Cinquecentomila dimissioni volontarie registrate solo tra aprile e giugno del 2021 dal Ministero del Lavoro italiano. Una situazione record creata dalla pandemia che ha travolto l’Italia, e il resto del mondo, a partire da marzo del 2020.
Secondo un’indagine di Aidp, l’Associazione per la direzione del personale, la fascia d’età maggiormente coinvolta è quella dei 26-35enni, che rappresenta il 70% del campione, seguita dalla fascia 36-45 anni. I motivi più ricorrenti che hanno spinto alle dimissioni sono la ripresa del mercato del lavoro (48%), la ricerca di condizioni economiche più favorevoli in altre aziende (47%) e l’aspirazione a un maggior equilibrio tra vita privata e lavorativa (41%). In particolare, il 25% dei giovani ha sottolineato la voglia di dare un nuovo senso alla propria vita, oltre al lavoro, e un altro 20% ha spiegato le dimissioni con un clima di lavoro negativo interno all’azienda.
C’è un altro dato che porta a riflettere, ovvero che il boom delle dimissioni ha colto e sta continuando a cogliere di sorpresa le grandi aziende che hanno assistito impotenti a un fenomeno – per loro – del tutto inatteso. Un fenomeno che, se non arginato, continuerà a mettere le imprese in difficoltà. Forse non tutte le 500.000 dimissioni si sarebbero potute evitare, ma una parte sì se le aziende avessero compreso il disagio, l’insoddisfazione dei dipendenti o semplicemente avessero colto il loro bisogno di evolvere dal punto di vista professionale.
“Una soluzione, le aziende, potrebbero già averla sotto gli occhi senza saperlo: gli assistenti virtuali. L’intelligenza artificiale che sta alla base di questi strumenti, che le imprese usano per analizzare i bisogni e i desideri dei consumatori dialogando direttamente con loro, può essere applicata anche per ‘guardarsi dentro’ e capire cosa succede tra le file di quella che è, probabilmente, la risorsa più importante: il capitale umano”, affermano in una scritto Gianluca Maruzzella, Co-founder e CEO di Indigo.ai, e Federica Pasini, Co-founder e CEO di Hacking Tale.
Se i motivi di insoddisfazione dei dipendenti sono molteplici, i mezzi a disposizione delle aziende per fronteggiare questa crisi inattesa sono, invece, ancora pochi e spesso inefficaci: nella gestione delle risorse umane, le imprese sono quindi ancorate a vecchie logiche dalle quali faticano ad affrancarsi. Oggi come mai prima, le aziende dovrebbero investire lungo le tre direttrici ormai indispensabili: coltivare il talento, migliorare l’ascolto, aumentare la cultura aziendale. Secondo moltissime ricerche, infatti, la maggior parte delle persone non esprime la propria insoddisfazione sul posto di lavoro per paura di essere visti di cattivo occhio e, in alcuni casi, subire ritorsioni. E le aziende, di conseguenza, non capiscono quali siano i motivi che spingono i dipendenti ad abbandonare il posto di lavoro.
Secondo un’analisi di McKinsey, per cambiare le regole del gioco e comprendere i dipendenti, i vertici dovrebbero sviluppare ‘un’empatia molto più profonda verso ciò che i dipendenti stanno attraversando’ e una maggiore ‘determinazione ad agire e cambiare’. La crisi improvvisa, in questo senso, rappresenta un’occasione di rilancio, un momento in cui è possibile mettersi in gioco, investendo e innovando per accogliere le nuove esigenze dei dipendenti. Esigenze che – prima di tutto – devono essere recepite.
Infatti, lo scoglio principale delle aziende nell’ambito della cosiddetta retention dei talenti è proprio questo: la comunicazione. Sia dalla parte dei lavoratori, che hanno una difficoltà congenita a comunicare in modo semplice e diretto ciò che vorrebbero, sia dal lato delle imprese, che invece manifestano una certa incapacità di ascoltare. Aumenta così la distanza tra dipendenti e datori di lavoro, con i primi che si sentono sempre meno coinvolti, non vedono un percorso di crescita e sono quindi sempre più insoddisfatti, e i datori che si trovano a dover gestire personale sempre meno produttivo e sempre più pronto a lasciare l’impiego alla prima occasione.
“Si tratta di un circolo vizioso che, però, può essere spezzato applicando le nuove tecnologie – in particolare, l’intelligenza artificiale – al mondo delle risorse umane: un mercato da oltre 200 miliardi di dollari l’anno secondo Google”, proseguono Maruzzella e Pasini. “Stiamo parlando degli assistenti virtuali: se fino a oggi le aziende hanno utilizzato questi strumenti per migliorare la relazione con i clienti oppure per fornire loro dei servizi in più (un caso su tutti, Alexa), oggi è possibile applicare questa stessa tecnologia anche nel rapporto con i dipendenti”.
Del resto a livello internazionale non sarebbe una novità: assistenti virtuali di questo tipo vengono già utilizzati con successo: secondo una ricerca di Gartner, il 23% delle società che utilizzano sistemi di intelligenza artificiale, li applica proprio alle risorse umane. Lo fa, per esempio, McDonald’s che utilizza un chatbot di Paradox; ma anche Jp Morgan con HireValue e Mars e Manpower con Xor con il risultato di aver migliorato – in media – la propria produttività del 45% (dati di Xenioo).
“In Italia, noi stessi di Indigo.ai ed Hacking Talents ne stiamo costruendo uno”, concludono infine Maruzzella e Pasini. “Creare un assistente virtuale capace di ascoltare, comprendere e analizzare le conversazioni tra un lavoratore e l’azienda potrebbe essere proprio il punto di svolta che molte imprese stanno cercando in questi mesi e sarebbe vantaggioso per entrambi i fronti. Per i dipendenti, perché potrebbero interagire direttamente con l’assistente, prevalentemente in modalità anonima, sia per affrontare questioni personali come la valorizzazione del proprio talento e il percorso di carriera, sia per fare domande su situazioni collettive come il welfare, i benefit e i processi: strumenti fondamentali, anche per rafforzare il senso di appartenenza, l’esperienza interna e la cultura aziendale, ma spesso non facilmente fruibili alla maggioranza dei dipendenti. Per l’azienda, perché potrebbe raccogliere dati preziosissimi sul tipo di necessità del proprio personale, quali sono le domande più frequenti, capire se i dipendenti si sentono stressati o frustrati, grazie all’analisi delle conversazioni operata dall’AI. In questo modo l’azienda potrà andare incontro alle esigenze reali dei propri dipendenti e indirizzare nel modo migliore i propri investimenti, diminuendo drasticamente l’insoddisfazione e i casi di abbandono del posto di lavoro”.