La diffusione del coronavirus è innanzitutto un’emergenza per la salute pubblica, ma rappresenta anche una significativa minaccia economica. Lo shock del Covid-19 causerà una recessione in numerosi paesi e deprimerà la crescita annuale globale di quest’anno al di sotto del 2,5%, il livello di recessione per l’economia mondiale.
Anche se si eviterà il peggio, il colpo al reddito globale, rispetto a quello che era stato previsto per il 2020, sarà limitato a circa un biliardo di dollari. Ma potrebbe andare anche diversamente?
Un update di metà marzo delle stime contenute nel rapporto sullo sviluppo globale dello United Nation Conference on Trade and Development (UNCTAD) disegna infatti un quadro ancora più preoccupante, analizzando i tre parametri economici più rilevanti per i mercati globali: l’offerta, la domanda e la finanza.
Dal lato della domanda, ci si può aspettare che una combinazione di calo del reddito, spostamento del sentiment (paura del contagio) e l’assenza di un vaccino abbia un impatto negativo sulla spesa privata, in particolare nel settore dei servizi, con il turismo e l’intrattenimento più colpiti, soprattutto nelle attività associato a grandi eventi pubblici e servizi di catering. Le ridotte ore di lavoro e i possibili licenziamenti ridurranno la spesa delle famiglie e aumenteranno l’insicurezza economica per coloro che non hanno accesso a una rete di sicurezza sociale. L’aumento dell’incertezza sugli effetti dello shock ritarderà anche gli investimenti privati, ma la domanda di risorse del governo può aumentare in molti paesi, per combattere il contagio attraverso iniziative di assistenza sanitaria di emergenza. Nonostante quest’ultimo, l’effetto di domanda netta dello shock di Covid-19 è generalmente considerato a breve termine negativo.
Dal lato dell’offerta, un improvviso arresto dell’attività manifatturiera nelle regioni più colpite causerà strozzature nelle catene del valore globali. Le scorte disponibili in inventario possono supportare l’offerta per un po’, ma con le attuali strutture di produzione globalizzate just-in-time, sembra ragionevole supporre che la durata e l’entità dell’epidemia di Covid-19 abbia già esaurito (o quasi) le riserve. Tale interruzione a sua volta scatenerà chiusure diffuse delle fabbriche per mancanza dei prodotti intermedi, anche in zone ancora immuni al virus.
Nonostante tutte le incognite, l’ipotesi più moderata è che i profitti verranno inizialmente colpiti e, se la crisi persiste, anche l’occupazione e i salari diminuiranno. Le conseguenze di perturbazioni dal lato dell’offerta possono quindi contaminare la domanda aggregata, rafforzando il primo canale sopra menzionato e minacciando la stabilità finanziaria, come indicato di seguito.
Infine la finanza: l’aumento dell’avversione al rischio dopo lo shock di Covid-19 e lo spostamento verso la liquidità in presenza di incertezza hanno già spinto i mercati azionari in area negativa. In alcuni casi, le ‘correzioni’ immediate sono state intense come durante la crisi finanziaria globale e anche la volatilità è schizzata alle stelle. A seguito di queste prese di beneficio, anche i mercati obbligazionari hanno mostrato brusche inversioni.
In più lo shock del Covid-19 sta arrivando dopo una crazy run senza precedenti verso la crescita dei prestiti, sia pubblici sia (in particolare) privati, con titoli di debito totali che hanno raggiunto i 229 biliardi di dollari alla fine del 2018, oltre due volte e mezzo il PIL globale.
Secondo l’OCSE, l’ammontare globale in circolazione di obbligazioni societarie non finanziarie ha raggiunto i 13,5 biliardi di dollari, più del doppio del loro valore (reale) alla fine del 2008, con emissioni non investment grade che hanno raggiunto il 25% dell’emissione totale. Gli avvertimenti e gli aggiustamenti degli utili nell’orizzonte dei rendimenti degli investimenti da parte di imprese altamente indebitate scateneranno probabilmente richieste di margini, inaspriranno le condizioni di indebitamento e aumenteranno il rischio di una fuga forzata per vendere quelle attività non colpite nel primo round di accresciuta avversione al rischio.
