un packaging più sostenibile che contenga materiali riciclati. Ma c’è anche la possibilità di scegliere il prodotto sfuso. Un’opzione che però, come vedremo, ora non sta decollando. Noi comunque stiamo facendo la nostra parte: tra il 2000 e il 2021 l’Italia ha visto crescere il tasso di riciclo dal 14,2% al 51,9% (+265,5%).

Lo smaltimento dei rifiuti da imballaggio

Ma va fatto nel modo corretto. E per questo serve fare comunicazione. Altroconsumo ha sottoposto a un sondaggio gli ACmakers, la sua community collaborativa. Il risultato ci dice che 7 persone su 10 sanno che le informazioni sul corretto riciclo si trovano sull’etichetta dell’imballaggio. E che circa 9 persone su 10 sanno che i RAEE (Rifiuti da apparecchi elettrici ed elettronici) vanno portati all’isola ecologica comunale e che le batterie vanno separate dai dispositivi prima di buttarli.

Il prodotto sfuso: perché non funziona

Solo 4 su 10, relativamente pochi, sanno che possiamo chiedere di farci servire il cibo da asporto in un nostro contenitore. È prima di tutto un problema di informazione. Al di là del cibo, oggi, è possibile acquistare prodotti sfusi dotandosi di contenitori riutilizzabili nel tempo. Ma in pochi ancora lo fanno. L’indagine di Altroconsumo sulla piattaforma ACmakers ci spiega perché. È colpa della bassa disponibilità di negozi che offrono tale opzione (528 preferenze su 1000 intervistati), del maggior tempo e impegno richiesti dall’organizzazione dell’acquisto di prodotti sfusi (450), e anche dalla percezione che alcuni prodotti sfusi siano meno igienici rispetto alla loro controparte imballata (614). Un’altra ricerca, effettuata invece su 26 punti vendita, ha dimostrato che 24 non erano a conoscenza della possibilità di vendere lo sfuso (offerta dal Decreto Clima) ma che la maggior parte di essi (20), dopo essere stati informati, ha effettuato la pratica. Solo in 6 casi su 26 (il 23%) il consumatore si è visto negare la possibilità di usufruire dei propri contenitori per il trasporto dei prodotti.

Sostenibilità: non ci sono buoni e cattivi. O forse sì…

“Il problema è che la sfida che abbiamo davanti non la vince una parte sola, non c’è un buono e un cattivo” spiega Luisa Crisigiovanni, Head of Eu Fundraising and Projects Development Altroconsumo – Euroconsumers. “Tutti sappiamo dove dobbiamo andare, tutto sta nel trovare la ricetta giusta per rendere facile questa scelta. Risolvere i dubbi del consumatore è l’interesse comune”. Forse buoni e cattivi, però, almeno in un caso ci sono. “C’è chi dichiara di essere green e sostenibile nel proprio packaging e non lo è, e chi lo è davvero” precisa. “Bisogna distinguere”.

Il greenwashing è una pratica commerciale scorretta

Anche perché dichiarare di essere sostenibili senza esserlo è a tutti gli effetti una pratica commerciale scorretta. L’UE regola questo tipo di comportamenti con una legge del 2005. “Una pratica commerciale scorretta è quella che tende a falsare il comportamento economico del consumatore” spiega Sara Tommasi, docente di diritto privato all’Università del Salento. “In questo rientra anche il greenwashing: t,utte le aziende dicono che è il loro prodotto è sostenibile. Solo adesso si evidenzia il fatto che queste asserzioni di sostenibilità, se sono solo declamate e non corrette sono pratiche commerciali scorrette. La Direttiva 825 chiede la verificabilità di tutte le dichiarazioni di sostenibilità che vengono dichiarate”.

