di Massimo Bolchi
Google ha nuovamente rinviato il suo piano di eliminazione graduale dei cookie di terze parti in Chrome, l’ultimo rimasto tra i principali browser a farlo, ma il più consistente numericamente, tant’è che da solo vale oltre il 64% del mercato, secondo i dati diffusi da StatCounter. Questo rinvio – e siamo arrivati a tre posticipi del programma – è arrivato dopo le continue difficoltà nel conciliare i feedback delle parti interessate del settore e delle autorità di regolamentazione.
L’annuncio è stato fatto nella relazione trimestrale congiunta di Google e della Competition and Markets Authority (CMA) del Regno Unito sull’iniziativa Privacy Sandbox, la cui pubblicazione è avvenuta per il 26 aprile scorso: il rapporto esamina l’aggiornamento sull’attuazione degli impegni di Google in materia di Privacy Sandbox, accettati dalla CMA nel febbraio 2022, ma illustra da una lato i progressi compiuti finora ed evidenzia dall’altro le ultime considerazioni della CMA sul potenziale impatto delle modifiche proposte da Google alla Privacy Sandbox. In particolare sottolinea come Google non fornisca sufficiente chiarezza su come i dati degli utenti vengano utilizzati dall’API Topics, una delle modifiche apportate alla Sandbox che avrebbe dovuto superare le criticità introdotte dai Federated Learning of Cohorts (FloC) già abbandonati tempo fa, e che le future modifiche alla tassonomia delle API degli argomenti potrebbero introdurre nuovi rischi per la privacy senza adeguate mitigazioni.
L’eliminazione dei cookie di terze parti da Chrome è stata quindi posticipata al 2025: Google ha dichiarato infatti che “non completerà la deprecazione dei cookie di terze parti nella seconda metà del quarto trimestre” di quest’anno, come inizialmente previsto. Il tech giant intende infatti iniziare a deprecare i cookie di terze parti in Chrome “a partire dall’inizio del prossimo anno”, sempre che si riesca a raggiungere un accordo con la CMA e l’Information Commissioner’s Office (ICO) del Regno Unito.
“Riconosciamo che ci sono sfide in corso legate alla conciliazione di feedback divergenti da parte del settore, delle autorità di regolamentazione e degli sviluppatori, e continueremo a impegnarci a stretto contatto con l’intero ecosistema”, dichiara ufficialmente Google in un comunicato. “È inoltre fondamentale che la CMA abbia tempo sufficiente per esaminare tutte le prove, compresi i risultati dei test di settore, che la CMA ha chiesto agli operatori di mercato di fornire entro la fine di giugno”. Google ha ribadito il suo programma di “impegnarsi strettamente con la CMA e l’ICO” durante tutto il processo e “spera di concludere le discussioni entro quest’anno“.
Una speranza quindi, e non una data precisa. D’altronde, come già accennato, si tratta del terzo rinvio del piano di Google per l’eliminazione dei cookie di terze parti, che inizialmente mirava a un’eliminazione nel terzo trimestre del 2023 e poi è stata rinviata alla fine del 2024: meglio andarci cauti con le previsioni, a questo punto.
I rinvii riflettono le sfide che si pongono nella transizione dal tracciamento degli utenti attraverso i siti, cercando un difficile e complesso bilanciamento tra la privacy da garantire agli utenti e gli interessi degli inserzionisti. Che, non dimentichiamolo, hanno rappresentato nel 2023 il 77,8% delle revenue di Google, pari a 237,8 miliardi di dollari provenienti dall’advertising. Ricavi sottoposti al tiro incrociato delle Autorità per la privacy in Occidente e delle minacce poste dall’AI sullo modello stesso di business.
Comunque, a gennaio, Chrome aveva iniziato a limitare l’accesso ai cookie di terze parti per l’1% degli utenti a livello globale. Si prevedeva che questa percentuale sarebbe aumentata gradualmente fino a coprire il 100% degli utenti entro il terzo trimestre del 2024. L’ultimo ritardo concede ai siti web e ai servizi più tempo per ‘migrare’ dalla dipendenza dai cookie di terze parti attraverso il programma ‘deprecation trials’ di Google, che offre estensioni temporanee dell’accesso ai cookie fino al 27 dicembre 2024 per casi d’uso non pubblicitari. Pur facilitando la transizione, questi esperimenti prevedono regole molto rigide: non solo i servizi legati alla pubblicità non sono ammissibili, ma i domini noti legati alla pubblicità sono rifiutati.
Google ha affermato che il programma mira a risolvere i problemi funzionali piuttosto che ad alleviare gli inconvenienti generali della raccolta dei dati, ma i ripetuti ritardi evidenziano i potenziali disagi per gli editori digitali e gli inserzionisti che si affidano al tracciamento dei cookie di terze parti. I media hanno espresso il timore che la limitazione del tracciamento cross-site possa spingere i siti web verso pratiche più opache e invasive della privacy: il che equivale al detto lombardo ‘piuttosto che niente, è meglio piuttosto’, non proprio l’optimum da adottare in un mercato che valeva più di 633 miliardi dollari nel 2023, and counting.
Difficile dare torto a chi sostiene che l’eliminazione graduale sia fondamentale per impedire la profilazione occulta degli utenti sul web. Ma il problema che resta irrisolto è il solito: sul principio sono tutti d’accordo, ma come fare praticamente a salvare la ‘capra’ della privacy e il ‘cavolo’ dei ricavi di Google?