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Berlinguer. La grande ambizione apre la Festa del Cinema di Roma con un Elio Germano impressionante

di Maurizio Ermisino

Berlinguer. La grande ambizione: il film di Andrea Segre con un grande Elio Germano nei panni dello storico leader del Partito Comunista Italiano, ha aperto ieri, 16 ottobre,  la Festa del Cinema di Roma, presentato nel concorso ‘Progressive Cinema’. È un film riuscito, allo stesso tempo potente e controllato, rigoroso, di cui sentiremo parlare a lungo, anche in primavera, quando sarà tempo di premi.  A cui si candidano Elio Germano, ma anche molti degli attori nel cast (Elena Radonicich, Paolo Pierobon, Roberto Citran, Andrea Pennacchi, Giorgio Tirabassi, Paolo Calabresi, Francesco Acquaroli, Fabrizia Sacchi), il regista e molti artisti del comparto tecnico. Il film arriverà al cinema il 31 ottobre, distribuito da Lucky Red.

Siamo negli anni Settanta

L’Italia ha il più grande Partito Comunista d’Europa, con il 25% dei consensi, una percentuale destinata a crescere. Berlinguer. La grande ambizione inizia a Sofia, in Bulgaria, nel 1973, quando Berlinguer comincia a discutere di una via democratica al socialismo, lontana dal modello sovietico, mentre in Cile il Golpe di Pinochet ha soffocato proprio un’idea di socialismo molto simile, quella di Allende. È in questi anni che prende vita l’idea di una collaborazione tra le forze popolari comuniste e socialiste e quelle cattoliche, che prende vita quel “compromesso storico” voluto anche da Aldo Moro. È proprio con il suo sequestro e il suo assassinio che questo sogno si fermerà. Mentre Berlinguer continuerà a guidare il PCI fino alla sua morte, per cause naturali, nel 1984.

Elio Germano è impressionante

L’attore è estremamente convincente nei panni Enrico Berlinguer: riesce a creare una somiglianza grazie a pochissimo trucco, senza cercare l’aderenza fisica perfetta, ma evoca alla perfezione il personaggio e la sua aura. Il volto spigoloso, la fisicità, i movimenti sono quelli. E anche la voce, con la lieve inflessione dialettale, in cui Germano è da sempre uno specialista. “Ci siamo detti da subito di non caratterizzare troppo esteticamente i personaggi, ma di puntare su qualche dettaglio perché ci ricordassero quelli veri” ha spiegato l’attore. “Ma la cosa importante è stato approfondire le questioni di cui erano portatori i personaggi che sedevano al tavolo di Berlinguer. Abbiamo avuto un approccio quasi da storici, attenti a non forzare la scena in un senso o nell’altro. Credo nella comunicazione inconsapevole dei nostri corpi. Il linguaggio del corpo di Berlinguer raccontava un senso di inadeguatezza, una mancanza di attenzione verso l’esteriorità, un certo peso della responsabilità. Il fatto che il suo corpo raccontasse qualcosa è stata un’ispirazione”.

Un’interpretazione rigorosa

Ed è calata in quello che è un film rigoroso, preciso, in cui il repertorio si mescola al girato, documentario e finzione – filmata come se fosse un documentario – si fondono molto bene. “La sfida di unire repertorio e messinscena è stata da subito un mio pallino, con tutti i rischi che comporta” ha spiegato Andrea Segre. “Perché si rischia di interrompere il flusso della messinscena. Invece credo sia molto importante camminare tra realtà e finzione. C’è stato un grande lavoro degli archivisti e quello di Jacopo Quadri e la sua assistente che hanno fatto un grande lavoro di montaggio, oltre che dei produttori che non hanno mai mollato sul repertorio, consci che lì si giocava un pezzo di partita importante. Il nostro modello è Milk di Gus Van Sant. Il repertorio è sia didascalico, che poetico e subliminale”. Il risultato è un viaggio nel passato, che intere generazioni non hanno vissuto e che è spiegato molto bene, forse con qualche tocco didascalico, ma utile a far comprendere ogni passaggio.