Riduzione, riutilizzo, riciclo, filiere e comunicazione

Il regolamento per gli imballaggi segna un passo verso quella che deve essere la progettazione per l’imballaggio del domani. “Il regolamento si inserisce in un momento di revisione degli imballaggi che è in corso da anni”; spiega Simona Fontana, Direttore Generale di CONAI. “Questo regolamento punta l’attenzione su 4 R: riduzione, riutilizzo, riciclo. E infine utilizzare materiale riciclato per i nuovi imballaggi”. “Dobbiamo costruire delle filiere industriali di riciclo” continua. “E queste cose vanno comunicate: il consumatore va educato. Bisogna spiegare come riciclare sul packaging, purché l’istruzione sia visibile, o delegarla a strumenti digitali”. CONAI negli ultimi vent’anni è stato protagonista di importanti campagne di adv per sensibilizzare il consumatore.

I casi pratici: Spesa Sballata e Mercato Circolare

L’idea di comprare lo sfuso è sostenuta da progetti concreti. Spesa Sballata, nato in provincia di Varese, finanziato da Fondazione Cariplo, punta sui posti in cui si può portare da casa il proprio contenitore, o in cui chiedere di essere servito con un contenitore riutilizzabile da restituire. Reusable Packaging Revolution è nato a Torino da Mercato Circolare, insieme all’Università di Torino e Aarhus University, in collaborazione con Around e Crai, come ha raccontato la CEO Nadia Lambiase. È un progetto che vuole agire sulla GDO e fare da abilitatore e connettore tra questa, il commercio di prossimità, l’amministrazione e la cittadinanza.

Serve una premialità

Ma servirebbe ancora qualcosa. Marco Simiani fa l’esempio dell’energia. “Se metto i pannelli solari ho incentivi che mi permettono di risparmiare” spiega. “Sulla raccolta differenziata e riciclo questo risparmio non ce l’ho. O meglio, non lo vedo, perché è sposato nel tempo. Se a fine anno come cittadino risparmio l’acqua devo avere un premio, deve essere riconosciuto in bolletta”. E, in qualche modo, anche per raccolta differenziata e riciclo servirebbe una premialità.

I dati dello studio

Le emissioni complessive di gas climalteranti europee derivanti dalla gestione dei rifiuti hanno visto una generale diminuzione del 40,7% nell’arco di trent’anni, passando da 184,18 MtCO2 nel 1990 alle 109,28 MtCO2 del 2021. L’Unione Europea si è posta l’ambizioso obiettivo di raggiungere le net zero emissions entro il 2050 e per farlo dovrà modificare il suo approccio nei confronti della generazione dei rifiuti e, più specificamente, quelli derivanti dal packaging, rendendoli riutilizzabili, recuperabili o riciclabili. L’integrazione del processo di riciclo e quindi il recupero di materiali con la conseguente valorizzazione del rifiuto sta riscoprendo la sua importanza con un trend a livello europeo positivo da oltre vent’anni passando da una quantità di rifiuti comunali riciclata del 27,3% al 48,6% (+78%). L’andamento positivo è riscontrabile nei principali Stati membri. In particolare, tra il 2000 e il 2021 l’Italia ha visto crescere il tasso di riciclo dal 14,2% al 51,9% (+265,5%). Analizzando l’andamento della produzione di rifiuti da packaging, si nota un generale aumento che tra il 2005 e il 2021 va dai 158,34 kg ai 189,75 kg pro capite (+19,8%). Nello specifico, Germania e Italia si confermano gli Stati con il maggiore aumento della produzione pro capite tra quelli presi in esame, con incrementi rispettivamente del 41,6% e del 37,3%. Sono soprattutto gli imballaggi in carta e cartone ad aver segnato un aumento del 7,9% a livello europeo, con Italia, Germania e Francia che hanno registrano un balzo a doppia cifra, rispettivamente del 20,4%, 22,4% e 15,9%. Gli imballaggi in plastica si assestano ad un +28,1%, tuttavia per i Paesi considerati sembra esserci un’elevata variabilità. Infatti, la Germania si conferma prima in termini di incremento con +43.1%, la Francia segna un +15,5%, l’Italia un +6% e la Spagna un +4,1%. Infine, per gli imballaggi in vetro si è registrato un aumento del 7,9% nel loro utilizzo, con l’Italia che mostra la crescita più elevata (+32%), seguita da Germania (+6,3%), mentre Spagna e Francia hanno diminuito la loro quota rispettivamente del 18,8% e del 12,6%.