Interactive

La privacy non è più un ‘nice to have’, per i clienti è essenziale. Due ricerche effettuate per Google da Ipsos e BCG mostrano come non ci sia futuro per la pubblicità digitale senza protezione dei dati

Matt Brittin, President of Business and Operations Google in EMEA

Secondo due studi commissionati da Google e realizzati in collaborazione con Ipsos e BCG, l’uso responsabile dei dati di prima parte  permette di ottenere un impatto positivo sulle entrate e maggiore efficienza, soddisfacendo allo stesso tempo la domanda dei consumatori relativa a un maggiore controllo su come i loro dati personali vengono utilizzati online.

In un nuovo studio di Ipsos commissionato da Google e intitolato ‘Privacy by Design: Exceeding Customer Expectations’, si evidenzia infatti che oltre due terzi (70%) degli utenti di internet tra i 16 e i 74 anni, a livello globale, sono preoccupati di come vengono utilizzate le informazioni raccolte su di loro quando sono online, mentre un valore analogo si è dichiarato scettico riguardo al modo in cui le aziende usano i loro dati nel marketing.
Le persone, però, si rivelano maggiormente soddisfatte degli annunci che considerano di valore: la ricerca globale mostra che nove utenti di internet su dieci (91%) tra i 16 e i 74 anni sono più propensi ad acquistare brand che forniscono offerte e suggerimenti per loro pertinenti;

Il report di Ipsos, che include tre grandi studi quantitativi condotti in diversi paesi europei, tra i quali Regno Unito, Francia, Germania, Paesi Bassi e Svezia tra il 2019 e il 2021, fornisce una visione inedita delle modalità complesse e contraddittorie con cui i consumatori si comportano online, e delle opportunità di cui dispongono i brand per conciliare questi aspetti.

Ipsos ha coniato un nuovo termine per questa dicotomia, definendolo il ‘say-do gap‘ (‘divario tra il dire e il fare’). Per esempio, l’80% degli intervistati ha detto di essere preoccupato per il potenziale uso improprio dei dati personali, ma il 93% si mostra favorevole nel fornire alle aziende informazioni che potrebbero essere considerate sensibili, come nome, indirizzo, dati di contatto o informazioni sulla propria famiglia, in cambio del servizio fornito.

Ipsos ha identificato tre aree chiave in cui i professionisti del marketing possono andare oltre i requisiti legali minimi per mettere la privacy dei consumatori al primo posto, senza rinunciare a creare campagne d’impatto:

  • Dare un senso: le persone condivideranno volontariamente le proprie informazioni con le aziende che dimostrano una chiara proposta di valore. I professionisti del marketing possono rispondere comunicando chiaramente il valore di uno scambio al cliente e anticipando i suoi bisogni con messaggi pertinenti e tempestivi.
  • Rendere memorabile: l’autorizzazione consapevole è preziosa. Le persone hanno una comprensione limitata di come funziona la privacy online, e questo influenza il modo in cui percepiscono la pubblicità. Quando però si ricordano delle scelte che hanno fatto in merito alla condivisione dei dati, hanno risposte più positive.
  • Rendere gestibile: le persone si aspettano di avere controllo sui loro dati personali, e quando avvertono la mancanza di questo controllo, possono diventare scettiche nei confronti del marketing digitale. I professionisti del marketing dovrebbero fornire gli strumenti e le informazioni di cui le persone hanno bisogno per gestire le preferenze in materia di privacy, come la frequenza delle comunicazioni e la rinuncia alle categorie di interesse.

Katherine Jameson Armstrong, Head of Qualitative Media Research presso Ipsos MORI, ha dichiarato in una nota: “La nostra ricerca mostra quanto sia importante per i brand garantire la privacy. Questa è un’area complessa e gli atteggiamenti e i comportamenti delle persone possono essere contraddittori. In questo contesto, è facile sbagliare e rischiare di perdere fiducia e rispetto. Tuttavia, i brand possono svolgere un ruolo fondamentale nell’aiutare le persone a farsi strada in quest’area complessa rendendo le interazioni più significative, gestibili e memorabili, creando relazioni più forti nel processo”.

