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Citadel: Diana, Matilda De Angelis è la star di una produzione italiana firmata Cattleya che regge il confronto internazionale. Vedere per credere

di Maurizio Ermisino

Milano, 2030. Il Duomo, simbolo della città, è sventrato, è un rudere, una rovina. È quasi raso al suolo. La città, e il Paese, sono militarizzati, e il parlamento italiano sta per approvare una legge che liberalizza l’uso delle armi, come in America. È in questo scenario inquietante che si apre Citadel: Diana. La serie Original italiana, che fa parte del mondo di Citadel, è prodotta da Cattleya e Amazon MGM Studios, con la produzione esecutiva di AGBO dei Fratelli Russo, e debutterà in esclusiva su Prime Video in tutto il mondo il prossimo 10 ottobre. Citadel: Diana è stata presentata oggi a Roma, al cinema The Space di Piazza della Repubblica. C’era una grande attesa per questo prodotto, da quando, nell’aprile del 2023, è stata lanciata la serie internazionale Citadel insieme alla notizia che ci sarebbe stata una sua derivazione italiana. Si tratta di un caso fino ad ora unico nella storia della serialità: una serie “madre”, una produzione americana, che genera dei prodotti in altre parti del mondo: dopo Citadel: Diana, a novembre, sempre su Prime Video, uscirà Citadel: Honey Bunny, prodotta in India. È un caso unico anche perché Citadel: Diana non è un classico spin-off o un sequel di Citadel. È una serie che fa parte di quel mondo, ma che allo stesso tempo vive di vita propria. E in cui una produzione italiana, in questo caso Cattleya, si confronta con quella internazionale, dimostrando un altissimo livello.

Siamo a Milano nel 2030, in un futuro distopico

Otto anni prima l’agenzia di spionaggio Citadel è stata distrutta dall’organizzazione rivale, Manticore. Diana Cavalieri (Matilda De Angelis), spia di Citadel sotto copertura, è rimasta sola, intrappolata tra le linee nemiche come infiltrata in Manticore. Quell’immagine del Duomo distrutto ci trascina subito in uno scenario angosciante. “Era l’immagine di partenza per quanto riguarda la scrittura” spiega lo sceneggiatore Alessandro Fabbri. “Siamo partiti da un foglio bianco, dall’opportunità spaventosa e super eccitante di avere campo libero. Quel Duomo distrutto, per motivi irrazionali, è stato un magnete che ha tenuto tutta la creatività intorno. Andava a dirci in modo preoccupante, inquietante: anche noi siamo esposti, non viviamo in un posto sicuro; ecco cosa potrebbe accadere qui, nella nostra terra, in un futuro non troppo lontano, se qualcosa dovesse andare storto”.

Diana è interpretata da una magnetica Matilda De Angelis

L’attrice italiana, sempre più lanciata verso una carriera internazionale, qui è in scena con un inedito caschetto di capelli corto ed asimmetrico che mette ancora più in evidenza il suo volto. I suoi capelli hanno due lunghezze diverse, simbolo del caos interno del personaggio, della sua scissione. “A noi serviva che Matilda indossasse una corazza riconoscibile e iconica che la potesse vestire” spiega il regista Arnaldo Catinari. “Giorgio Gregorini, Premio Oscar per i capelli di Suicide Squad, ha creato la sua parrucca. Quando l’abbiamo vista, con Gina Gardini ci siamo chiesti dove stessimo andando con questo personaggio”. “Diana è un personaggio diviso in due” interviene la showrunner Gina Gardini. “In questo futuro prossimo dove la libertà non c’è, le acconciature sono più corte, più severe. Nel passato c’era libertà di avere un capello più lungo. Per Diana questa parrucca rappresenta le sue due parti. Quella del passato, un lato più lungo, e quella del presente/futuro, più corto.

