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#6 – L’impero colpisce ancora. Dopo free press, Google e social, l’impatto dell’AI nel mondo dell’informazione. Ma vincere con la qualità è possibile

Giuseppe Mayer
Giuseppe Mayer

E’ facile farsi affascinare dalle nuove tecnologie.

Proprio come quando ci siamo innamorati perdutamente della stampa di Gutenberg, dell’avvento della radio e della televisione, abbiamo abbracciato con entusiasmo la trasformazione digitale dei media. Credevamo che fosse la panacea, la soluzione a tutti i nostri problemi. Ma, come spesso accade quando ci innamoriamo follemente, abbiamo ignorato le bandiere rosse.

Prendiamo l’illusione dell’informazione gratuita. Con l’avvento di internet ci siamo lasciati sedurre dalla promessa di un accesso illimitato a notizie e intrattenimento senza costi. Abbiamo applaudito pionieri come Napster, convinti che stessero democratizzando l’industria musicale. Ma, come una relazione tossica, questa illusione ci ha lentamente consumato. Gli editori hanno visto i loro profitti svanire, la qualità del giornalismo si è deteriorata e noi, il pubblico, ci siamo ritrovati sommersi da clickbait e contenuti di scarsa qualità.

E poi c’è Google, il più grande di tutti i seduttori digitali. Con il suo algoritmo apparentemente magico, Google ha promesso di organizzare le informazioni del mondo e renderle universalmente accessibili. Gli editori e tutti i media tradizionali, affascinati, a partire da metà degli anni ‘90 hanno aperto le porte a questo gigante tecnologico, permettendogli di indicizzare i loro contenuti. Ma quello che sembrava un matrimonio in paradiso si è presto trasformato in un incubo.

Gli editori sono diventati dipendenti dal traffico di Google, sacrificando la qualità per l’ottimizzazione dei motori di ricerca. Il giornalismo si è ridotto a una gara per raggiungere la cima dei risultati di ricerca, spesso a scapito della sostanza.

Ma il vero punto di svolta è arrivato con i social media. Queste piattaforme, con la loro promessa di connettere il mondo, ci hanno invece diviso in camere d’eco, amplificando le opinioni più estreme. E in questo ambiente tossico, le fake news hanno trovato terreno fertile. Diffondendosi più velocemente della verità, la disinformazione ha eroso la fiducia nei media tradizionali. Piattaforme come Instagram e TikTok, con il loro focus su video brevi e accattivanti, hanno ulteriormente sacrificato la profondità per l’immediatezza.

Siamo entrati in questa relazione con la trasformazione digitale con le migliori intenzioni, ma ci siamo persi lungo la strada. Abbiamo scambiato l’accessibilità per la qualità, i click per il giornalismo significativo.

E ora, una nuova tecnologia bussa alle porte del mondo dell’informazione: l’Intelligenza Artificiale (AI). Come un nuovo pretendente che promette mari e monti, l’AI porta con sé un mix seducente di opportunità e rischi. Questa volta però, gli editori e i media sembrano aver imparato la lezione. Invece di tuffarsi a capofitto in questa nuova relazione, stanno procedendo con cautela, cercando di capire come l’AI possa integrarsi nel loro mondo senza sconvolgerlo.

Certo, la tentazione di usare l’AI per automatizzare sempre di più, per generare contenuti a basso costo e su larga scala, è forte. Ma molti editori stanno resistendo a questa sirena, consapevoli che la qualità e l’autenticità sono i loro asset più preziosi. Invece di sostituire i giornalisti con algoritmi, stanno esplorando modi per usare l’AI come un assistente, un tool per potenziare il lavoro umano, non per rimpiazzarlo.

Con la speranza che questo possa stimolare una riflessione seria sul tema, ecco tre modi in cui gli editori possono far funzionare la loro redazione sfruttando il potenziale dell’AI senza, auspicabilmente, diventarne schiavi:

  1. Usare l’AI per la personalizzazione, non per la standardizzazione. Invece di generare articoli in serie, l’AI può aiutare a creare esperienze su misura per ogni lettore, suggerendo contenuti rilevanti in base ai suoi interessi e al suo comportamento.
  2. Fare dell’AI un fact-checker, non un produttore di fake news. Gli algoritmi possono essere addestrati per individuare potenziali bufale, verificare le fonti, segnalare incongruenze. Usata bene, l’AI può essere un potente alleato nella lotta contro la disinformazione.
  3. Sfruttare l’AI per liberare tempo, non per tagliare costi. Automatizzando task ripetitivi come la trascrizione delle interviste o la generazione di headline, l’AI può permettere ai giornalisti di dedicarsi a ciò che conta davvero: indagare, analizzare, raccontare storie uniche e rilevanti.

Insomma, l’AI è un’arma potente che può dare nuova linfa al giornalismo. Ma come ogni arma, molto dipende da chi la impugna e per quali scopi. Se gli editori sapranno resistere al richiamo del lato oscuro e usare l’AI con saggezza e lungimiranza, questa potrebbe essere l’inizio di una nuova, entusiasmante fase per il mondo dell’informazione. Se invece cederanno alla tentazione di sacrificare la qualità sull’altare dell’efficienza, il loro impero potrebbe crollare definitivamente.

La scelta, come sempre, è nelle loro mani. E nelle nostre, come lettori e cittadini. Perché in fondo, è il nostro supporto, la nostra fiducia, il nostro click che decide le sorti di questa battaglia. Scegliamo con cura da che parte stare. Il futuro dell’informazione dipende anche da noi.