Mentre cercano di affrontare queste sfide, i brand potrebbero trarre spunti interessanti da un nuovo studio di BCG. Il Report parte dal benchmark della maturità del marketing digitale del 2019 per capire meglio come le aziende utilizzano i dati proprietari per costruire relazioni più significative con i clienti e fornire esperienze migliori, e mira a ridefinire il futuro della maturità del marketing digitale.

Basato su workshop, interviste e audit con decine di agenzie, esperti e brand in tutta Europa, lo studio dimostra che i professionisti del marketing digitalmente maturi sono stati in grado di rispondere meglio alle mutevoli dinamiche del mercato e hanno avuto il doppio delle probabilità di aumentare la loro quota di mercato in un periodo di 12 mesi. Hanno anche continuato a superare i concorrenti meno specializzati di una media di 29 punti percentuali in termini di risparmio sui costi e di 18 punti percentuali in termini di entrate. Un maggior numero di brand ha migliorato la propria posizione nel BCG Digital Maturity Index dal 2019: ora, nel più recente studio, il 9% dei brand è considerato ‘best-in-class‘ e ‘multi-moment‘, rispetto al 2% del 2019.

“Quando si tratta di marketing digitale, le aziende meno mature devono accelerare, aumentando i propri sforzi per recuperare il ritardo accumulato”, ha affermato Javier Pérez Moiño, Managing Director e Partner di BCG e coautore del Report. “Le aziende che sono progredite rapidamente stanno raccogliendo i frutti, mentre le aziende che rimangono ferme o che stanno facendo passi avanti solo graduali sono sempre più indietro rispetto ai loro competitor più maturi”.

BCG suggerisce che i brand dovrebbero concentrarsi su quattro acceleratori chiave per rendere il loro business a prova di futuro, e risalire la classifica per trasformarsi in organizzazioni digitalmente mature.

  • Costruire un ciclo virtuoso intorno ai dati di prima parte: i brand migliori comprendono quali dati sono utili e perché, e costruiscono proposte convincenti intorno ai dati di prima parte per ottenerli. Una best-practice sui dati riguarda uno scambio di valore bidirezionale: da un lato l’azienda acquisisce la capacità di fornire una migliore esperienza al cliente e un marketing più efficace, mentre il cliente ottiene informazioni utili, assistenza e offerte.
  • Investire nella misurazione end-to-end: la capacità di misurare l’impatto dei diversi tipi di interazioni, indipendentemente dal canale, diventerà sempre più cruciale in un mondo senza cookie. I brand dovrebbero puntare a una vera misurazione end-to-end, sfruttando i modelli predittivi per colmare qualsiasi lacuna.
  • Dare priorità all’agilità: implementare buone pratiche relative ai dati e applicare un approccio alla misurazione di tipo “test-and-learn” (sperimentare e apprendere) è difficile quando si opera in strutture organizzative tradizionali e isolate. Le organizzazioni dovrebbero quindi dare la priorità alla collaborazione agile tra team per essere pronte a rispondere più rapidamente alle dinamiche in continua evoluzione del mercato.
  • Adottare nuove competenze e collaborazioni: i brand migliori rispondono alle carenze di competenze riqualificando il proprio personale e contemporaneamente sviluppano programmi di fidelizzazione per attrarre e trattenere i talenti. I brand dovrebbero innanzitutto colmare le lacune in termini di competenze mediante partnership, prima di sviluppare un’analisi più approfondita del miglior equilibrio tra capacità interne ed esterne.

“Questi studi di riferimento forniscono un modello per le aziende che vogliono soddisfare il crescente desiderio di privacy del pubblico e, a loro volta, costruire relazioni più profonde e significative con i loro clienti”, ha concluso la nota Matt Brittin, President of Business and Operations di Google in EMEA. “La privacy non è più un ‘nice to have‘: per i clienti è essenziale. I nostri risultati oggi mostrano che le persone sono disposte a condividere i loro dati, a condizione che i brand siano trasparenti su quali dati raccolgono, come vengono utilizzati e qual è il vantaggio per il cliente. Non c’è futuro per la pubblicità digitale senza privacy. È vitale che i brand si adattino a questo panorama in evoluzione investendo in una migliore misurazione end-to-end, creando uno scambio di valore chiaro e bidirezionale incentrato sui dati di prima parte e abbracciando nuove competenze e partnership”.