Il viaggio indietro di 50 anni

Ma sembrano secoli rispetto al mondo di oggi: allora c’erano ideali, valori, impegno, partecipazione. Tutte cose che sono scomparse, in politica e anche fuori. I politici di oggi sembrano così lontani da quelli di un tempo. Ma non è una questione solo di politica. “La tendenza a salvarci è una cosa della società” spiega senza mezzi termini Elio Germano. “Abbiamo una tendenza alla individualità rispetto alla collettività e questo si rivela anche nei rapporti di lavoro. I medici, gli insegnanti pensano più al loro profitto che al bene della collettività. Non sono solo i politici. E lo facciamo anche noi attori”. “Berlinguer direbbe che questi comportamenti sono la conseguenza del cedere agli automatici meccanismi del mercato”, interviene Andrea Segre.

Sono tanti gli attori che colpiscono nel film

Tra le grandi interpretazioni ci sono quelle di Francesco Acquaroli nei panni di Pietro Ingrao e di Paolo Pierobon in quelli di Giulio Andreotti: il versatile attore così si aggiunge a Toni Servillo in un particolare record, quello di aver interpretato in carriera sia Andreotti che Silvio Berlusconi. Ancora, colpisce Roberto Citran nei panni di un Aldo Moro diverso da tutti i precedenti (Gian Maria Volonté, Roberto Herlitzka, Fabrizio Gifuni): meno somigliante, ma perfettamente evocativo in quanto a umanità. “Ero spaventato” racconta Citran. “Ma ho cercato di cancellare il ricordo degli interpreti precedenti per fare un buon lavoro”. Il film è il frutto di un enorme lavoro di documentazione: interviste alla famiglia e tutti quelli che erano accanto a lui, i politici, la scorta. E poi una serie di ricerche: all’Istituto Gramsci si trovano, dattiloscritti, tutti i verbali delle riunioni delle direzioni. Quella di Berlinguer. La grande ambizione è una storia che si incrocia con altri film e serie, come Buongiorno, notte, Esterno notte, La meglio gioventù. Anche, in parte, con l’ultimo film di Nanni Moretti, Il sol dell’avvenire.

Il sottotitolo del film è la grande ambizione

Ma sarebbe potuto essere anche la grande illusione, per come è finita quella storia. “L’ambizione può essere illusione” spiega Andrea Segre. “Ma quella stagione ha prodotto dei risultati molto importanti, al di là del successo o meno. L’incontro tra DC e PCI ha portato a riforme molto importanti tra cui quella della sanità pubblica. Ci interessava sottolineare che nel sottotitolo c’è la parola ‘grande’. E la parola grande, in senso gramsciano, vuol dire ‘di tutti’. Questo senso di condivisione si è un po’ perso. Oggi nella destra c’è una grande ambizione. Nel mondo e non solo in Italia c’è un’idea più chiara che guida le componenti di destra, e un disorientamento in quelle delle sinistre. Anche perché i progetti che hanno realizzato nel Novecento hanno fallito. Ma Berlinguer avrebbe detto: noi lo avremmo fatto in un altro modo”.

Il confronto tra la politica di ieri e quella di oggi è naturale

“Ma il film non ha mai pensato alla situazione politica odierna” riflette Germano. “Credo invece che la questione della grande ambizione sia una cosa molto viva e contemporanea. Noi che facciamo cinema possiamo pensare alle nostre piccole ambizioni personali, al guadagnare un buono stipendio, allo sgomitare e vincere rispetto agli altri, secondo un modello della destra che però si sposa perfettamente con il modello del mercato. L’altro modello è quello di mettersi a disposizione della collettività. L’idea è che questo film, oltre che arricchirmi possa portare elementi di discussione, di critica. È una differenza che nella vita di tutti noi si può sentire. La possibilità di fare al meglio il proprio lavoro è quello che è scritto nella Costituzione. Ma è ciò che ti fa essere felice. Visto che siamo tutti monadi a sé stanti, disveliamo questa menzogna per cui la felicita è prodotta dalla competizione, dall’accumulo, dalla gara, dal vincere. Si sta meglio quando si condivide. Quando uno fa una cosa per una grande ambizione ha uno stipendio minore ma è più felice. L’ambizione è quella di stare meglio al mondo”.