Per la prima volta, integrando la tecnica della Realtà Virtuale Immersiva (RVI) e l’Elettroencefalogramma (EEG) ricercatori e ricercatrici dell’Università di Torino e Milano-Bicocca hanno esaminato le basi neurocognitive sottese la riduzione dei pregiudizi razziali.
I risultati di questo studio, condotto dalla ricercatrice dell’Università di Torino Maria Pyasik e coordinato dai Proff. Lorenzo Pia (Università di Torino) e Alice Mado Proverbio (Università di Milano-Bicocca) sono stati pubblicati sulla rivista iScience.
I pregiudizi, che siano di genere, di religione o di razza, sono una delle questioni più problematiche nelle società moderne. Infatti, avendo una natura recondita ed inconsapevole, sono largamente immuni alla manipolazione e, quindi, vincolano presentemente il nostro comportamento diventando, de facto, il nucleo della discriminazione sociale. Tuttavia, recenti sviluppi nel campo delle neuroscienze cognitive hanno portato in auge un particolare fenomeno che è possibile ottenere tramite la Realtà Virtuale Immersiva (RVI). In dettaglio, tramite specifiche procedure è stato mostrato come sia possibile indurre l’illusione (Full Body Illusion) di ‘indossare’ un corpo virtuale (avatar) diverso dal proprio. Questo ‘diventare qualcun altro’ impatta radicalmente e automaticamente il comportamento al punto da cambiare atteggiamenti, credenze e attitudini implicite, come sono i pregiudizi.
La ricerca, dal titolo ‘Behavioral and neurophysiological indices of the racial bias modulation after virtual embodiment in other-race body’, ha indagato i marker comportamentali e neurofisiologici della riduzione di pregiudizi razziali determinati dal sentirsi in un corpo di etnia diversa. I partecipanti hanno embodizzato (indossato) un avatar appartenetene alla propria etnia (caucasica) o a un gruppo etnico diverso (di colore) dopo la registrazione della attività cerebrale sottesa ad un compito che rileva i pregiudizi razziali. I risultati hanno mostrato che il pregiudizio razziale negativo risultava significativamente ridotto solo dopo l’embodiment dell’avatar di colore e che anche il marker elettrofisiologico del pregiudizio stesso (Onda N400 dei potenziali evocati dell’EEG) diminuiva, seppure in maniera non statisticamente significativa.
Nonostante la necessità di acquisire nuove evidenze, in particolare sull’aspetto neurale, lo studio arricchisce notevolmente gli orizzonti relativi al ruolo del corpo nel nostro comportamento. Inoltre, è forse ancor più rilevante il fatto che mostri come la manipolazione sperimentale nota come Full Body Illusion (FBI) possa essere uno strumento in grado di modificare plasticamente i pregiudizi impliciti negativi e, forse, di ridurli. In altre parole, questo modo di utilizzare la RVI potrebbe essere utilizzato per promuovere l’inclusività sociale.
“Questo studio è importante – dichiara in una nota la ricercatrice Maria Pyasik – perché è il primo che esamina i correlati neurocognitivi alla base della riduzione dei pregiudizi razziali determinati dalla Full Body Illusion. Lo studio ha permesso di comprendere il fenomeno più in profondità in modo da essere più informati nello sviluppare applicativi d’intervento in contesti sociali. Se si pensa che la RVI è oggi progressivamente più accessibile e utilizzato, risulta evidente quale possa essere il suo enorme potenziale applicativo e il suo possibile valore sociale”.
“I prossimi passi – aggiunge il Prof. Lorenzo Pia – saranno la convalida dei dati neurofisiologici, ovvero identificare con maggiore certezza i possibili marker corticali (e non) della riduzione del pregiudizio nei confronti di una diversa etnia a seguito del ‘sentirsi’ in un corpo di quella etnia. Inoltre, sarebbe importante esaminare a fondo i meccanismi sottesi il pregiudizio analizzandone altri quali quello relativo al genere, all’età o alle credenze religiose. Ciò consentirebbe di immaginare procedure standardizzate e protocolli che co sentano la riduzione del pregiudizio e, quindi, la promozione della inclusione sociale”.
“La tecnica elettrofisiologica, e in particolare l’osservazione della N400 – spiega la Prof.ssa Alice Mado Proverbio – viene usata nella Neuroscienze Sociali, oltre che per i pregiudizi etnici, nella misurazione dei pregiudizi di sesso e di genere impliciti. L’attività bioelettrica riflette la presenza di stereotipi inconsapevoli rappresentati nell’area cerebrale prefrontale mediale. La possibilità di esperire un corpo virtuale diverso da sé nella realtà immersiva (VR) offre interessanti prospettive nel campo della sensibilizzazione alla disabilità, e a coloro che ci appaiono diversi”.