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Il retail media supera le limitazioni dei bundle nello streaming video: i primi esempi in un mercato che raddoppierà gli investimenti in tre anni

retail media
di Massimo Bolchi

Non è certo una novità: gli utenti non riescono più a sostenere i costi degli abbonamenti alle singole piattaforme di streaming e procedono a una drastica eliminazione di quelle a cui non sono più in grado di accedere, sotto il profilo economico.

Parliamo innanzitutto degli USA, dove già si stanno concretizzando le fusioni e le alleanze tra gli operatori: così Disney ha comprato la totalità di Hulu da Comcast (dopo un quinquennio di difficile convivenza), e offre un pacchetto che include Disney+, Hulu ed EPSN+ in bundle, a un prezzo inferiore ai tre servizi sommati. E Apple+ è interessato a Paramount+, per fare qualcosa di analogo: intanto offre tutti i suo servizi di streaming in un unico pacchetto, l’Apple One: intrattenimento, musica, videogiochi e cloud a 20 euro al mese, un prezzo molto vantaggioso, perché pagando tutte le varie componenti singolarmente servirebbero 48 euro.

Ma il gioco è rischioso, perché i ricavi per ogni singolo utente si riducono, e non è che i risultati di queste offerte siano eccezionali: meglio del mercato – a fronte un -7% medio del mercato streaming, il bundle di Disney perde solo il 2%, per esempio – ma siamo lontani da una ripresa rivoluzionaria.

Il perché è presto detto: il tutto è pericolosamente vicino a un gioco ‘a somma zero’: tanti utenti perde una servizio tanti ne guadagna un altro, mentre il mercato nel suo complesso non cresce. Perché la capacità di spesa degli utenti è sempre la stessa.

Due grandi retailer cercano da anni di sparigliare le carte: Amazon, che offre un bundle Prime che include consegne gratis, Prime Video, Prime Reading, Music, Photo e supermarket fisici; e Walmart, il più grande retailer fisico al mondo che offre Paramount+ nel suo bundle Walmart+, che di suo include consegna gratuita, prezzi scontati sul carburante presso stazioni selezionate, utilizzo del sistema mobile scan & go e altre facilitazioni. Ma attenzione: come si dice nel marketing, se qualcosa è gratis, significa che il prodotto sei tu. E Amazon, comunque, sembra avercela fatta, per lo meno per quanto riguarda la pubblicità: quest’anno, il servizio Prime Video trasmette infatti programmi con break pubblicitari negli USA. Chi desidera mantenere Amazon Prime Video senza pubblicità può ancora farlo pagando un supplemento di 2,99 dollari al mese.

La situazione è però diversa in Europa, per le peculiarità introdotte dal DMA e dal DSA, e per la sparizione, a livello mondiale, dei cookie di terza parte: molti dei principali browser, come Safari, Microsoft Edge e Firefox, hanno già adottato da tempo misure per bloccare i cookie, ma la vera svolta si avrà, alla fine del 2024 quando Google li rimuoverà da Chrome.

In parallelo stanno assumendo un valore sempre maggiore i dati di prima parte, quelli in possesso delle aziende, che infatti, hanno già provveduto a creare i propri retail media, offrendo ai brand l’opportunità di parlare con i propri clienti, online e offline, utilizzando tutti i dati disponibili per costruire degli efficaci audience targeting. Il mercato è sul punto di esplodere: McKinsey prevede che gli investimenti cresceranno fino a 100 miliardi di dollari entro il 2026, ovvero circa il doppio di quelli attuali in due/tre anni.

E la corsa ai dati, in parallelo, è iniziata: perché questi sono l’alimento indispensabile all’Artificial Intelligence, che sempre più governerà l’allocazione dei budget. Avere dati di prima parte, utilizzabili per costruire strategie di comunicazione efficaci, è diventato indispensabile, e di conseguenza ecco la nascita di nuove offerte, mirate non più semplicemente ad accrescere la base di utenti dei punti vendita, ma a raccogliere gli indispensabili dati di prima parte con cui alimentare i propri retail media network.

Così allora lo streaming video può diventare un passpartout per raccogliere altri dati, sempre più parcellizzati, e costruire profili ancora più accurati da vendere ai brand per le loro campagne. Negli USA questo è ormai un dato di fatto, ma in Europa è ancora una novità, con Carrefour che per primo è entrato nell’arena offrendo Carrefour Plus, il proprio programma fedeltà, in abbinata a Netflix, il maggior servizio di streaming al mondo, a 5,99 euro al mese con la pubblicità inclusa, più altre facilitazioni proprie del servizio retail. Come abbiamo visto, il servizio è per il momento ancora in fase di test, disponibile a Rouen e Bordeaux, ma si prevede di renderlo disponibile in tutta la Francia entro l’anno. Carrefour ha alcune caratteristiche ‘globali’ che lo rendono particolarmente interessante per lo società americana: innanzitutto è presente presente in 30 paesi, principalmente nell’Unione europea, Brasile e Argentina, oltre che in Nord Africa e in Asia.

Quindi non corre il rischio di ‘cannibalizzare’ un mercato, quello degli Stati Uniti (dove raccoglie le preferenze di quasi la meta degli spettatori), da sempre riserva di caccia di Netflix . E il suo essere impegnato nel retail media lo schiera semmai come concorrente di Amazon o Alibaba, mentre il suo mettere ‘a disposizione’ una platea di milioni di consumatori, per ora in Francia ma a tendere in tutto il mondo, ne fa sicuramente un obiettivo sensibile. E in più, per ora almeno, non prevede scontistiche particolari: il prezzo di Netflix è quello standard, i vantaggi vanno cercati nella consegna gratuita e nel ribasso del prezzo dei prodotti a brand Carrefour.

Pur in un contesto di ‘win win solution’ sembra che il vantaggio stia comunque soprattutto dalla parte di Carrefour e del suo retail media: i retailer operano con margini incredibilmente ridotti, spesso compresi tra l’1 e il 2%. Di conseguenza, anche la più piccola modifica al bilancio può avere un impatto enorme sulla redditività. Non c’è quindi da stupirsi che i margini (fino all’80%) dei retail media rendano questa nuova opportunità di revenue particolarmente interessante.