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Mauro Palmigiani, Salesforce: “Integrare le interazioni online e offline in un’unica esperienza personalizzata: oggi si può costruire una strategia vincente solo con i dati di prima parte”

Salesforce è una soluzione CRM interamente basata su cloud che permette alle aziende di connettersi con i clienti in un modo completamente nuovo, nel marketing, nelle vendite, nell’eCommerce, nel servizio clienti. Qui Mauro Palmigiani, Area Vice President Sales di Salesforce Italia, spiega quali sono le sfide che stanno affrontando le imprese, in particolar modo quelle commerciali, per rispondere alle crescenti necessità e diverse abitudini di acquisto dei consumatori.

Nel 2020/2021 la pandemia ha rivoluzionato il customer journey di tutti, sia negli strumenti utilizzati, sia nella percezione della marche da parte dei consumatori. Salesforce, con il suo ‘State of the Connected Customer’ è nella posizione migliore per tracciare una fotografia del cambiamento. Che cosa è accaduto? Quali cambiamenti sono stati assimilati definitivamente e quali invece sono o saranno temporanei? E quali invece stanno già tramontando?

Il 59% degli italiani ha dichiarato che a partire dal 2020 ha fatto acquisti in modi nuovi ed è diventato sempre più digital-first.  L’emergenza sanitaria ha intensificato l’utilizzo del canale online. Fare acquisti è dunque diventata un’attività sempre più composta da molteplici step, in cui un ruolo importante è comunque ancora giocato dai punti vendita fisici.  Ciò che è mancato naturalmente è l’aspetto sociale dello shopping, lo scambio di opinioni e i consigli che si ricevono dal personale di vendita e la relazione di fiducia che si crea proprio in quel momento.

Così quello che stiamo vedendo è che i canali online e offline sono andati progressivamente a intrecciarsi per rispondere alle necessità del consumatore di oggi, che è più digitale e più esigente. I brand devono quindi affrontare la sfida di integrare i dati delle interazioni online e offline in un’unica esperienza personalizzata.

In Italia l’89% dei consumatori afferma che l’esperienza fornita da un’azienda è importante tanto quanto i suoi prodotti o servizi, recita il Report di quest’anno, bypassando il ruolo del retailer, fisico o digitale che sia. In che modo questa ‘esperienza’ si concretizza realmente, considerando la molteplicità di forme che i rapporti possono assumere nella lunga catena della distribuzione? O invece vanno preferite forme di approccio ‘I’?

Offrire al cliente un’esperienza di valore significa trovare soluzioni che gli semplificano la vita. Ma soddisfare questa esigenza è tutt’altro che semplice e richiede un grande lavoro da parte dell’azienda nel riconoscere i suoi clienti, trattare correttamente i loro dati e disegnare con cura i percorsi per renderli protagonisti.

Gli store fisici rimangono un elemento importante perché permettono di dare un volto all’azienda e consentono al cliente di fare un’esperienza ricca e immersiva. Ci sono però alcuni limiti, ad esempio il consumatore potrebbe non avere tempo per recarsi nel punto vendita oppure non esserci disponibilità del prodotto desiderato all’interno dello store, il cliente potrebbe non trovare la sua taglia o il suo colore preferito. E’ proprio qui che s’innesta l’eCommerce, che d’altro canto permette al cliente di prendersi più tempo per decidere, raccogliendo più informazioni sul prodotto.

La chiave del successo della strategia aziendale è dunque essere capaci di affrontare percorsi fluidi, avendo sempre al centro il cliente, ma consentendogli allo stesso tempo di spaziare tra i diversi touch point fisici e digitali, senza complicazioni e mantenendo un alto livello di personalizzazione.

Paradossalmente questa esperienza così importante è anche alla base dell’estrema infedeltà del consumatore alle marche: l’83% dei consumatori italiani ha cambiato brand almeno un volta. In che modo l’apporto della AI (Einstein per Salesforce) può essere cruciale in quest’ambito? Basta l’automazione dei servizi per risolvere questo problema?

