Anche i bastioni dello streaming ‘no advertising’ stanno cedendo. Netflix, infatti, sta valutando se aprire alla pubblicità in cambio di canoni di abbonamento più ridotti. Perché, inutile nasconderselo, ci sono sempre più contenuti disponibili e sempre meno tempo per vederli tutti: la conseguenza più ovvia è la selezione degli abbonamenti.
E con Disney+ e Amazon Prime che crescono negli USA e in Canada, i principali mercati per lo streaming, è arrivata anche la notizia che, insieme alla presentazione della trimestrale, gli abbonati di Netflix sono calati di numero: meno 200.000 contro l’attesa di una crescita di oltre due milioni. Il primo calo in dieci anni.
Immediata la reazioni della Borsa, con le azioni della società dello streaming che hanno perso il 25% nelle trattative after hours. Gli andamenti, nonostante i risultati positivi, non erano favorevoli neanche prima, con il titolo che aveva perso, rispetto all’inizio dell’anno, un buon 20%. La società si è affrettata a precisare, inutilmente, che il risultato negativo era dovuto alle sanzioni verso la Russia, paese in cui Netflix aveva circa 700 mila abbonati paganti.
“La sospensione del servizio in Russia”, ha commentato l’azienda californiana, “e la graduale riduzione delle sottoscrizioni hanno comportato una perdita netta di 700 mila abbonamenti. Senza questo impatto, avremmo avuto 500 mila nuovi clienti rispetto all’ultimo trimestre“.
La trimestrale mostra infatti che, tra gennaio e marzo, il fatturato è stato di 7,9 miliardi di dollari, quasi il dieci per cento in più rispetto a un anno fa, grazie però all’aumento del prezzo delle sottoscrizioni che negli Stati Uniti e in Canada ha provocato un esodo di massa, quantificabile in 640 mila abbonamenti disdetti. Anche l’utile netto è stato di 1,6 miliardi, meno rispetto all’1,7 del primo trimestre del 2021.
La novità è dunque l’introduzione di abbonamenti low-cost accettando anche la pubblicità: una cesura netta con quanto sostenuto in passato dal co-CEO Reed Hasting, da sempre un convito assertore che l’advertising rappresentasse un’inutile complicazione, rispetto al modello subscription.
“Sono stato contrario all’advertising”, ha detto Hastings agli investitori. “Ma sono un fan ancor più grande della libertà degli utenti, quindi ha senso dare loro la possibilità di scegliere di pagare un prezzo inferiore a patto di accettare le inserzioni pubblicitarie”.
Ci vorrà un po’ di tempo, un anno o due, perché la nuova ‘low cost’ sia lanciata, ma il dado è tratto.
Nel frattempo il rischio è che rallenti la produzione di contenuti che ha sostenuto finora il successo dell’emittente, mentre i competitor, oltre i due già citati, HBO Max, Discovery Plus e Paramount Plus, stanno guadagnando terreno. Il pericolo è che gli abbonati statunitensi, che hanno già tagliato il cavo per risparmiare, mettendo in crisi il modello della cable tv che era sopravvissuto per molti anni, proseguano nella corsa all’abbandono del capostipite dello streaming. Si parla già di due milioni e un 10% in meno di fatturato nei prossimi mesi.
La domanda è: l’advertising farà in tempo ad arrestare il declino di Netflix?