La Data Driven Economy, di cui molto si parla ma che decisamente meno si applica, è un’economia generata dalla conoscenza, fondata sulla capacità di utilizzare al meglio la quantità di informazioni che, ogni giorno, circolano all’interno e al di fuori di ogni organizzazione. In un’era permeata di tecnologie, dove mondo fisico e mondo digitale sono ormai un binomio indissolubile, è necessario maturare una nuova cultura del dato basata su una maggiore consapevolezza di come queste informazioni debbano essere gestite in modi molto diversi rispetto a quanto fatto fin’ora. È l’era dell’Industria 4.0, o per lo meno dovrebbe essere così.
Nella comunicazione, il paradigma del Data-Driven informa tutti gli aspetti, dall’addressability al media planning, dalla performance alla creatività.
La crescita esponenziale della Connected TV, che ha preso un abbrivio apparentemente inarrestabile dopo l’ultima emergenza per il Coronavirus, è un elemento cardine del nuovo scenario: una TV che è anche internet, che può essere acquistata in programmatic, che viene vista on demand, in cui la comunicazione di brand può essere personalizzata one-to-one.
In questo nuovo scenario, anche se ci sono ancora limitazioni (soprattutto legate alla privacy) su ciò che si può ottenere e fare con i dati, ciò che sta diventando chiaro a tutti è che, avendo più dati, è possibile fare cose nuove che non era possibile immaginare quando c’erano meno informazioni disponibili.
Per questo motivo, le aziende hanno oggi bisogno di essere accompagnate in modo strutturato nel percorso verso i Big Data, partendo dalla comprensione delle opportunità offerte da questa ‘tecnologia’, fino ad arrivare alla comprensione di quelli che sono gli asset interni/esterni necessari per arrivare a un modello di gestione realmente controllato dai dati.
I processi creativi, la tecnologia e la conoscenza delle opportunità che oggi ci offre il mondo online sono strumenti fondamentali affinché le imprese possano comunicare con i consumatori. Tuttavia, nell’attuale contesto storico in cui è in corso una profonda trasformazione socio-economica, stanno cambiando anche le abitudini e i comportamenti delle persone. Ultima in ordine di tempo l’emergenza Covid-19 e le sue conseguenze.
Per questo motivo, per le aziende è cruciale individuare i nuovi comportamenti degli individui e capirne gli impatti sul customer journey, al fine di definire strategie in grado di sostenere la relazione con i consumatori con obiettivi di loyalty ben definiti. A tal fine, la chiave per ristabilire la relazione con il proprio target si conferma essere la creatività.
La tecnologia ha fornito dunque ai professionisti del marketing opportunità senza precedenti di raccogliere dati sui desideri, i bisogni e i comportamenti dei consumatori. Eppure la maggioranza dei consumatori confessa di non assere soddisfatto di come la marca lo tratta, lo considera e si rapporta con i suoi bisogni.
È l’eccessiva dipendenza dai dati che può accecare persino i migliori team di marketing e creare una richiesta costante di convalida. Se questo interrogativo diventa l’obiettivo principale, non c’è spazio per allontanarsi da ciò che è stato fatto prima.
Inoltre, i dati possono fornire un falso senso di successo. Le aziende iniziano a vedere le condivisioni social, i clic e le tariffe aperte come segni di una reale trazione, dimenticando che questi numeri non offrono una vera immagine di coinvolgimento, utenti attivi o il percorso verso la conversione. Di conseguenza, tutti gli occhi puntano ai livelli più bassi della canalizzazione anziché in alto, dove è più probabile che si crei una relazione significativa e duratura tra marchio e cliente.
E mentre le aspettative su come le aziende acquisiscono, archiviano e condividono i dati continuano a evolversi, il loro uso rimarrà uno strumento importante e prezioso delle campagne di marketing – lo ‘strumento’ è la parola chiave qui. Non importa quanto sia robusto il tesoro delle informazioni, non riesce ancora a cogliere l’arte della persuasione. Per questo, serve immaginazione, motivo per cui è diventato così importante trovare il giusto equilibrio tra dati e creatività.
Troppe aziende non attribusicono il giusto peso a questa verità fondamentale. Di conseguenza, i dati possono diventare l’obiettivo principale dei loro sforzi. Rischiano quindi di mettere meno valore alla creatività e investono meno tempo, risorse e sforzi concentrandosi su ciò che è veramente importante: l’idea, non i dati.
Ma a prescindere dal fatto che il processo creativo della campagna sia realizzato internamente o delegato all’esterno, una cosa è certa: esso deve basarsi su due asset fondamentali: la conoscenza dell’utente, derivante dall’utilizzo dei dati, perché solo così il messaggio trasmesso nello spazio Media può rendere quest’ultimo ‘adressable’ e ‘data-driven’; e l’idea creativa, quella capace di penetrare il muro di indifferenza che sempre più spesso rappresenta la prima difesa del consumatore.
In altre parole, la data-driven creativity si staglia come una nuova area da coltivare, che assomma i vantaggi espliciti della creatività tout court con l’Intelligenza Artificiale per esplorare la quantità incommensurabile di dati a disposizione alla ricerca di pattern innovativi e funzionali, capaci di disegnare gli individui non come numeri appartenenti a un determinato gruppo sociale, bensì nella loro irreplicabile unicità.