Youmark

Chiquita: la creatività è imprescindibile per lavorare sulla differenziazione. Obiettivo, rilevanza e memorabilità. L’innovazione sta nell’accorciare le distanze tra marca e consumatore. Con Bitmama anche nel 2024. Nel rapporto duraturo la volontà di comprendere non solo il brand ma soprattutto il sistema-azienda

Mariaelena Paragone, Head of Global Brand Building Strategy Chiquita, buongiorno, partiamo dalla nuova tappa per la campagna di comunicazione globale ‘It Peels So Good’ lanciata la scorsa estate, questa volta si tratta della social challenge ‘It Sounds So Good’, che invita i consumatori a reinterpretare il jingle del marchio. E’ proprio vero che quando una campagna traccia un percorso narrativo ma anche valoriale, si trova coerenza pur nell’innovazione. E’ questo l’obiettivo?

Assolutamente sì. Con ‘It peels so good’ abbiamo intrapreso un percorso di brand building volto a consolidare la forza di Chiquita quale love brand riconosciuto, appropriandoci di un territorio che ci è sempre stato particolarmente congeniale, ovvero l’ambizione di creare feel good moments, naturalmente. Grazie all’assonanza tra ‘peel’ e ‘feel’ vogliamo porre l’accento sull’emozione che lega le persone al brand, uno ‘star bene’ che va oltre il momento del consumo, che poi è anche quello che ci motiva ogni giorno a lavorare per offrire ai nostri consumatori un prodotto eccellente e qualitativamente superiore. ‘It sounds so good’ si inserisce perfettamente in questo ecosistema narrativo, dove il brand di fatto esce dalle logiche della comunicazione tradizionale univoca, per ‘darsi’ letteralmente al suo pubblico di appassionati, invitandolo all’interno del suo mondo valoriale e promuovendo un approccio di costruzione e condivisione. Per noi oggi l’innovazione sta esattamente in questo, accorciare le distanze tra marca e consumatore, lavorando su rilevanza, autenticità e mutuo scambio.

La challenge è aperta a tutti, i partecipanti possono suonare il jingle all’ukulele, trasformarlo in una jam hip-hop, suonarne una versione rock, o persino dargli un tocco reggae. Ma oggi, nell’era della distrazione, dove conquistare un battito di ciglia di attenzione è miracolo, i consumatori partecipano, insomma rispondono alla call to action del brand e se sì, come ci si riesce a portarli a tanto, cosa fa la differenza?

La parola d’ordine in questo caso è creatività, nell’accezione più ampia del termine. La challenge nasce con proprio l’intento di generare una dinamica collettiva di tipo partecipativo, utilizzando un asset storico del brand – l’iconico e riconosciutissimo jingle – che si presta perfettamente all’iniziativa. Il coinvolgimento di numerosi influencer e tik toker (perlopiù musicisti e performer) in Italia e a livello internazionale, ha poi fatto il resto, generando hype e curiosità anche grazie alle reinterpretazioni davvero incredibili e contemporanee che hanno realizzato per noi.

Allarghiamo al rapporto di Chiquita con la comunicazione. Potremmo titolare, all’inizio era una semplice banana… quali gli ingredienti che fanno fare il salto a Brand con la B, diventando icona?

Potrei rispondere dicendo che Chiquita non è mai stata una semplice banana! Siamo stati pionieri del concetto di marca applicato al mondo della frutta sin dal lontano 1944, quando dalla penna dell’illustratore Dik Browne nasce Miss Chiquita, un’amichevole banana antropomorfa, che nello stesso anno diventa protagonista e cantante dello storico jingle, raccontando al mondo tutte le caratteristiche di questo frutto speciale; fino al 1987 quando Oscar Grillo, creatore della Pantera Rosa, la trasforma nell’icona femminile che ancora oggi è impressa nel nostro inconfondibile Bollino Blu. Questo breve e parziale excursus solo per dire che l’heritage di Chiquita parla per sé, e la sfida che raccogliamo oggi è proprio quella di continuare a preservare la distintività del brand attraverso le generazioni, come solo le icone senza tempo sanno fare.

Oggi la vostra agenzia è Bitmama (ipotesi di gara all’orizzonte?) con cui peraltro avete brillato nei podi di importanti premi internazionali. Considerando che la creatività per l’efficacia conta il 49%, il resto è media, che dall’Italia fate campagne che vanno nel mondo e che la vostra comunicazione crea piattaforme concettuali che si prestano a declinazioni in contesti molteplici, come scegliete i vostri partner e cosa vi convince a tenere rapporti di lungo termine?

Personalmente ritengo che alla base di un rapporto professionale continuativo debba esserci la volontà di comprendere non solo il brand con cui si lavora, per creare campagna efficaci e di successo, ma anche e soprattutto il sistema-azienda che sta dietro quel brand, in modo da poterne sposare intenti, obiettivi e visione in un’ottica di crescita sostenibile comune. Solo così è possibile intraprendere un percorso di lungo periodo di reciproca soddisfazione che renda possibile il raggiungimento di importanti traguardi. Al momento non vi sono ipotesi di gara all’orizzonte, per la parte creativa Bitmama continuerà a supportarci anche nel 2024.

In questa era succede che gli stessi Cmo a volte denuncino quanto il marketing sia refrattario a portare a bordo la creatività. Insomma, si dice che le aziende ‘mortifichino’ i creativi, pena ritrovarsi poi in una marmellata di contenuti simili. Così, fatta salva la necessità di un forte ancoraggio data driven, in Chiquita che organizzazione- processi-metodi avete definito per non correre il rischio?

Pur condividendo la logica del data driven come base necessaria per fare brand building, ritengo che la creatività sia un elemento imprescindibile dell’equazione del valore per lavorare sulla differenziazione, soprattutto in categorie ad alto rischio di commoditizzazione. Un progetto che lascia il segno deve avere due attributi fondamentali: rilevanza e memorabilità. Rilevanza in termini di significatività per il target di consumatori a cui ci rivolgiamo, ove possibile anche provando ad avere un impatto positivo sulla collettività, e memorabilità nella misura in cui è capace di lasciare un’impronta duratura nella mente delle persone.

Related articles