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L’adozione dell’App Tracking Transparency di Apple non ha visto la ‘fuga’ di consumatori che ci si attendeva. Ma ci sono altri problemi sul tappeto…

Nell’aprile dello scorso anno, quando Apple ha introdotto nuove funzionalità per la privacy, il mondo del marketing mobile ha affrontato un cambiamento significativo. Con iOS 14.5, infatti, gli utenti possono scegliere di condividere o meno gli identificatori del dispositivo, come l’Identifier for Advertisers di Apple, e attivare o meno qualsiasi forma di profilazione dei dati. Se da un lato si tratta di un passo importante dal punto di vista della privacy, dall’altro il nuovo sistema ha introdotto alcune sfide cruciali per gli operatori di mobile marketing che in precedenza si affidavano all’IDFA per verificare l’efficacia delle loro campagne e analizzare il ROI dei loro investimenti, oltre ad aprire questioni più ampie sul potere dei Big Tech, inclusa la stessa Apple.

A distanza di circa un anno, l’adozione dell’App Tracking Transparency (ATT) è comunque ormai diffusa, con l’80% delle applicazioni che hanno implementato il prompt ATT, mostrandolo ai loro utenti. Inoltre, nell’ultimo anno sono cresciuti anche i tassi di opt-in: mese dopo mese ed è stato infatti osservato come tra gli utenti a cui viene mostrato il prompt, quasi 1 su 2 scelga il pulsante ‘Consenti’. Se i mobile marketer inizialmente si preoccupavano di un eventuale impatto negativo sull’esperienza degli utenti, dopo un anno è chiaro che i benefici di mostrare il prompt superino di gran lunga quelli di non mostrarlo a causa delle preoccupazioni in termini di user experience.

In Italia, il tasso di consenso App Tracking Transparency da parte degli utenti è stato del 42% per le app non gaming e del 37% per quelle gaming, dati rilevati da AppFlyer. In sostanza, significa che più di un utente italiano su tre è disposto a condividere i suoi dati e attivare la profilazione delle proprie attività online. A livello globale, si osserva che il consenso è più alto del 30% nei Paesi in via di sviluppo, in particolare nel sud-est asiatico, dal momento che la sensibilità e la consapevolezza in termini di privacy e sicurezza dei dati è significativamente più alta nei mercati più sviluppati (ad eccezione della Francia, il cui tasso di consenso è stato del 35% più alto rispetto agli altri Paesi dell’Europa occidentale).

Il sistema di Apple, che mira a fornire agli utenti iOS una panoramica immediata della quantità di dati a cui rinunciano per utilizzare un’applicazione, richiede comunque agli sviluppatori di app di autodichiarare come trattano i dati degli utenti. In questo caso i ricercatori dell’Università di Oxford, in uno studio di recente pubblicazione, ancora non peer reviewed, hanno riscontrato “notevoli discrepanze” tra le pratiche di trattamento dei dati dichiarate e quelle effettive, che secondo loro potrebbero creare un falso senso di sicurezza per i consumatori e ingannarli sulla quantità di privacy a cui rinunciano per utilizzare un’app.

“I nostri risultati suggeriscono che le società di tracciamento, soprattutto quelle più grandi che hanno accesso a grandi quantità di dati di prima parte, continuano a tracciare gli utenti dietro le quinte”, scrivono in una sezione che illustra come il tracciamento continuo e costante possa rafforzare sia il potere dei gatekeeper sia l’opacità dell’ecosistema dei dati mobili. “Possono farlo attraverso una serie di metodi, tra cui l’uso degli indirizzi IP per collegare gli ID specifici dell’installazione tra le app e attraverso le funzionalità di accesso fornite dalle singole app (ad esempio l’accesso a Google o Facebook, o l’indirizzo email).

“Soprattutto in combinazione con altre caratteristiche dell’utente e del dispositivo, che i nostri dati hanno confermato essere ancora ampiamente raccolte dalle società di tracciamento, sarebbe possibile analizzare il comportamento dell’utente tra le app e i siti web (cioè il fingerprinting e il cohort tracking). Un risultato diretto dell’ATT potrebbe quindi essere il rafforzamento degli squilibri di potere esistenti nell’ecosistema del tracciamento digitale”.

Il documento potrebbe alimentare le argomentazioni che cercano di contrapporre le leggi sulla concorrenza ai diritti alla privacy, in quanto gli autori suggeriscono che le loro scoperte confermano l’opinione che Apple e altre grandi aziende sono state in grado di aumentare il loro potere di mercato grazie all’implementazione di misure come l’ATT, che in teoria danno agli utenti un maggiore potere sulla loro privacy.

Un esempio di questo è la recente campagna di Apple che sottolinea i cambiamenti di ATT, mentre ‘teme’ che le altre app utilizzino in modo improprio i dati, posizionando l’azienda come ‘benevolo’ guardiano di questi ultimi. Inoltre, la posizione quantitativamente più rilevante di Apple, soprattutto negli USA, le conferisce un vantaggio nell’utilizzo dei dati per ottenere una pubblicità efficace. Ne consegue che anche se Apple fosse costretta a consentire all’utilizzo di app store alternativi, sarebbe molto più difficile convincere gli utenti a fidarsi del data mangement di altre aziende, vista l’efficacia del messaggio ormai inviato a tutto il mondo digital.

Ma Apple non è la sola a seguire questa strada; anche il suo maggior competitor, Google, all’inizio di quest’anno, ha annunciato l’intenzione di introdurre la sua Privacy Sandbox in Android, oltre alla decisione di limitare le funzionalità di tracciamento cross-app e potenzialmente di eliminare del tutto gli identificatori mobile.