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Francesco Turco, Talkwalker: “La Conversational Intelligence attiva la voce dei consumatori e anticipa le tendenze. Con gli insight giusti nuove consapevolezze per i brand”

“Aiutiamo i brand leader nel mondo ad attivare la voce dei consumatori in tempo reale, dando significato al loro feedback in tutti i canali di comunicazione. Il nostro approccio è consumer centric in termini di captazione e applicazione della voce dei consumatori: ciò che facciamo è connettere i punti tra ciò che questi pensano, dicono e fanno. Stiamo lavorando per espandere il concetto di Social Listening a quello di Conversational Intelligence, dove la voce dei consumatori viene captata su tutti i canali di comunicazione in maniera omnicomprensiva. Vogliamo diventare i leader nel mondo di questa nuova corrente di pensiero”, è l’esordio di Francesco Turco, Digital Marketing and Communication Officer Italy di TALKWALKER.

A livello globale, come si potrebbe definire la ‘Conversational Intelligence’? Quali sono state le sue evoluzioni più recenti, anche e soprattutto in conseguenza della pandemia?

A mio parere la pandemia non ha apportato nulla di realmente nuovo, piuttosto ha dato una forte accelerazione ai cambiamenti che erano già in corso nel modo in cui i consumatori si rapportano ai loro brand preferiti. Se prima quella di offrire ai clienti una customer journey sempre più personalizzata era una prospettiva interessante, oggi nella ‘nuova normalità’ è diventata la condizione necessaria per la sopravvivenza dei brand. Di conseguenza è necessario comprendere cosa dicono i clienti dei brand e anticiparne i possibili cambiamenti nelle abitudini di acquisto. La Conversational Intelligence permette di captare queste informazioni non solo sui social media, ma anche su altri canali importanti quali siti di recensioni, blog, forum e persino trascrizioni di call center; combinando questi dati ed estraendo gli insight giusti, i brand possono comprendere come adattarsi alle esigenze di un consumatore sempre più consapevole del suo ruolo.

Nonostante l’indubbio potenziamento delle interazioni digitali, i consumatori, nelle loro brand experience, hanno mostrato di cercare di più i contatti e l’assistenza umana. Come si esce da questa apparente contraddizione? In che modo si possono umanizzare esperienze che per forza di cose sono sempre più digitali?

Non vedo il digitale come un deterrente per l’umanizzazione del brand; anzi, è un’ottima opportunità per le aziende per essere sempre più vicine al proprio bacino di utenza, a dispetto delle difficoltà vissute sul piano ‘analogico’. Ad esempio abbiamo notato come una delle tendenze più prominenti nella ‘nuova normalità’ sia l’ascesa di un pubblico socialmente consapevole: i clienti chiedono che i loro brand preferiti siano sempre più allineati alle loro cause sul piano sociale. I brand captano questo sentimento, e adattano i loro prodotti e servizi, nonché marketing e comunicazione, alla causa. È una dinamica che difficilmente sarebbe replicabile in una customer experience incentrata sull’offline. Poi c’è il discorso del phygital, che vede le esperienze di acquisto offline acquisire elementi di quelle online, per poi fondersi con esse. Utilizzando il nostro tool è possibile tenere traccia del sentiment dei clienti nei confronti del brand o di un prodotto specifico, sia in termini di conversazione sia di reazione puramente emotiva; tutto sta nell’applicare insight come questo per affinare e aggiornare costantemente il customer journey pensato per la propria utenza.

Le keywords della pandemia

 

Con quali strumenti e come la tecnologia – e in subordine la trasformazione digitale – possono essere le vie di accesso alla ‘nuova normalità’? Su quali parametri e con quali attributi quest’ultima può essere utilizzata per interpretare i cambiamenti del contesto e dei brand?

Posto che l’ascolto della voce dei consumatori sia ormai una condizione necessaria affinché i brand possano rapportarsi al proprio bacino di utenza in maniera simmetrica, ci sono diversi strumenti di listening con i quali è possibile equipaggiarsi, dai tool gratuiti a quelli di livello enterprise, come Talkwalker. Come dicevo prima, nell’ultimo anno abbiamo assistito a una velocizzazione nei cambiamenti già in atto nel modo in cui le persone si rapportano con i loro brand di riferimento e nelle modalità di comunicazione con questi. Attivare la loro voce aiuta certamente a prevedere le tendenze  future, sia quelle dietro l’angolo sia quelle più distanti nel tempo.

Spostandosi più decisamente sul versante delle aziende e dei brand, come si possono utilizzare i dati disponibili per ricavarne insight essenziali per ‘leggere’ il futuro prossimo? La aziende possono dirsi pronte ad affrontare e implementare i cambiamenti necessari a questo fine? E sugli ‘intangible asset’ – come empatia e condivisione di valori – qual è la situazione in pratica?

Innanzitutto va detto che l’ideale è combinare le fonti di dati, piuttosto che fare affidamento sul canale principale o quello più blasonato. Sebbene i social media restino la piattaforma principale per questo genere di insight, su siti di recensioni possiamo trovare un feedback diretto e molto specifico su un prodotto, di cui un utente non parlerebbe su Twitter, ad esempio. L’ideale è quindi monitorare tutti i canali possibili, e combinare gli insight in un flusso di dati continuo. Connettere e confrontare i dati permette inoltre di ridurre il tempo che intercorre tra la rilevazione e l’attuazione di questi. Riguardo gli in ‘intangible asset’, uno dei trend che abbiamo registrato dall’inizio della pandemia è la vocalità degli utenti in questo proposito. Le persone vogliono essere ascoltate dai brand di riferimento, affinché abbraccino le loro cause.

eCommerce Top Interests

 

Guardando infine all’Italia, in un mercato dove ha dominato l’eCommerce nell’ultimo anno, quali sono i comparti che meglio si sono distinti su questo scenario di sfondo? Per quali ragioni e con quali prospettive?

Diciamo che il paese è stato colto un po’ in castagna da questo cambiamento repentino, al quale non era ben preparato. Ad esempio alcuni centri storici hanno aggregato i loro prodotti in siti di eCommerce online, il che è una buona idea; tuttavia questi progetti sono stati molto trascurati dal punto di vista del marketing digitale e di rapporto con i potenziali clienti. Abbiamo due sfide principali che dobbiamo vincere: quella tecnologica e quella di marketing. Poi c’è la questione logistica, molte filiere si sono trovate in difficoltà. Tuttavia abbiamo l’esempio di yoox, piattaforma di eCommerce di lusso, un successo tutto italiano che brilla nel settore, così importante per la nostra industria. A mio avviso la struttura della nostra rete economica, così votata alle piccole e medie imprese, richiede un approccio diverso da quello dei partner europei; per i piccoli produttori l’approccio sbagliato è ‘boicottare Amazon’ mentre quello giusto è coalizzarsi per settore e puntare sull’unicità, investendo però in tecnologia e marketing.