Ciò apre alla la prospettiva di una stretta creditizia in un periodo di forte indebitamento, calo della crescita globale, calo degli utili in valuta forte, e nonostante tassi di interesse molto bassi.
Tuttavia, una combinazione di deflazione dei prezzi delle attività, domanda aggregata più debole, maggiore sofferenza del debito e un peggioramento della distribuzione del reddito potrebbe innescare una spirale al ribasso ancora più viziosa. Un’insolvenza diffusa e forse un altro Minsky moment, dunque: non può essere escluso un improvviso, grande crollo dei valori delle attività che segnerebbe la fine definitiva della fase di crescita di questo ciclo economico.
“A settembre stavamo analizzando con ansia l’orizzonte alla ricerca di possibili shock, date le fragilità finanziarie lasciate in sospeso dalla crisi del 2008 e la persistente debolezza della domanda”, afferma Richard Kozul-Wright, Direttore delle strategie di globalizzazione e sviluppo dell’UNCTAD, in un testo di accompagnamento dell’update di marzo. “Nessuno l’ha visto arrivare, ma la storia più grande è un decennio di debiti, illusioni e deriva politica”, la sua secca considerazione.
La crisi finanziaria asiatica della fine degli anni ’90 offre alcuni parallelismi con la situazione attuale, ma quella crisi si è verificata prima che la Cina desse alla regione un’impronta economica globale molto più grande e quando le economie avanzate erano in discrete condizioni economiche.
Ma non è il caso oggi.
“Mentre la recente esplosione del debito societario, in gran parte di bassa qualità creditizia, rappresenta il pericolo più immediato nelle economie avanzate, i paesi in via di sviluppo si trovano ad affrontare una serie di vulnerabilità finanziarie e del debito in rapido approfondimento che non promettono bene per la loro capacità di resistere a un altro shock esterno”, prosegue Kozul-Wright.
Anche la Cina è diventata una fonte cruciale di prestiti a lungo termine per i paesi in via di sviluppo e se le sue condizioni di prestito si restringono con il rallentamento delle economie, gli Stati con i più forti legami finanziari con la Cina potrebbero essere tra i più lenti a riprendersi dall’impatto economico della crisi Covid-19.
Uno scenario al ribasso preliminare vede un deficit di due biliardi di dollari nel PIL globale, con un colpo di 220 miliardi ai paesi in via di sviluppo (esclusa la Cina, che è ormai da tempo ‘in via di sviluppo’ solo di nome). Le economie più colpite in questo scenario saranno i paesi esportatori di petrolio, ma anche altri esportatori di materie prime, che rischiano di perdere più di un punto percentuale di crescita, oltre a quelli con forti legami commerciali con le economie all’inizio più colpite dalla pandemia.
È probabile che si verifichino rallentamenti della crescita tra lo 0,7% e lo 0,9% in paesi come il Canada, il Messico e la regione centroamericana, nelle Americhe; a questi si aggiungano paesi profondamente inseriti nelle catene del valore globali dell’Asia orientale e meridionale e paesi piùdeboli dell’Unione europea.
L’update dell’analisi dell’UNCTAD evidenzia come una convinzione persistente nella solidità dei fondamenti economici e un’economia mondiale auto-correttiva continuino a ostacolare il pensiero – e l’approccio tattico-strategico – politico nelle economie avanzate.
“Ciò frenerà gli interventi politici più audaci necessari per prevenire la minaccia di una crisi più grave e aumenterà le possibilità che gli shock ricorrenti possano causare gravi danni economici in futuro”, aggiunge Kozul-Wright.
Le banche centrali non sono in grado di risolvere da sole questa crisi e un’adeguata risposta politica macroeconomica richiederà una spesa fiscale aggressiva con ingenti investimenti pubblici e un sostegno assistenziale mirato per i lavoratori, le imprese e le comunità colpite negativamente. Sarà richiesto anche un coordinamento internazionale di questi programmi.
“In definitiva”, conclude la nota di Kozul-Wright, “sono necessarie una serie di risposte politiche mirate e riforme istituzionali per evitare che una crisi sanitaria localizzata in un mercato alimentare nella Cina centrale si trasformi in un tracollo economico globale”.
Massimo Bolchi