Si tratta della seconda fase di un piano triennale volto a proibire la presenza di capi derivanti dal fast fashion da Vestiaire Collective. Per rafforzare il proprio impegno nel creare un’economia più circolare, la piattaforma per la rivendita di moda di lusso di seconda mano ha collaborato con un comitato di nove esperti di moda e sostenibilità per creare una chiara definizione di fast fashion e sfruttarla per vietare i giganti del settore dalla piattaforma.
“L’interdizione di altri marchi di fast fashion su Vestiaire Collective farà discutere, ma con l’accelerazione della crisi climatica e i novantadue milioni di tonnellate di rifiuti tessili gettati ogni anno, si tratta di un’iniziativa necessaria per ridurre l’impatto ambientale e sociale della moda. Cambiare il modo in cui le persone consumano è la missione dell’azienda, che utilizzerà la propria piattaforma per sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi dei rifiuti tessili e del consumo eccessivo di indumenti, oltre a incoraggiare altri attori chiave della moda a unirsi alla missione di cambiamento del settore. Dopo un anno di ricerca e pianificazione, a partire da oggi Vestiaire Collective è orgogliosa di bandire 30 nuovi marchi”, si legge in una nota.
Marchi vietati e definizione di fast fashion
Il quadro di definizione del fast fashion si basa su cinque criteri che alimentano la sovrapproduzione e il sovraconsumo:
• Prezzo basso: stima del prezzo medio, considerando anche la componente della riparabilità;
• Tasso di ricambio elevato: numero stimato di collezioni o di nuovi articoli in uscita ogni anno;
• Ampiezza della gamma di prodotti: numero di articoli disponibili in un determinato momento;
• Velocità della messa in vendita: tempo necessario a completare il ciclo produttivo, dalla fase di progettazione alla disponibilità del prodotto finito in negozio;
• Forte intensità promozionale: frequenza e intensità delle promozioni di vendita.
I nove membri del comitato di specialisti di moda e sostenibilità sono stati selezionati in base alla loro esperienza e alla forte conoscenza dell’impatto ambientale e sociale negativo del fast fashion. Tra loro:
• Orsola de Castro, cofondatrice di Fashion Revolution e autrice
• Rachel Cernansky, redattrice senior sui soggetti di sostenibilità per Vogue Business
• Christina Dean, fondatrice e presidente del consiglio di amministrazione dell’ONG Redress e fondatrice e direttrice operativa di The R Collective
• Eva Kruse, Chief Global Engagement Officer di Pangaia, fondatrice di Global Fashion Agenda
• Liz Ricketts, cofondatrice e direttrice di The Or Foundation
• Lauren Singer, socia amministratrice della venture capital Overview
• François Souchet, Global Head of Sustainability and Impact Consulting dell’agenzia BPCM, ex direttore del progetto ‘Make Fashion Circular’ di Ellen MacArthur Foundation
• Lucianne Tonti, giornalista di moda e autrice
• Matteo Ward, cofondatore di Wrad living, attivista, consulente per UN/CEFACT
“La decisione di bandire il fast fashion è stata presa per sostenere il lavoro che Vestiaire Collective svolge da tempo per promuovere alternative al modello di moda dominante. Questi marchi contribuiscono a una produzione e a un consumo eccessivi, con conseguenze sociali e ambientali devastanti nel Sud globale.
È nostro dovere agire e aprire la strada ad altri operatori del settore affinché si uniscano a noi in questo movimento, così da avere un impatto insieme”, ha sottolineato Dounia Wone, Chief Impact Officer di Vestiaire Collective.
Educazione e amplificazione
Vestiaire Collective sa che vietare il fast fashion funziona solo se i consumatori fanno acquisti più consapevoli: ecco perché l’azienda incoraggia gli acquirenti a riflettere criticamente sulle proprie abitudini di acquisto e sul reale impatto delle proprie scelte. Ogni volta che i membri della piattaforma proveranno ad acquistare o vendere articoli appartenenti alla lista di brand vietati riceveranno un messaggio che li informerà del divieto e delle ragioni dietro questa scelta. Sarà inoltre disponibile una guida online con risorse pratiche su come donare i propri capi e approfondimenti sulla sostenibilità, oltre a un utile elenco di alternative al fast fashion. Vestiaire Collective si impegna inoltre a educare le aziende sui vantaggi delle operazioni sostenibili e a valutare le relazioni esistenti con partner e influencer in base alle loro pratiche attuali.
La campagna ‘Think First, Buy Second’
Per creare consapevolezza, Vestiaire Collective lancerà sui suoi canali digitali una campagna globale dal titolo ‘Think First, Buy Second’ (‘Seconda mano, prima scelta’). La campagna, che si avvale della tecnologia AI, includerà un video e immagini di montagne di indumenti situate in alcuni dei luoghi più riconoscibili del Nord globale, come Times Square a New York o la Tour Eiffel a Parigi, per dare ai consumatori un’idea dell’aspetto che enormi quantità di indumenti e discariche tessili avrebbero nei loro Paesi. La campagna incoraggerà gli utenti dei social media impegnarsi per trasformare il Black Friday (che quest’anno avrà luogo venerdì 24 novembre) in un Better Friday. I partecipanti possono scegliere se impegnarsi ad acquistare solo prodotti di seconda mano solo durante questo Better Friday, fino alla fine dell’anno, per tutta la durata del 2024 oppure se scegliere questo metodo di consumo per il resto della loro vita.