L’automazione dei servizi e l’intelligenza artificiale sono solo alcuni degli elementi all’interno dell’equazione. La qualità del prodotto, la sua reperibilità e la capacità dell’azienda di arricchirlo di significati sono il punto da cui partire. E i dati dei clienti sono piccole tracce che, se raccolte correttamente, possono diventare una preziosa fonte a cui attingere quando si devono prendere decisioni relative al prodotto, alla sua distribuzione e alla comunicazione.

Qui si inserisce l’intelligenza artificiale che non significa mera automazione, ma capacità di indirizzare alcune decisioni sulla base dei dati che essa ha raccolto. La parola d’ordine è personalizzazione, e parte dalla comprensione di dove si trovano i clienti, che tipo di necessità soddisfano attraverso il prodotto o servizio e quali sono i prodotti più adatti ad andare incontro alle loro necessità.

L’elemento che abilita queste funzionalità si chiama Customer Data Platform, di fatto una piattaforma digitale sulla quale raccolgo e organizzo i dati relativi alle interazioni che ho avuto con i miei clienti in modo che quando un consumatore entra in un sito, i prodotti e le informazioni che vede in home page non sono più uguali per tutti, ma parlano direttamente a lui, innescando quindi una relazione 1:1 che rende più difficile l’abbandono.

‘Mobile first’ è ormai un mantra indiscusso. Come si possono conciliare esigenze diverse e contrastanti quali la più raffinata addressability delle marketing activities con regolamenti che, quanto meno in Europa, si fanno sempre più stringenti, quali ad esempio il DSA/DMA e il futuro cookieless prossimo venturo? Si può costruire una customer strategy solo con i dati di prima parte?

Le progressive limitazioni introdotte in Europa pongono certamente una sfida alle aziende, ma possono anche essere un’occasione per aumentare la fiducia dei propri clienti. Bisogna prendersi cura dei dati dei propri clienti se si desidera instaurare con loro una relazione duratura nel tempo e migliorare la comprensione che le diverse funzioni aziendali hanno del business e l’84% dei consumatori italiani dichiara di trovarsi a proprio agio con le aziende che utilizzano le informazioni personali rilevanti in modo trasparente e vantaggioso.

Costruire una strategia vincente utilizzando solo i dati di prima parte è dunque possibile e richiede una grande consapevolezza nel momento in cui si definisce l’architettura delle informazioni raccolte e lo stack tecnologico che dovrà raccoglierle e renderle azionabili e fruibili da tutti i team aziendali. In quest’ottica, l’integrazione tra i diversi sistemi in gioco risulta determinante per il successo della strategia.

Guardando infine in avanti: che cosa ci si può attendere dalla Gen Z e dalla Gen Alpha, che si vanno affacciando adesso al mercato? Come evolveranno i rapporti valoriali tra i consumatori di queste generazioni, i brand e i consumatori più anziani? Il prezzo e la moda ‘del momento’ saranno meno centrali nelle scelte di acquisto, soppiantati da elementi quali la compatibilità ambientale, la riciclabilità, l’economia circolare, il riuso/second hand market?

La Gen Z e Gen Alpha sono già parti attive, con aspettative molto precise e una minore disposizione al compromesso rispetto alle generazioni precedenti. Infatti se da un lato gli aspetti più superficiali della comunicazione perdono la loro importanza, dall’altro quando si parla di sostenibilità ambientale e etica del lavoro, le nuove generazioni sono più intransigenti e si aspettano di avere a disposizione informazioni accessibili e verificabili sulle le promesse fatte dai brand.

Così la Gen Z e la giovanissima Gen Alpha, oggi stanno trainando il cambiamento del mercato degli acquisti, fisici e non solo, verso una direzione puramente esperienziale e sempre più digitalizzata , che consente loro di connettersi e informarsi. In questo scenario, la trasparenza nella condivisione dei valori soppianterà sempre più rapidamente le leve del prezzo e delle mode, in favore di consumi più consapevoli e rispettosi dell’ambiente.