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Nasce Netflix Italia, aprirà entro quest’anno la propria sede romana. E prende posizione contro il raddoppio obbligatorio degli investimenti per la direttiva UE Smav

Netflix aprirà entro quest’anno il proprio ufficio a Roma, battezzandolo Netflix Italia e mettendosi in una posizione migliore per discutere con l’Agenzia delle Entrate le imposte, a partire dall’IVA, che devono essere pagate nel nostro paese. In effetti, secondo l’Agenzia, la posizione finora assunta da Netflix – “non abbiamo una struttura stabile in Italia e riscuotiamo tutti i ricavi dai Paesi Bassi, sede ufficiale dell’azienda” – diventava sempre meno credibile via via che si incrementava il numero degli abbonati ai servizi in streaming.

Così la conferma è arrivata da un’intervista rilasciata all’inizio di Settembre da Tinny (Eleonora, ndr.) Andreatta, da un anno Vicepresidente per le serie italiane di Netflix dopo il lungo periodo alla guida della fiction della Rai, al quotidiano Il Sole24Ore. Dal punto di vista della fruizione dei contenuti non ci saranno particolari cambiamenti: tra l’altro, esclusi gli addetti ai lavori, chi ha mai fatto caso alla nazionalità del suo provider di streaming video? Le persone potranno continuare a usufruire di Netflix come in precedenza. Al massimo si dovranno ‘aggiustare’ i prezzi degli abbonamenti, per tenere in conto delle tasse che saranno pagate in Italia.

Ma dall’intervista a Anreatta è emersa anche un posizione inedita su un tema non molto pubblicizzato (eufemismo) sui media: lo schema di decreto legislativo che recepisce la direttiva Ue Smav (Servizi Media Audiovisivi). In virtù di questo decreto i giganti dello streaming, da Netflix in giù, avranno obblighi di maggiore investimento in produzioni audiovisive europee e italiane: dal 12,5% dei propri introiti netti in Italia attuali al 25% del 2025.

“La sensazione è di aver ricevuto un’iniquità. E questa è più difficile che porti a decisioni di investimento. Ti fidi di un Paese se sei trattato in modo equo e capisci la logica delle scelte”, ha affermato Andreatta. “Il Governo sta facendo una delle più ambiziose scommesse sul comparto audiovisivo, attraverso tax credit, la rivoluzione di Cinecittà e la creazione di un sistema in generale volto a un’espansione” per fare diventare un’industria cardine del Paese. “In un clima, anche accalorato, ma di discussione, apertura, trasparenza. Sulle quote tutto questo non c’è stato”.

“Non si può negare la sorpresa per una mancanza di interlocuzione e per un approccio iniquo”, ha aggiunto Andreatta. “Perché essere sottoposti al doppio degli obblighi rispetto agli altri? Mi chiedo perché avviare un meccanismo che rischia di inflazionare i prezzi. Non ci sarà libera contrattazione perché noi dovremo necessariamente investire il doppio”.

Alle parole hanno poi fatto seguito i fatti. Sui principali quotidiani nazionali, è apparsa proprio una campagna istituzionale di Netflix: quattro doppie pagine che sottolineavano che non c’è differenza tra un broadcaster e uno streamer, e poi una pagina singola che riassumeva la posizione di Netflix, nettamente contraria al previsto ‘raddoppio’ degli investimenti in Italia, anche se il titolo era più soft e faceva leva sul perdurante ‘amore per le storie italiane’ da parte della multinazionale.

Campagna che oggi non ha fatto il ‘bis’ e soprattutto non è stata ripresa né dai giornali né dai competitor di Netflix, le altre streaming company che avrebbero il medesimo interesse sul tema.

Davvero Amazon Video, Disney+ e Apple non hanno nulla da dire sull’argomento?