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Si stringe l’assedio ‘legale’ intorno a Google: anche il Competitive Appeal Tribunal di Londra dà il via libera a una causa da 13,6 miliardi di sterline per comportamenti anticoncorrenziali

Search giant
di Massimo Bolchi

Il Competitive Appeal Tribunal, a Londra, ha stabilito che Google deve affrontare una causa da 13,6 miliardi di sterline, in cui si sostiene che abbia ‘troppo potere’ sul mercato della pubblicità online. La causa, intentata da un gruppo chiamato Ad Tech Collective Action LLP, sostiene infatti che il gigante della ricerca si sia comportato in modo anticoncorrenziale, causando perdite agli editori online nel Regno Unito.

La società madre di Google, Alphabet, ha definito il caso “incoerente” nel tentativo – non coronato da successo – di far cadere l’azione legale: il Legal Director di Google, Oliver Bethell, aveva bollato come “speculativa e opportunistica” l’iniziativa, alle quale ora l’azienda si opporrà “con forza e sulla base dei fatti” come recita il comunicato di Mountain View.

Il caso riguarda la tecnologia pubblicitaria, quella più semplicemente definita adtech dagli addetti ai lavori, che serve per decidere, nei pochi istanti del bid, quali annunci online visualizzare e a che prezzo. Ospitare tali pubblicità è un’enorme fonte di guadagno per un’infinità di siti web: l’Ad Tech Collective Action afferma al riguardo che la spesa globale per la pubblicità digitale raggiungeva i 490 miliardi di dollari nel 2021. Ad ogni effetto, questa attività è estremamente preziosa per Google, che domina in modo massiccio la ricerca sul web ed è presente in entrambi gli estremi dell’attività di bidding, come SSP e come DSP. L’accusa è che Google stia abusando di questa posizione dominante, riducendo le entrate dei siti web: l’Ad Tech Collective Action sostiene che Google attui la cosiddetta ‘autoreferenzialità’, ovvero promuova i propri prodotti e servizi in modo più evidente rispetto a quelli dei suoi concorrenti.

Ciò significa che gli editori finiscono per ricevere meno soldi per gli annunci che ospitano e devono pagare commissioni ‘molto alte’ a Google. Almeno questo è quanto sostengono i ricorrenti, che hanno dichiarato di voler ottenere un “risarcimento per gli anni in cui i mercati rilevanti non hanno fornito un risultato competitivo per il mercato editoriale britannico”.

Ma servirà molto tempo prima che tutto questo si risolva: ci sono già voluti diciotto mesi per arrivare a questo punto, e non ancora è stata fissata una data per il giudizio. Il caso è strutturato come opt-out, ovvero tutti gli editori britannici interessati sono inclusi a meno che non indichino diversamente. La causa è finanziata da una ‘terzo’ sconosciuto e l’Ad Tech Collective Action afferma che gli editori britannici che fanno parte della causa “non pagheranno i relativi costi” di partecipazione.

Nel frattempo sta procedendo anche la causa promossa nell’Unione Europea a marzo da 32 gruppi media, tra cui Axel Springer e Schibsted, e publisher di Austria, Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Ungheria, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Spagna e Svezia. Tra gli altri editori che hanno fatto causa a Google figurano l’austriaca Krone, i gruppi belgi DPG Media e Mediahuis, la danese TV2 Danmark A/S, la finlandese Sanoma, la polacca Agora, la spagnola Prensa Iberica e la svizzera Ringier, come riportato dalla agenzie.

Gli editori sostengono di aver subito perdite finanziarie a causa delle pratiche di Google nel settore della pubblicità digitale.

“Senza l’abuso di posizione dominante da parte di Google, le aziende del settore dei media avrebbero ricevuto entrate pubblicitarie significativamente più elevate e avrebbero pagato tariffe più basse per i servizi di ad tech. E soprattutto, questi fondi avrebbero potuto essere reinvestiti per rafforzare il panorama europeo dei media”, hanno dichiarato i legali degli editori, che stanno portando avanti la causa presso un Tribunale olandese, giurisdizione chiave per le richieste di risarcimento danni antitrust in Europa, e per evitare richieste multiple in diversi Paesi europei.

A sostegno della richiesta del gruppo, i legali hanno citato le accuse della Commissione europea dello scorso anno, che aveva avvertito Google di presunte violazioni antitrust nella sua attività di adtech, e – in via preliminare – aveva ritenuto che un ‘rimedio comportamentale (a behavioural remedy) fosse probabilmente inefficace per prevenire il rischio’ e suggerito che l’attività di Google fosse smembrata.

Sempre nel giugno 2023, il più grande editore di giornali degli Stati Uniti, Gannett, aveva intentato una causa contro Google presso un tribunale federale di Manhattan. Gannett, che possiede più di 200 quotidiani, tra cui USA Today, aveva sostenuto che la causa era dovuta alla presunta “monopolizzazione dei mercati delle tecnologie pubblicitarie e alle pratiche commerciali ingannevoli” di Google. All’epoca l’editore americano aveva anche sottolineato che nel dicembre 2020 un gruppo bipartisan di 17 procuratori generali di Stato aveva intentato una causa contro Google sollevando accuse simili di monopolizzazione delle tecnologie pubblicitarie. Il Dipartimento di Giustizia (DoJ) degli Stati Uniti, a cui si è aggiunta la coalizione bipartisan di altri 17 Stati che si erano già espressi in merito, ha intentato la ‘propria’ causa contro Google nel gennaio 2023.

Tutte questa cause non hanno avuto visto una conclusione, ma l’insieme è decisamente impressionante: editori internazionali, autorità di controllo, governi come la Commissione Europea e gli Stati Uniti, a livello federale e come singoli stati: tutti schierati contro Alphabet (e Google), senza contare le minacce al search portate dall’intelligenza artificiale di Perplexity AI e simili. Altro che preoccuparsi per il Sandbox del mondo cookieless prossimo venturo…

Immagine elaborata da DALL-E