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Quando un uomo che sa usare l’AI incontra un altro uomo che non la sa usare…

“Adattarsi all’intelligenza artificiale richiede di essere spietati, ha sottolineato Satya Nadella al summit di Davos. Spietati come lui, che manda a casa diecimila persone in un colpo solo. Non è una resa o una ritirata: sta per cambiare tutto di nuovo e non siamo pronti“, ha scritto Riccardo Luna su Repubblica, additando il progresso tecnologico come responsabile dei licenziamenti in atto in tutto il comparto delle Big Tech. E ha aggiunto: “Non faccio che pensare a ChatGPT: alla capacità impressionante di questa intelligenza artificiale di svolgere lavori da esseri umani“.

Qui ci starebbe bene la citazione, opportunamente parafrasata, del celebre motto di ‘Per un pugno di dollari’: “quando un uomo che sa usare l’intelligenza artificiale incontra chi non la sa usare, l’uomo che non la sa usare è un uomo morto”. Perché questo è il discrimine che sta emergendo, più rapidamente di quanto non fosse stato ipotizzato inizialmente. E non importa che ChatGPT o You.com, oppure Perplexity abbiano già sviluppato interazioni con la ‘madre’ delle intelligenze artificiali, quell’OpenAI da cui tutto sembra essere disceso: l’impiego dell’AI sta diventando esso stesso un ‘plus’, come mostrano campagne da brand sviluppate grazie all’intervento dell’AI, soprattutto negli USA, che diventano rapidamente il nuovo paradigma. Non resta che attendere la scomparsa dell’hype, di quella componente che fa di qualsiasi argomento un trending topic, per tonare a discutere più tranquillamente dell’argomento. O no?

E che un’hype ci sia stata lo confermano i numeri: cinque milioni di persone al mondo che in poco meno di un mese hanno provato a interrogare, quasi fosse un oracolo, ChatGPT. Un traguardo impensabile: Twitter, per fare un esempio, ha impiegato più di sei mesi per avere lo stesso risultato. Ma la verità è che stiamo facendo ipotesi in larga misura errate, abituati come siamo a utilizzare un motore di ricerca – soprattutto Google, diciamolo chiaramente – per trovare le risposte a qualsiasi domanda.

L’AI invece è una rete neurale, che costruisce risposte sulla base delle domande, che a volte elenca castronerie sesquipedali: l’uomo è stato su Marte con il programma Apollo, o la Lancia Beta Montecarlo aveva un motore da 1600 o da 1800 cc – per citarne due tra le infinità disponibili – ma non elenca le fonti, per cui qualsiasi risposta fornisce è da accettare come quella di un indovino, in un eterno gioco giusto/sbagliato che non ha fine. Perché per il momento l’AI di ChatGPT non ha connessioni a internet, quindi sono da evitare le domande legate all’attualità, anche le più banali, tipo chi ha vinto la Supercoppa tra Inter e Milan.

Diventa quindi rischiosissimo farvi conto, in valore assoluto, senza una supervisione da parte di esperti in carne ed ossa. Allora che serve l’AI? Pur creando sonetti alla maniera di Shakespeare, scrivendo biografie accuratissime, e altro ancora, ChatGPT non è però minimamente in grado di distinguere i fatti dalle invenzioni. Paper scientifici inventati, fake news, ricostruzioni storiche errate: il sistema statistico alla base di questo strumento lo rende assolutamente inaffidabile. Ed eccoci alla domanda finale: è possibile trasformare ChatGPT in uno strumento in grado di generare risposte veritiere? Secondo gli stessi ingegneri di OpenAI, questa sfida è ancora molto lontana dall’essere risolta, ma ‘ci stanno lavorando’.

ChatGPT, proprio come qualsiasi altra rete neurale, è uno strumento probabilistico: è in grado di prevedere con un tasso di successo sorprendente la prossima parola corretta in risposta a una frase, creando così frasi perfettamente elaborate e sembrando molto simile a un essere umano quando ci si confronta con essa. Ma una cosa è riuscire a prevedere risposte eloquenti, un’altra è essere in grado di capire veramente a cosa si sta rispondendo. Problema non di poco conto.

E nel frattempo, come Microsoft, ci si prepara alla rivoluzioni prossima ventura, spostando i propri investimenti – nel caso specifico si parla di 10 miliardi di dollari in arrivo da Redmond – e integrando per quel che si può l’AI negli strumenti più diffusi, come la suite di Office, utilizzata da centinaia di milioni di persone tutti i giorni, per ottemperare alle necessità quotidiane e allargare ulteriormente la base degli utenti che allo stesso tempo sono ‘docenti’ dell’AI. Perché presto anche l’ostacolo di reperire informazioni da internet verrà superato, c’è da scommetterci, come sono state superate, con oltre 200 miliardi di parametri fissati durante l’apprendimento, le difficoltà linguistiche.

E allora, in ambito creativo e di marketing, va contemperato il meglio di questi due mondi, quelli degli esperti umani e quelli dell’intelligenza artificiale, spostando ancora un poco più in alto la soglia dell’impiego dell’AI e del machine learning. Se fino a oggi si pensava a queste tecnologie per automatizzare le routine di basso livello, oggi si può ipotizzare un intervento congiunto per tutte quelle attività in cui l’apporto creativo umano è poco più che residuale, in cui gli interventi – dalla creazione di immagini alle costruzione dei filmati all’ideazione di jingle – possono essere svolti in meno tempo e con più efficacia dalle funzioni di AI, per lasciare più tempo alle specificità creative vere e proprie.

L’AI generativa può produrre autonomamente testi, immagini, video e codice a partire da semplici input. Ad esempio quei software che utilizzando prompt di testo e permettono di generare contenuti di diverso tipo (testi, immagini, video…) come Midjourney, DALL-E, o la stessa ChatGPT, per citarne alcuni.

In altre parole, come ha sottolineato durante una presentazione IAA Italia nei giorni scorsi Christian Behrendt, Head of Creative Innovation, EMEA Creative Works di Google – che a ogni buon conto, come Alphabet, ha già messo in scarsella dal 2014 DeepMind, l’AI capace di battere il campione sudcoreano di Go Lee Sedol, 9° dan professionista, e di decifrare la struttura tridimensionale delle proteine – “spetta alle aziende di sviluppare la tecnologia e adottare ‘new ways of working’, senza avere paura di promuovere la cultura della sperimentazione a 360 gradi”.

Qui si aprono campi sconfinati di possibilità, e sarebbe opportuna anche una discussione sugli aspetti etici dell’AI, che stanno diventando sempre più rilevanti. Ma ci riserviamo questo argomento per un prossimo articolo.