120 mila canzoni al giorno caricate sulle piattaforme musicali – circa 1,3 al minuto – con un incremento di 30 mila unità rispetto al 2022, di cui però il 40% ha meno di 10 plays e il 25% addirittura 0 plays. E se dietro l’upload di questi brani ci fosse un’intelligenza artificiale?
Paolo Bigazzi Alderigi, editore musicale e docente, prova a rispondere a questo interrogativo: “Se una percentuale elevata come il 25% dei brani caricati ha 0 plays, significa che nemmeno l’autore del suo stesso brano lo ha mai ascoltato. Un fenomeno su cui bisogna riflettere, e che può essere interpretato alla luce dei cambiamenti che stanno avvenendo a una velocità quasi quotidiana riguardo al rapporto tra AI e musica. Sorge quindi una domanda: e se a generare tali brani non fosse stato nemmeno un autore in carne ed ossa, ma proprio un’intelligenza artificiale? Tale scenario, se fino a qualche tempo fa non era minimamente contemplato, ad oggi risulta del tutto plausibile“.
Del resto l’attualità ci ha già mostrato la potenza di tale strumento, che ha creato da zero un contenuto musicale di due artisti famosi senza che questi si siano mai incontrati in uno studio di registrazione per lavorare al brano. Si tratta del primo caso di fama mondiale di utilizzo dell’intelligenza artificiale nel settore della musica: la canzone ‘Called Heart On My Sleeve’ in cui gli artisti Drake e The Weeknd duettano. Il tutto è stato possibile grazie a un particolare programma AI che ha clonato e riadattato le voci in pochissimo tempo.
“Il problema di questo tipo di contenuti è che, se gli artisti non dichiarano in prima persona di non essere fisicamente loro gli interpreti, i brani realizzati con le varie tecnologie AI non sarebbero riconoscibili”, continua Bigazzi Alderigi. “Urge quindi la necessità per i consumatori di comprendere cosa è creato da AI o da un uomo”.
Oltre a non avere a disposizione strumenti che siano in grado di rivelare se un brano sia prodotto da AI o da un essere umano, la questione risulta problematica dal punto di vista legale, finanziario, economico, industriale e del diritto d’autore, dal momento che non ci sono ancora regolamentazioni definite e precise essendo questo settore ancora in continuo mutamento.
“Il settore musicale è sempre stato interessato da cambiamenti e ammodernamenti, tanto che in passato ci sono stati altri episodi in cui le tecnologie, se accolte in prima battuta con diffidenza e timore, sono state ‘asservite’ alla creatività umana, abbassando talvolta il livello di ingresso alla produzione di musica e rendendola più accessibile”, prosegue Bigazzi Alderigi. “Si pensi, ad esempio, all’invenzione di campionatori, drum machine e synth tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, il cui utilizzo è stato completamente sdoganato e accettato. L’interrogativo ai tempi era: la batteria elettronica significa dunque la morte di tutti i batteristi? Ciò naturalmente non è avvenuto, ma qualcuno ha eletto quegli strumenti ad un utilizzo lato e complementare rispetto ad un batterista puro creando nuovi generi musicali. Una modalità di integrazione che potrebbe essere replicata per l’AI, educando le nuove generazioni a farne un utilizzo virtuoso”.
Il tema dell’intelligenza artificiale è però complesso ed evolve molto rapidamente. Secondo Bigazzi Alderigi oggi non si è ancora pronti per comprenderne l’utilizzo sapendo sfruttare a pieno le potenzialità e, soprattutto, a livello legislativo ci sono ancora troppe incertezze. Le nuove tecnologie si sono sempre inserite nel mondo della musica in modo quasi ‘irruento’ spiazzando gli artisti e gli utenti, ma successivamente sono state accolte e inglobate nell’atto artistico per generare opere uniche.
“Credo che questo succederà anche con l’intelligenza artificiale, se sapremo agire tempestivamente a livello di regolamentazione. Il rischio è che in futuro – un futuro che si misura in ore – l’uso contemporaneo e convergente di più intelligenze artificiali potrà dare vita a progetti oggi inimmaginabili in precedenza senza l’intervento umano. Ad esempio, si pensi alla creazione di un film in cui Chat GPT scriva la sceneggiatura, Midjourney elabori le immagini, StableAudio generi la colonna sonora. Tale scenario può apparire da un lato straordinario, dall’altro però dovrebbe porci sull’attenti e farci riflettere su quanto sia necessario imparare quanto più possibile su questi nuovi strumenti anche con formazione adeguata e farne un uso coscienzioso possibilmente guidati da una serie di leggi che ne regolino l’utilizzo e stabiliscano la paternità dei contenuti”, conclude Paolo Bigazzi Alderigi.