All’evento ‘Oltre l’AI. Le imprese e la sfida del Web 3.0’ è stata anche presentata, da Alessandro Scalcon, Senior Researcher di SWG, una ricerca ‘IA e dintorni: cosa ne pensano gli italiani’ le cui affermazioni hanno parzialmente sorpreso l’uditorio, per il susseguirsi tra hype e successivo rapido abbandono. È successo così per le critpovalute, per la blockchain, per il metaverso: sarà lo stesso per l’AI, ultimo grande hype di ChatGPT?
In realtà i numeri elencati danno si il segnale di un certo rallentamento, ma paradossalmente in quelle fasce di persone che per attività lavorativa e livello sociocultirale possono guardare con più apprensione, non sempre giustificata, a dire il vero, all’AI.
Il 64% degli italiani (86% tra i 18-34enni) si dichiara pronto al cambiamento introdotto dalle tecnologie abilitanti (AI, Realtà virtuale/aumentata, Metaverso, Non Fungible token, Blockchain). A dirsi più impreparati sono gli over 55enni (47%), i ceti fragili (49%) e le persone con bassa scolarizzazione (48%). L’80% conosce l’Intelligenza Artificiale bene o in generale (lo zoccolo duro dei soli che dichiarano di conoscerla bene è al 29%, in aumento di 10 punti percentuali da marzo 2023). In calo di 10 punti vs marzo 23, invece, quanti dichiarano di conoscerla solo a grandi linee. La Realtà virtuale/aumentata è conosciuta da 7 italiani su 10 (24% chi ritiene di conoscerla bene). Il livello di conoscenza scende al 39% quando si parla di NFT (Not Fungible Token, 15% chi dichiara una conoscenza più approfondita) e al 37% indicando la Blockchain (qui lo zoccolo duro di chi ne sa di più è al 12%).
Dal punto di vista generazionale, se consideriamo solo la fascia 18- 34 anni, la conoscenza dell’Intelligenza Artificiale tocca il punto più alto (87%), quella della Realtà virtuale/aumentata l’85%, i Non Fungible Tokens il 66%, la Blockchain è conosciuta dal 46%. Tra gli over 55enni invece si rilevano livelli di conoscenza inferiori: Intelligenza Artificiale 76%, Realtà virtuale/aumentata 61%, i Non Fungible Token il 23%, la Blockchain il 25%.
Lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, secondo la ricerca, è giudicato positivamente dal 57% degli italiani (in diminuzione di 10 punti percentuali vs marzo 2023 e -11 punti vs 2020). La quota sale al 70% nella fascia 18-34 anni. Risulta, d’altra parte, in crescita anche la parte degli intervistati che dà, in merito all’AI, un giudizio negativo (+7 vs marzo 2023), che riguarda soprattutto i ceti fragili (41%) e i meno istruiti (45%). In sintesi, risultano in diminuzione i giudizi positivi e sale l’incidenza di quanti intravvedono nell’Intelligenza Artificiale un pericolo.
In merito alla disponibilità ad affidare all’AI una serie di determinate attività della quotidianità, emerge che il 70% farebbe gestire all’AI la temperatura di casa e gli elettrodomestici, il 69% scadenze e appuntamenti analogamente alla videosorveglianza della propria abitazione. Il 62% farebbe monitorare all’AI il proprio stato di salute, il 61% la impiegherebbe in attività formative (66% tra i 18-34enni), il 56% la utilizzerebbe nel proprio lavoro (specialmente i colletti bianchi al 61%). Altri impieghi dell’AI vengono indicati da quote inferiori del campione
Sul versante opposto, sono stati presi in esame i fattori deterrenti rispetto all’utilizzo di sistemi di AI. Come primo elemento di cautela si rileva il timore di delegare a una macchina la responsabilità delle proprie scelte (40%, 50% gli autonomi), connessa al rischio che l’AI decida per me (34%, soprattutto gli over 55 al 45%). Segue l’inaffidabilità delle informazioni che possono provenire dall’AI (28%), e la perdita di controllo dei dati personali (anch’essa al 28%, specialmente tra gli over 55 al 39%). L’opacità dei processi decisionali degli algoritmi si colloca al 27% degli elementi frenanti mentre le questioni etiche legate all’impatto sulla società occupano il 19%. In fondo alla classifica si trovano il timore di essere rimpiazzati nelle proprie competenze (15%, soprattutto operai al 21% e ceti fragili al 22%), il fatto che l’AI costituisca un sistema discriminatorio (13%), o il caso di non possedere competenze digitali a sufficienza (11%).
Lo studio si estende anche al concetto di metaverso, contestualmente a quello dell’AI. Per il 51% il metaverso rappresenta il futuro (61% tra i 18-34enni), per il 30%, di contro, (dato in crescita di 5 punti rispetto a febbraio 2022 ma in linea con il 32% del novembre 2021) il metaverso è un concetto esagerato che non si realizzerà. Si tratta di opinioni, sullo sviluppo del metaverso, in fase di assestamento e di crescita in quanto non prevedono prospettive interessanti.
Il quadro è ancora più variegato se si parla di trasferire attività ‘dentro’ il metaverso. Il 57% del campione (61% tra i 18 e i 34 anni) vorrebbe accedere al metaverso per recarsi presso sportelli e/o uffici pubblici virtuali, il 56% (75% 18-24 anni) fare incontri di formazione, il 49% (72% 18-34 anni) accedere a spazi virtuali per il benessere/salute mentale, il 43% (65% 18-34, 61% autonomi) lavorare in una stanza virtuale, interagendo in tempo reale con i colleghi attraverso avatar, il 42% fare esperienze nel tempo libero, acquistare/vendere beni virtuali, il 32% (51% 18-34) conoscere e incontrare nuove persone in forma virtuale.
Fra i fattori di deterrenza rispetto all’utilizzo di dispositivi di realtà virtuale/aumentata risultano esserci la sensazione di isolamento sociale (46%), il rischio di sviluppare una dipendenza (28%, 36% over 55enni), la perdita dei propri dati personali (24%, 29% over 55enni), il rischio di esperienze sensoriali sgradevoli(17%), la scomodità dei visori (15%, 23% 18-34 anni), la scarsa qualità dei contenuti virtuali (15%, 26% 18-34), le difficoltà tecniche (11%), i limiti legati alle condizioni visive (8%), il timore di affrontare un’esperienza del tutto inesplorata (8%).
In sintesi, secondo il 55% dei rispondenti, le nuove tecnologie (AI, Realtà virtuale/aumentata, metaverso, NFT, Blockchain) avranno un impatto soprattutto su lavoro e carriere, più che sulla vita personale relazionale. Ciò è tanto più vero tra gli operai (73%) e i 35-54enni (71%), meno tra i colletti bianchi (54%) e gli autonomi (61%). L’impatto del metaverso sarà, invece, più presente nella vita relazionale (personale o nell’entertainment) per il 23% del campione, soprattutto per i giovani e i laureati, mentre il 22% è indeciso.