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Elezioni: come combattere le fake news? L’impegno dei media tradizionali e delle big tech all’incontro #Disinformazione #Democrazia #Elezioni

di Maurizio Ermisino

Le elezioni europee andranno in scena tra meno di due settimane, e l’attenzione alla disinformazione è quanto mai alta: esperti, organi di informazione, istituzioni e big tech hanno alzato l’allerta affinché le fake news non finiscano per condizionare l’attuale tornata elettorale. Quanto le fake news, combinate alla penetrazione e alla targetizzazione dei social media, possano condizionare le elezioni lo abbiamo scoperto amaramente nel 2016, con gli esiti delle elezioni americane, e la vittoria di Donald Trump, e con il risultato della consultazione sulla Brexit.

Per questo è quanto mai tempestivo il seminario #Disinformazione #Democrazia #Elezioni, dedicato agli studenti delle università, organizzato dall’Osservatorio TuttiMedia e Media Duemila, andato in scena lunedì 27 maggio a Roma presso la Rappresentanza della Commissione Europea in Italia. A introdurre i lavori le parole del luminare Derrick de Kerckhove, dell’Osservatorio TuttiMedia: secondo lui in quella che è la terza fase della rivoluzione digitale – quella in cui l’AI generativa prende il controllo sul linguaggio – viene a mancare la figura del referente, di colui che è il garante del linguaggio e del senso. In questo modo populismo e fake news hanno vita facile e libera. Ma l’immagine più efficace del nuovo mondo in cui si trova l’informazione oggi la dà Luca Rigoni, giornalista di Mediaset.  Internet e i social media sono come la piazza, o meglio come il bar. Avete presente quando arriva il più ubriaco, alza la voce e infiamma gli animi? Ecco, sui social media si sente chi grida più forte. Si deve allora chiudere il bar? No. Chi frequenta il bar deve essere sufficientemente preparato per distinguere le cose.

Si tratta di una questione di cultura

Chi è poco informato è più facile cada nel tranello delle fake news. Ed è quindi compito di tutti – editoria, media, giornalisti, big tech, istituzioni e nuove realtà che nascono proprio per fare questo – educare, informare correttamente, combattere la disinformazione. Se è vero, come dice Isabella Splendore di FIEG, che solo uno su quattro degli studenti a cui insegna legge i quotidiani, e che i giornali sono drammaticamente estranei alla dieta mediatica della gen Z, è anche vero che i media tradizionali, giornali e tg, possono dire la loro nel garantire un’informazione corretta. Secondo Luca Rigoni di Mediaset, la garanzia dell’affidabilità delle notizie è nella verticalizzazione del sistema di informazione, quel sistema che vedeva, e vede ancora, i media organizzati con un direttore, un vicedirettore, un caporedattore, redattori e inviati. Ad esempio, TgCom24, sito e canale all news 24, ha un vicedirettore che si occupa in prima battuta di fact checking: TgCom24 così diventa il primo imbuto per selezionare le notizie, prima ancora che arrivino ai tg delle reti. La verticalizzazione è l’antidoto all’orizzontalizzazione di oggi, quella che ha fatto sì, come ricorda Rigoni, che “il grande editorialista si becca l’imbeccata su internet da esimi sconosciuti” o che ha dato vita “alla partita dei no vax contro i vax sul web, dove esimi sconosciuti andavano a sostenere la teoria del no vax contro esimi scienziati”. È possibile oggi tornare all’autorità del verticale? “Non credo sia possibile” risponde il giornalista Mediaset. “La piazza ha vinto”.

La pandemia ha dato vita a un caso di disinformazione

È un caso che ha riguardato Google e che ci permette di parlare dell’impegno di questa big tech, come ha raccontato Mattia Tarelli. All’inizio della pandemia la maggioranza degli utenti di internet ha iniziato a cercare sul virus informazioni che non esistevano. E le notizie che facevano disinformazione, senza alcun fondamento, potevano essere favorite dal motore di ricerca perché comunque fornivano una risposta. “Che fare?” si chiede Tarelli. “Abbiamo scelto di alterare l’algoritmo del motore di ricerca in modo che mettesse in cima a questa pagina dei risultati proposti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Ministero della Salute”. Alterare i risultati del motore di ricerca può servire in alcune situazioni estrema delicatezza. Così, in occasione delle elezioni europee, Google proporrà le pagine con le informazioni corrette in testa ai risultati ogni volta che faremo ricerche sul tema. Lo abbiamo appena provato: in testa alla pagina appare la sezione Elezioni UE 2024 con varie opzioni (panoramica, sondaggi, date, come votare, come registrarsi) e il primo sito è quello dell’UE.