Una serie analogica

È una macchina da presa innamorata di quegli occhi. Che qui appaiono freddi, glaciali, distaccati, quelli di una macchina di morte. Ma quel ghiaccio sarà destinato a sciogliersi. Le spie di Citadel e Manticore sono abituate a lasciare fuori le emozioni. Ma nel mondo di Citadel pubblico e privato, lavoro e sentimenti sono inevitabilmente destinati a mescolarsi. D’altra parte, le spy story sono sempre state questo, da 007 a Mission: Impossible. Per l’attrice italiana Citadel: Diana è stata una prova emotiva e anche fisica. “Mi sono allenata per 4 mesi” ci racconta. “Ho un passato da ginnasta, ho fatto 12 anni di ginnastica artistica, ho un passato da supereroina, e mi piaceva l’idea di portare qualcosa del mio bagaglio personale a questo personaggio. Sono arrivata all’allenamento molto entusiasta. Non mi aspettavo che sarebbe stato così duro: abbiamo fatto parkour, diversi tipi di arti marziali e poi un lavoro con il maestro d’armi. La nostra è una serie analogica: tutte le azioni che vedete sono state fatte realmente. Ci sono pochi vfx. pochi effetti speciali. Per me era importante fare il 90 per cento delle mie azioni stunt”. “Ho sempre pensato che girare le scene con delle coreografie ben precise potesse aiutare il personaggio ad entrare di più nella storia: l’attore diventa la chiave della scena action e non il contrario” spiega Catinari. “Sono scene action emotive e tridimensionali. Come quelle dei maestri di Hong Kong, che amo molto”.

La ragazza con la pistola

Ma cosa ha provato nel maneggiare le armi? “Maneggiare le armi non è in assoluto piacevole” ci ha spiegato. “Hanno un peso specifico sia fisico che emotivo molto grande. Non erano armi vere ma ne avevano il peso. Ricordo la sensazione la prima volta che ho tenuto in mano una pistola… mi sudavano le mani. È innaturale tenere in mano un oggetto così piccolo e così letale, è inquietante. Io dovevo avere un’estrema confidenza con il mezzo e doveva essere qualcosa di completamente meccanico. Verso la fine della serie scarrellavo come una pazza e tiravo fuori caricatori mentre camminavo. È diventata quasi una cosa divertente, ma perché sapevo di non poter fare del male a nessuno”.

Il regista Arnaldo Catinari trasforma Milano

È una città fredda, tecnologica, ma anche antica, imponente e piena di storia e di presagi.  “In tutta la serie abbiamo un grande rapporto con l’architettura, con il paesaggio” spiega. “Gli oggetti sono di design, l’architettura è quella che abbiamo intorno e che spesso i nostri occhi non vedono, è il razionalismo italiano. Alla base del futuro distopico c’è il retrofuturismo, cioè quello che il passato immaginava come futuro. La serie vuole essere iconica. Vive di costruzioni di totali, di immagini che vogliono essere ricordate”. “Milano era una città meno sfruttata come immagine e luogo simbolo per l’Italia rispetto ad altre” spiega la showrunner Gina Gardini. “E molto lontana da alcuni cliché, da un’immagine stereotipata. Aveva un’architettura che si prestava all’idea di ricostruire il nostro futuro prossimo con il nostro passato”.

In Citadel c’è un continuo senso di oppressione

C’è l’impressione di non essere al sicuro in nessun luogo e da nessuno, la continua paranoia di essere osservati. Nessuno è quello che sembra. Non a caso, uno dei simboli che campeggiano in alcuni luoghi, è quello di Giano bifronte: segno che ognuno ha almeno due facce. Citadel: Diana ha un’atmosfera particolarissima, una qualità altissima, e dimostra il grande livello raggiunto dalle nostre produzioni, in questo caso Cattleya. Come è stato possibile riuscire a creare il mondo di Citadel in Italia? “Non pensando a quello che avevano fatto i Fratelli Russo nella loro serie” spiega Catinari. “Ma pensando a una versione italiana che avesse alle spalle tutta la nostra tradizione e che fosse centrata sui personaggi”. La chiave è proprio nella libertà che la produzione internazionale ha lasciato a quella italiana. “Ci hanno messo due paletti” spiega Gina Gardini. “Rispettare la mitologia del mondo di Citadel con le due agenzie. E sentirsi liberi di fare un racconto indipendente dalle altre serie e molto radicato nell’Italia. Avevamo tutto questo spazio per creare la nostra serie. Abbiamo condiviso tutto con i Fratelli Russo. Mentre stavano girando la prima stagione e noi sviluppando la nostra, c’era una writers room internazionale. Ogni due settimane gli showrunner dei tre show si scambiavano idee. Non per creare easter eggs, ma per liberare la creatività”. “Abbiamo avuto una chance incredibile” riflette Alessandro Fabbri. “Quella di poterci confrontare con le nostre controparti di altri paesi, con modi di raccontare diversi. La serie Citadel è fatta così”.

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