Youmark

#2 Diritto d’autore e AI Generativa: chi detiene il copyright sui contenuti generati? Che dire dei possibili impatti reputazionali per i brand? Molto è ancora da definire, ma qualcosa si può già fare, prendete nota

GIUSEPPE MAYER
GIUSEPPE MAYER

Diciamocelo, non è la prima volta che capita. Quando una nuova tecnologia si afferma nel mondo dell’arte, della musica, della comunicazione o del marketing gli impatti dal punto di vista del diritto d’autore e del copyright sono immediati e, spesso, dirompenti.

Nulla di nuovo quindi? Beh, forse qualcosa di nuovo c’è ed è la velocità e l’impatto che l’AI Generativa sta avendo nella vita e nel lavoro di tutti noi addetti ai lavori: questa tecnologia sta rivoluzionando il mondo della comunicazione e del marketing in modi per molti versi inattesi, offrendo nuove possibilità creative per sviluppare campagne pubblicitarie innovative. Non parlo solo di efficienza e produttività, ma anche di generazione di insight e idee, fino allo sviluppo di visual e video completi; elementi che possono determinare il successo o meno di una campagna di comunicazione.

Stiamo però avendo a che fare, è bene ricordarlo, con una tecnologia emergente e i rischi possono essere davvero tanti; l’uso indiscriminato di questi strumenti nasconde serie minacce non solo sul piano del diritto d’autore. Pensiamo ai possibili impatti reputazionali per un brand che può essere accusato di aver infranto un IP o al rischio etico di “tradire” la fiducia dei consumatori con un contenuto artificiale non dichiarato.

Un caso emblematico in questo senso è la causa intentata lo scorso anno da Getty Images contro Stable Diffusion, accusata di aver utilizzato 12 milioni di stock images protette da copyright per addestrare il proprio modello di generazione di immagini. Inevitabilmente vedremo altri casi simili nel prossimo futuro oltre a deepfake vari ed errori di ogni tipo.

Ma la domanda che un pò tutti ci facciamo è: ma chi detiene il copyright sui contenuti generati dall’AI? Al momento una risposta univoca non c’è, ma alcune aziende stanno iniziando a proporre soluzioni che vanno nella direzione di portare maggior chiarezza nel mercato. Ad esempio, Adobe con il modello di generazione di immagini Firefly include nel prezzo del pacchetto anche l’esenzione dalla responsabilità contro cause legate alla proprietà intellettuale degli output generati. Allo stesso modo Meta ha presentato di recente le sue prime funzionalità di AI generativa per gli inserzionisti, consentendo loro di utilizzare l’AI per creare sfondi, espandere immagini e generare più versioni del testo pubblicitario garantendo sull’originalità di questi elementi di campagna.

E’ evidente che la posta in gioco è altissima. Da un lato, creatori di contenuti e detentori del copyright reclamano, giustamente, compensi e protezione della proprietà intellettuale; la causa del New York Times contro OpenAI e lo sciopero degli attori e sceneggiatori negli Stati Uniti sono stati solo il primo atto di una battaglia che si prevede lunga e incerta, da tutti i punti di vista. Dall’altro, gli sviluppatori delle soluzioni di Gen AI che, in nome dell’innovazione tecnologica, chiedono di poter evolvere i propri modelli per l’apprendimento automatico attraverso l’utilizzo di materiale anche coperto da copyright.

In mezzo ci siamo noi, professionisti della comunicazione e del marketing che vedono un enorme potenziale in questi strumenti e che li vogliono sfruttare responsabilmente per creare valore nel proprio lavoro quotidiano. Come possiamo navigare in questo territorio inesplorato ed eticamente complesso?

Innanzitutto, occorre porsi le giuste domande prima di adottare una soluzione di AI generativa. Su cosa è stata addestrato il modello? Quali sono le fonti che possono essere rintracciate? Il modello riconosce e ricompensa in modo corretto i creatori dei contenuti originali? Come vengono gestiti i nostri dati?

Ad oggi viviamo ancora una situazione in cui molto spesso le risposte a queste domande non sono univoche e dipendono anche da diverse normative territoriali sul copyright.

Quindi, che fare? Beh qualcosa possiamo fare: quattro semplici passi per iniziare ad usare responsabilmente queste tecnologie e, se possibile, mitigare i rischi legati al diritto d’autore e alla reputazione nel nostro lavoro quotidiano.

  1. Rielaborare gli output prodotti dall’AI prima di utilizzarli per la nostra campagna; può sembrare banale, ma per garantire originalità e protezione del copyright è in effetti sufficiente pensare all’AI, di nuovo, come ad una collega con la quale condividere un percorso di lavoro e non come qualcuno a cui rubare idee o lavoro. Testi, immagini e video prodotti dall’AI vanno sempre intesi come spunti e bozze a partire dalle quali produrre il nostro output definitivo.
  2. Esaminare attentamente i termini d’uso dei modelli di AI scelti; ogni strumento ha le sue regole e le sue esclusioni. Comprendere le implicazioni legali di questi termini d’uso può fare la differenza tra un lavoro di eccellenza e una brutta figura. Questo potrebbe avere implicazioni per la tua proprietà o l’utilizzo degli output del modello (ad es. politiche di firma)
  3. Utilizzare i motori di ricerca per identificare eventuali output simili; se nei risultati della ricerca identifichiamo qualcosa che corrisponde al nostro semilavorato e che quindi potrebbe violare il lavoro di un titolare del copyright, allora dovresti generare un testo, un’immagine o un video alternativo.
  4. Evitare di richiamare opere o stili di artisti protetti da copyright nei prompt dei modelli generativi; anche qui, mi pare buon senso, ma è utile per prevenire la duplicazione indebita del loro lavoro di altri e quindi possibili cause.

Una cosa è certa: brand, agenzie e professionisti non possono chiudere gli occhi, limitandosi a sfruttare acriticamente le potenzialità di questi strumenti. Servono invece strategie chiare e lungimiranti, che bilancino innovazione e responsabilità. La partita sul copyright è ancora aperta. È una battaglia che il marketing deve affrontare con intelligenza e coscienza.