Google sta seguendo una serie di criteri per combattere le fake news

Il primo è fornire informazioni corrette e ufficiali. Il secondo è proteggere le piattaforme dagli abusi. Riguardo all’AI generativa, Google ha creato SynthID, un watermark che marchia tutte le immagini che vengono create grazie all’AI, in modo che sarà possibile rilevare la loro natura sintetica per sempre. Google fa parte anche di C2PA (Coalition for Content Provenance and Authenticity), una coalizione tra grande aziende che sta lavorando perché tutte insieme limitino l’abuso legato all’utilizzo dell’AI generativa: ne fanno parte Microsoft, Adobe, BBC, Intel, Sony, Publicis Europe, OpenAI e Truepic. Oggi su Google una volta scelta un’immagine dal motore di ricerca, cliccando sui tre puntini si può vedere la prima data dell’apparizione di quell’immagine on line, chi l’ha usata per primo e la notizia a cui è legata. E quindi capire se è vera se è falsa. L’attenzione è alta anche su YouTube. “Abbiamo chiesto a tutti i nostri creator di menzionare ogni volta che si usa un’AI per un’immagine che può sembrare reale” spiega Tarelli. “Devono menzionare se hanno usato l’AI, pena la red flag e poi la chiusura del profilo”. Google è attivo anche in materia di cybersecurity: Project Shield è un servizio gratuito che difende i siti di notizie, diritti umani e relativi alle elezioni dagli attacchi DDoS, un tipo di attacco informatico che punta a sovraccaricare un sito web, un server o una risorsa di rete.

Le big tech usano il loro know-how tecnologico per proteggere l’informazione

Ma ci sono realtà che nascono appositamente con questa mission, e hanno un grande know-how professionale. NewsGuard è un’organizzazione nata in USA nel 2018, composta da giornalisti, per contrastare la disinformazione con il giornalismo di qualità, non facendo fact checking, ma analizzano le pratiche giornalistiche dei siti di info. Per ogni media NewsGuard stila una scheda informativa con nove punti. Ad esempio, controlla se pubblica notizie false ripetutamente, se separa notizie e opinioni, se rivela chi c’è dietro al sito. Quello di NewsGuard è pre-bunking, un approccio preventivo: dare informazioni di contatto ai lettori. Giulia Pozzi di NewsGuard Italia ci ha raccontato come, con le elezioni europee, ci sia un intensificarsi trend di disinformazione, con l’obiettivo di delegittimare le istituzioni europee su una serie di temi controversi. Ad esempio, si torna a fare disinformazione sul Covid 19, e le relative misure di contenimento, si diffondono false narrative su Ursula von der Leyen e i nonni, accusati di essere legati ai nazisti. Si accusa la Francia di aver invitato truppe in Ucraina per combattere o si scrive che la compagna dell’attentatore al ministro ungherese sia una rifugiata ucraina. Ma i pericoli, secondo Giulia Pozzi, non sono solo nelle fake news: hanno a che fare con le AI e ormai vanno oltre i deepfake e gli audio modificati. “C’è un altro scenario, che ritengo più inquietante” ci rivela l’analista. “L’AI generativa è utilizzata per siti che funzionano senza alcuna supervisione umana. Ne abbiamo trovati 840 in 16 lingue. All’occorrenza diventano vere e proprie fabbriche di fake news”. Il Wall Street Journal ha realizzato un’inchiesta: un sito di questo tipo costa 105 dollari in tutto. È stata fatta una prova: il sito può rubare gli articoli on line e riscriverli con notizie false in modo da favorire, ad esempio, un candidato repubblicano o democratico. Tra i progetti di contrasto alle fake news Isabella Spondore di FIEG ha citato Impact Challenge, finanziato da Google e sviluppato da FIEG insieme all’Università Luiss, e un accordo tra France Presse e Tik Tok, in modo che la prima potesse fornire informazioni corrette in merito alle elezioni europee e la seconda creare pagine ad hoc.

Del mondo dell’informazione fa parte la pubblicità

Che però ha finalità e impostazioni diverse dalle notizie. Come ha raccontato Saverio Vero di Rai Pubblicità, la comunicazione pubblicitaria è caratterizzata da due funzioni: informare e persuadere. Per questo usa tecniche di tipo emotivo, psicologico. “La percentuale di equilibro tra informazione e persuasione dipende dalla tipologia di comunicazione che si vuole fare” riflette Vero. “La persuasione è un elemento a rischio di manipolazione, quando c’è una distorsione della realtà”. La pubblicità serve a promuovere un prodotto, che è anche quello politico, e usa gli stessi strumenti della comunicazione commerciale, informazione e persuasione. “Ma sono pericolosi entrambi gli aspetti” precisa Vero.  “L’informazione se è mendace e se persuasione se sfrutta le debolezze emotive della popolazione”. Ma in alcuni casi, come suggerisce Christian Ruggiero, professore di giornalismo all’Università La Sapienza, “non è solo disinformazione ma finisce per essere propaganda”. “Tutto quello che ci è stato detto della pubblicità contaminato con la politica diventa una materia di studio a sé stante: è un clash di codici, un incastro tra una lettura dominante e un’altra che non lo è”.