Edoardo Caprino, founder Bovindo:
“I media italiani hanno un’occasione d’oro, un treno che non possono farsi sfuggire. L’emergenza Coronavirus ha riportato al centro il tema delle fonti qualificate d’informazione; non manca chi cerca d’ ‘inquinare i pozzi’ propalando fake news (e qualcuno le rilancia…), ma l’impressione generale è che i media “tradizionali” (intendendo con questo termine anche le testate di informazione online di comprovata professionalità) abbiano ritrovato una generale considerazione da parte dell’utenza italiana. Non è tempo di seguire bufale o notizie farlocche quando i morti si contano in decine di migliaia e il rischio virus può colpire chiunque. Aggiungiamo a questo che una delle poche ‘occasioni d’aria’ concesse alla cittadinanza italiana dai vari Decreti del Presidente del Consiglio è l’acquisto dei giornali; le edicole sono aperte continuando la loro meritoria attività e molte di esse segnalano un aumento di clienti e copie vendute. Ottima novella non solo per la carta stampata, ma anche per gli stessi edicolanti, categoria spesso considerata ultima ruota del carro del mondo della comunicazione.
Si sta ripetendo, in particolare per i quotidiani, il ‘teorema Trump’ che vide in occasione dell’elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America un’impennata di abbonamenti e vendita delle copie per la stampa qualificata, in particolare New York Times e Washington Post, la quale andava oltre la comunicazione via tweet del Capo della Casa Bianca mettendo in luce le bugie e le incongruenze del tycoon. Un chiaro messaggio che i cittadini (o almeno una parte di essi sempre più in crescita) ritornava a dare valore ai media tradizionali capaci di fare filtro e analisi. Tutto bene quindi per gli italici media? Forse, ma il risultato positivo dipende solo ed esclusivamente da loro. Questo ‘momento di gloria’ deve essere coltivato.
Alcune brevi riflessioni: abbiamo dei media autentici ‘watchdog’ del Governo al netto di critiche aprioristiche da parte di alcuni di essi? Non è solo questione legata alla sconclusionata macchina comunicativa di Palazzo Chigi che ha dato il peggio di sé tra conferenze stampa convocate a notte fonda, messaggi al popolo via Facebook e bozze partite per sbaglio senza un immediato intervento di richiamo che quello che girava non era per nulla approvato e definito (a Palazzo Chigi basterebbe citofonare Quirinale per un breve ripasso alla voce ‘comunicazione di crisi’).
No, il tema è più spigoloso e per nulla semplice: va bene affidarsi alla scienza, ai comitati di esperti, ma è possibile che ogni provvedimento emanato dall’Esecutivo venga preso come oro colato senza un particolare dibattito, non tanto sul merito delle decisioni, ma sulla forma del provvedimento preso? Al netto di qualche opinione di costituzionalista che osserva – un po’ isolato- – come di fatto il DPCM sia una fonte secondaria – che non necessita quindi né della firma del Presidente della Repubblica né del voto del Parlamento come invece sarebbe dovuto in caso di decreto legge dopo i fatidici novanta giorni dall’emanazione – e che quindi la Costituzione venga un attimo – de facto – ridotta del suo ruolo da un semplice regolamento non si notano grandi dibattiti sul tema. Sembra, in alcuni casi, che si sia quasi in guerra, una sorta di velata autocensura da parte di alcuni media per non essere additati di una fantomatica ‘intelligenza con il nemico’ o di un’uscita fuori dal coro.
Ma ciò di cui più si sente la mancanza è un dibattito ‘alto’ sul dopo emergenza:è indubbio che stiamo affrontando un cambiamento antropologico che porterà a un rivolgimento del nostro essere.
Sulle pagine dei quotidiani si trovano grandi dibattiti sul presente e sul futuro che spesso però si limitano a un – sacrosanto- confronto sul piano economico – finanziario.
Ma di quale società faremo parte, di quale uomo e donna uscirà da questa esperienza, di quale ripartenza morale e civile si avrà bisogno (aldilà dell’importantissima liquidità necessaria per vivere e far sopravvivere imprese) si fa fatica a trovare traccia di dibattiti impegnati e appassionati sulle pagine dei giornali salvo alcune lodevoli eccezioni come i supplementi culturali quali ad esempio La Lettura, Robinson o, per i quotidiani, Avvenire.
Tutto sembra legato al presente, all’esperto epidemiologo o infettivologo, allo statistico e all’economista. Tutti pronti a commentare dati e controdati (spesso l’uno in contrasto con l’altro) e disposizioni di cui il Governo -salvo sul fronte economico- appare come quel personaggio a teatro che attende Godot, che in questo caso ha le vesti del Comitato di esperti.
Quello che quindi manca ai media italiani per conquistare appieno la fiducia dei lettori che si stanno riaffidando a loro non è tanto la cronaca già letta e riletta sul web, ma la produzione di analisi e confronti non solo legati all’immediato, ma al dopo, al prossimo futuro. Il focus dovrebbe essere il: chi saremo, quali consumatori diventeremo, quali cambiamenti antropologici andremo a compiere (o stiamo già affrontando). Per questo servono filosofi, sociologi, antropologi, teologi e più in generale uomini e donne capaci di indicare vie e elementi di critica che possano generare un pensiero e una riflessione. Questo è il compito dei media, e in particolare della carta stampata, in questo particolare contesto storico. Un’occasione unica, come detto all’inizio, da non farsi sfuggire”.